Appunti di un giovane medico. di Domitilla Di Thiene

Le riflessioni di una dottoressa di ritorno in Italia dopo aver trascorso varie esperienze lavorative all’estero.

In Italia nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) il 50% dei medici e il 21% degli infermieri ha più di 55 anni di età, una delle popolazioni più “vecchie” fra i dipendenti dei sistemi sanitari in Europa[1]. Inoltre il cosiddetto top management (direttori generali e sanitari), così come il middle management (direttori di dipartimento ospedaliero o di distretto) hanno una età media molto elevata (60 e più anni)[2].

Inoltre nelle Asl, almeno in quelle del Lazio, esiste un gap generazionale importante. Manca o è ridotta ai minimi termini la generazione nata fra il 1960 e il 1975, impoverita dalla mancanza di concorsi pubblici di più di un decennio, colleghi che si sono dovuti trovare alternative nel privato o all’estero. Chi, come me, è tornato in Italia richiamato da concorsi o da una direzione aziendale illuminata si trova nella strana posizione di essere considerato “giovane” a 45 anni, con poca esperienza nel SSN e tuttavia ad appartenere ai più vecchi fra le nuove risorse assunte con i recenti concorsi.

Questo farà sì che a breve si dovrà assistere a un passaggio di consegne forzato e con grande divario di età ed esperienze. La breve riflessione che segue nasce da queste considerazioni e dal tentativo di far luce su quello che sono le sfide più urgenti che verranno lasciate in campo.

  • Accesso ai dati e digitalizzazione della sanità. Arrivando a lavorare in Asl da altri settori o paesi l’incontro con la massa di cartaceo, cartelline e fax è forse lo shock più grande. Con diversi tempi fra regioni, l’informatizzazione dei dati a livello sanitario è ancora molto indietro. Questo aspetto che sembra più tecnico e di minore importanza deve invece diventare un fulcro di attenzione improrogabile per ottimizzare la sanità pubblica (OECD 2019). Questo si ripercuote anche nel pensare all’assistenza sanitaria attraverso concetti come i determinanti sociali di salute che sono ora difficilmente valutabili proprio per la mancanza dei dati necessari. Una interazione fra sistemi informativi che permetta di acquisire informazioni e porli al centro della discussione sulla salute aggiungerà valore e capacità. Per fare questo è necessario un forte impegno a livello centrale (Tabella 1).
Tabella 1. Pilastri per una strategia di successo per la digitalizzazione della sanità pubblica in Europa[3]

  • Impegno politico: è necessario un forte impegno politico per implementare strategie di digitalizzazione della sanità pubblica.
  • Normativa e framework regolativo: è necessario un chiaro set di regolamenti per supportare lo scambio di dati tra diversi sistemi informativi e comunicativi a livello nazionale ed europeo.
  • Infrastruttura tecnica: le strutture sanitarie regionali e nazionali, così come gli ospedali devono avere a disposizione infrastrutture tecniche per supportare l’implementazione delle soluzioni digitali.
  • Investimento economico: per una implementazione di successo sono necessari investimenti economici.
  • Formazione: è necessaria la formazione del personale afferente alla sanità pubblica per usare la tecnologia digitale anche a livello universitario.
  • Ricerca: la ricerca e lo sviluppo tecnologico  dovrebbero fornire studi sull’impatto, l’efficacia e la costo efficacia degli interventi di salute digitale.
  • Monitoraggio e valutazione: l’introduzione e il monitoraggio di soluzioni digitali per la sanità pubblica in diversi setting dovrebbe essere supportata da valutazioni tecnologiche basate su modelli di Health Technology Assessment (HTA) solidi e condivisi.
  • Il rapporto con il privato. Sempre più ineluttabile e consistente, per chi si affaccia a lavorare nel SSN è inevitabile fare i conti con questo convitato di pietra. Un esempio è l’assistenza domiciliare, pietra miliare dell’assistenza territoriale e invocata nel periodo pandemia come unica soluzione possibile. Al momento attuale, ogni volta che si prende in carico un paziente in assistenza domiciliare, per poter far partire l’assistenza infermieristica o fisioterapica, si deve chiedere al paziente di scegliere la cooperativa che erogherà l’assistenza. Il servizio è infatti a esternalizzato a diverse cooperative. Le persone che necessitano assistenza domiciliare sono per lo più persone molto anziane e con badanti che non parlano italiano, a cui si mette di fronte un modulo con nove differenti cooperative su cui operare delle preferenze. È molto complicato per i pazienti scegliere (il primo ovvio commento è “Non ne conosco nessuna, mi aiuti a scegliere, mi dica lei”) e può essere frustrante assistere a questa scelta.

