Roberto Coȉsson, “fisico vagabondo”. di Nello Sorace

Il ricordo di una persona di grande spessore umano e intellettuale, mossa da una curiosità inesauribile verso la realtà concreta, unita ad una straordinaria creatività scientifica.

Due anni fa moriva di cancro Roberto Coȉsson, fisico di rilievo internazionale, e per me anche un amico di lungo corso. Nei pochi mesi della sua malattia ha scritto una autobiografia breve e densa, “Vita avventurosa di un fisico vagabondo” (Reggio Emilia, thedotcompany 2019). Si tratta di un  testo che, nella sua apparente leggerezza e scorrevolezza, chiede e merita una lettura attenta, quale si conviene a  una persona di grande spessore umano e intellettuale, mossa da una curiosità inesauribile verso la realtà concreta unita ad una creatività scientifica che gli ha consentito sia di apportare contributi molto importanti nella fisica sperimentale e nella tecnologia contemporanee, sia di mantenere una continua ed efficace attività di indagine e intervento dal vivo sui problemi di insegnamento e di organizzazione della ricerca scientifico-tecnologica nei paesi “in via di sviluppo”.

Il testo dedica alcune vivaci pagine al suo primo vagabondaggio nell’Europa del Nord, inframezzato dal lavoro di tesi: per evitare il pericolo di finire in prigione in base ad una (inesistente) diserzione dal servizio militare. Al ritorno, nel 1968,  lui e la futura moglie, appena laureata in medicina – Paola Agnelli, autonoma e preziosa coprotagonista delle sue scelte -, decisero di andare a offrire le proprie competenze in un paese sottosviluppato: e così trascorsero due anni nella Guinea di Sékou Tourè, il primo Stato dell’Africa sub-sahariana impegnato a uscire dal dominio francese, e proprio per questo al centro dell’interesse e degli aiuti di molti paesi di qua e di là della cortina di ferro. Quella scelta, abbastanza rara all’epoca da parte di laici privi di qualsivoglia organizzazione alle spalle, nacque ovviamente da convinzioni individuali; ma non si può non collegarla al risveglio politico della gioventù studiosa degli anni ‘60, stimolato anche dalle lunghe e terribili guerre per la decolonizzazione, dall’Algeria, al Congo sino a quella interminabile del Vietnam, che nessuno poteva ignorare: un risveglio che vide anche un primo, importante afflusso sulla scena pubblica di donne laureate in medicina e interessate agli aspetti sociali della loro professione, sia nei paesi sottosviluppati che in Italia. A Firenze, in particolare, questa evoluzione fu precoce e senza dubbio accelerata dalla grande mobilitazione giovanile per l’alluvione.

La coppia svolse il suo lavoro con estrema serietà, decidendo persino – per renderlo più utile – di trasferirsi dalla capitale a Guéckédou, un villaggio nella giungla. Profondo fu l’impatto con la società locale e con intellettuali-funzionari della più varia formazione e provenienza: da Amilcar Cabral al nipote dell’ex re del Dahomey (che aveva studiato a Parigi e vi aveva frequentato Chou En Lai) divenuto ministro della Guinea, da un autentico e convincente comunista ungherese a un medico vietnamita fino ai numerosi docenti russi coi quali Roberto si scontrò a proposito delle scelte didattiche di fondo. Infatti, mentre Roberto privilegiava l’insegnamento in laboratorio cercando di utilizzare materiali esistenti in loco – un metodo definito da loro  bricolage scientifico – essi riproponevano difatto la didattica del periodo coloniale:  proprio da quelle tensioni ed esperienze sarebbe scaturito il suo sintetico saggio su  L’insegnamento delle scienze nei paesi del terzo mondo, che si legge ancora oggi con grande interesse.    La costruzione in proprio, per quanto possibile, degli strumenti scientifici impronterà anche il suo insegnamento universitario in Italia e mi sembra interessante la omologia con le proposte della matematica Emma Castelnuovo, cui del resto capitò non a caso di  scontrarsi in Niger con docenti formati alla maniera francese. Quando rivisitarono la Guinea nel 1997, decenni dopo un tipico colpo di stato normalizzatore, la trovarono decisamente peggiorata.

Rientrati in Italia nel 1970, Roberto ottenne un incarico di assistente nel nuovo Istituto di Fisica dell’università di Lecce mentre Paola trovò lavoro nell’ospedale di Copertino, grosso centro rurale della zona in cui andarono ad abitare e in cui svolsero una vivace attività politica, che per la prima volta avrebbe portato il Partito comunista (sino allora il partito dei cafoni) alla conquista, per la prima volta, del comune: ma i ricordi di Roberto sull’ambiente sono molto critici, per via della mentalità chiusa del partito e del pervasivo, insopportabile clientelismo della zona, tanto da  scrivere che si era sentito più estraneo a Lecce che a Guéckédou o a Pechino. Di qui la decisione di trasferirsi: come riuscirono a fare nel 1973, garantendosi un posto di lavoro lui all’università di Parma e lei nell’ospedale della vicina Montecchio, loro residenza definitiva in Italia.

Fu appunto a Parma che il lavoro scientifico di Roberto compì uno spettacolare balzo in avanti, che nel testo si mescola ai ricordi delle esperienze in paesi dove già esistevano o erano in progetto grandi acceleratori, di cui si volevano utilizzare anche le radiazioni elettromagnetiche emesse dalle particelle accelerate (la cosiddetta luce di sincrotrone). Infatti poichè «rompendo un blocco mentale» (a detta di un grandissimo fisico e premio Nobel) aveva trovato la formulazione corretta – verificata con un esperimento al Cern – di quel tipo di processi (sostituendo quella accettata e utilizzata da  tre quarti di secolo), semplificando enormemente la gestione dei fasci di particelle e del loro uso, venne invitato a compiere ricerche e a dare consulenze in gran parte di quei paesi.

Ovviamente le sue pagine parlano di fisica e di fisici; ma non mancano acute riflessioni sociali e geopolitiche, corroborate dalla sua profonda familiarità con persone, luoghi e linguaggi: penso alle osservazioni sugli Stati uniti – dai problemi del sistema scolastico e dell’aggressività della polizia locale al sollievo per la “burocrazia leggera” che li connota -, o sull’URSS e sulla Russia post Gorbaciov («Dopo la presa di potere da parte della Mafia con Yeltsin»…), ma anche sull’Afghanistan del 1971, del quale riporta dubbioso che il contadino coltivatore veniva pagato con 1/8 del raccolto, notizia che ci  spiegherebbe almeno in parte gli eventi successivi.  In seguito i ricordi più significativi riguardano la Cina e il Vietnam, con i cui scienziati iniziò una collaborazione intensa e duratura. Quei paesi, dove avrebbe soggiornato a lungo, Roberto li avrebbe percorsi a lungo, con Paola o da solo, e con ogni mezzo disponibile, ma spesso a piedi, dialogando, osservando e fotografando non soltanto i luoghi celebri, ma i luoghi della vita quotidiana, studiandone e apprendendone le principali lingue ideografate e parlate. Il conciso ma preciso e profondo resoconto di quelle peregrinazioni fornisce tra l’altro una testimonianza preziosa dei cambiamenti tumultuosi e insieme delle invarianze di fondo dei loro paesaggi e delle loro società.

Non meraviglia dunque che dal 2004 al 2008 Roberto scegliesse di lavorare come consigliere scientifico dell’ambasciata italiana a Pechino: un ruolo ottenuto non certo per appoggi dal governo dell’epoca. In alcune sue “lettere circolari” inviate da Pechino in quel periodo agli amici toscani e ai colleghi di Parma si trovano fra l’altro considerazioni tutt’altro che ovvie sulla Cina passata e presente. Paola intanto lavorava negli ospedali di Pechino tenendo anche un  corso di seminari con degli stupiti medici cinesi sul sistema sanitario italiano, sui suoi tratti costitutivi di universalismo e gratuità, così diversi dalla sanità del loro paese, che di fatto secondo Paola sembrava essere stata modellata sul sistema statunitense: non per nulla, già nelle loro escursioni nelle zone rurali, avevano trovato gli ospedali deserti perché i contadini non potevano pagarseli.

Quelle riflessioni erano però fitte di testimonianze anche su ritardi e incongruenze sul modo  di impostare i rapporti culturali fra Italia e Cina: «Stiamo facendo la figura di parolai e taccagni», scriveva nel 2008; e comunque della collaborazione scientifica alla nostra Ambasciata non gliene frega niente»; «ogni tanto mi ricordano che un accordo firmato dai due Ministri degli Esteri nel lontano (per la Cina) 1998 non è ancora stato ratificato da parte italiana»… Ma ciò che verificava quotidianamente essere un vero e proprio macigno sulla strada delle collaborazioni scientifiche, culturali ed economiche era la legge Bossi-Fini, che ostacolava a livelli autolesionistici la concessione di visti per l’Italia a professori, ricercatori, studenti, professionisti cinesi invitati da università, centri di ricerca, etc. italiani o internazionali. Peraltro, i laconici resoconti di alcuni dialoghi all’ambasciata a Pechino (non troppo dissimili da quelli di cui era stato testimone a Conakry quarant’anni prima)  fanno dubitare fortemente sulla congruità dei criteri di selezione del corpo diplomatico.

Della Cina e del suo sviluppo scientifico e tecnologico Roberto avrebbe continuato a occuparsi anche dopo il ritorno a Parma e la scelta di andare in pensione anticipata per una radicale insofferenza verso i crescenti, inutili carichi burocratici scaricati sui docenti delle università e verso la necessità di apparire piuttosto che essere per potervi sopravvivere.  Proseguì però le sue ricerche come “scienziato dilettante” grazie alla collaborazione iniziata nel 1990 con gli scienziati vietnamiti,   proficua e ininterrotta da quegli anni in cui era necessario costruirsi a mano con poveri materiali improvvisati gli strumenti di ricerca, come conferma il contenuto e il calore del loro messaggio di condoglianze:

«We are very sad to know that Professor Roberto Coȉsson had gone away. Professor Coȉsson is very close friend to Vietnamese scientists in the Vietnam Academy of Science and Technology and in many Vietnamese universities. He had help us too much for long time, from 1990 when Vietnam was in very difficult period after war, and his help and collaboration with us are fruitful until now. We always respect him and he will be forever in our memory».

Un attestato di stima e riconoscenza che sarebbe piaciuto molto a Roberto e che lo avrebbe riempito di legittimo orgoglio

Nota: Foto di copertina (Guangxi, sud della Cina) di Roberto Coȉsson

fonte: saluteinternazionale.info

Print Friendly, PDF & Email