Questo è solo uno dei vari aspetti che si presentano, da cui però appare chiaro come sia difficile lasciare il controllo del rapporto fra sistema pubblico ed erogatore privato al singolo operatore a contatto con il pubblico. Forse, per garantire il buon funzionamento della collaborazione fra pubblico e privato, bisognerebbe pretendere che al SSN non rimanga solo il compito di sorvegliare e controllare ma anche di gestire e dirigere l’esternalizzazione di alcuni servizi.  Un attento sistema di legiferazione e regolamenti a livello centrale può forse meglio governare l’interazione fra sistemi nati con propositi diversi da quei valori di equità e universalità a cui continua a far riferimento il sistema pubblico.

  • Utilizzo di dati epidemiologici e di indicatori. È ribadito da tutte le parti che è necessario un rafforzamento dell’utilizzo di dati ed indicatori nell’assistenza sanitaria, rafforzando la cultura del dato [2,4]. Questo è vero non solo a livello delle valutazioni delle performance aziendali ma deve diventare anche quotidiano e a livello dei singoli servizi per aiutare, orientare e rafforzare le decisioni operative. Sono necessari indicatori di processo per avere una idea chiara dei volumi di attività e di come stia cambiando la richiesta. Covid è stata uno tsunami nell’assistenza sanitaria e sta modificando sia come il paziente si rivolge al servizio sia come il servizio si rapporta al paziente. Gli indicatori di outcome invece possono aiutare il personale a dare un senso al proprio lavoro e non a sentirsi perenne parte di una catena di cui non si vede fine. L’imporsi della medicina difensiva degli ultimi anni con il progressivo attacco agli operatori sanitari a tutti i livelli porta a perdere di vista il senso del proprio operato. Avere una restituzione in termini numerici di quanto si incida sulla salute della popolazione con una visione longitudinale e non solo trasversale del loro lavoro può cambiare questa percezione. L’aspetto riabilitativo domiciliare per esempio non può essere valutato solo in base ai costi di erogazione, che è un dato facilmente reperibile, ma se si potesse correlare a tasso di ospedalizzazioni o l’insorgenza di sindromi di allettamento sulla stessa popolazione che fruisce dei trattamenti riabilitativi permetterebbe valutazioni di differente tipo. Per fare questo tuttavia serve una forte base teorica di riferimento ma soprattutto una decisione politica che la supporti.

Ps. Il titolo è un mero omaggio a Bulgakov.

Domitilla Di Thiene, Organizzazione servizi sanitari di base, Asl Roma 1

 

Bibliografia

  1. CERGAS Oasi Report 2020 Key facts 
  2. Anessi Pessina E, Cicchetti A, Spandonaro F et al. Proposte per l’attuazione del PNRR in sanità: governance, riparto, fattori abilitanti e linee realizzative delle missioni.
  3. Odone A, Buttigieg S, Ricciardi W, Azzopardi-Muscat N, Staines. A Public health digitalization in EuropeEur J Public Health . 2019 Oct 1;29:28-35.
  4. The Organisation for Economic Cooperation and Development. OECD Comparative Study. Digital Government Strategies for Transforming Public Services in the Welfare Areas. 2019

fonte: saluteinternazionale.info

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