Parlare del morire. di Benedetto Saraceno

Della morte si parla poco, sia essa derivata da un suicidio assistito oppure dalla sospensione di un trattamento medico o, infine sia semplicemente un esito naturale della malattia o della età avanzata.

Nel 2019 la Corte costituzionale, dopo la morte di Fabiano Antoniani, noto anche come “DJ Fabo”, aveva stabilito che a determinate condizioni non è punibile una forma di eutanasia definita assistenza al suicidio, cioè quando una persona di fatto permette a un’altra di suicidarsi. La Corte costituzionale aveva di fatto spinto il Parlamento ad approvare una legge in merito. Ma il Parlamento non ha fatto nulla. Ora, febbraio 2022, la Corte costituzionale ha respinto la ammissibilità del referendum che proponeva di abrogare una parte dell’articolo 579 del Codice penale, che punisce l’omicidio di una persona consenziente (1). Dunque, nessuna legge dal Parlamento e un respingimento da parte della Corte. Nulla di fatto.

In molti paesi la “morte assistita” è garantita senza che tale pratica sia considerata un reato. Circa 100 milioni di persone nel mondo hanno accesso a forme di morte assistita regolata dalle legislazioni nazionali: è il caso di nove stati degli USA, del Canada, dei Paesi Bassi, del Belgio, del Lussemburgo, della Spagna, della Nuova Zelanda e di quattro stati dell’Australia. La Svizzera, pur proibendo il suicidio assistito, permette che le persone che intendono morire possano autosomministrarsi un farmaco letale cosicché si configuri un suicidio e non un suicidio assistito. Fra il 1998 e il 2018 ben 129 cittadini italiani si sono recati in Svizzera per poter morire.

Si possono fare diverse ipotesi sulla forte resistenza a ogni forma di accompagnamento alla morte per coloro che, impediti a vivere una vita decente e dignitosa, decidano di morire. Ma più in generale, in Italia, la morte non fa parte di un discorso e di un dialogo fra la medicina e la società civile.  Calma piatta e silenzio perché della morte si parla poco, sia essa derivata da un suicidio assistito oppure dalla sospensione di un trattamento medico o, infine sia semplicemente un esito naturale della malattia o della età avanzata.

Si muore e basta: in Italia, il 44% delle morti avviene in casa ma il 47% in ospedale e il 9% nelle residenze per anziani. Dunque, il 56% delle morti avviene in ambiente sanitario ma l’ambiente sanitario è assente da qualsiasi riflessione o dibattito pubblico. Le persone sono lasciate sole, sole a morire e sole ad assistere chi muore.

Con straordinario coraggio, visione e capacità di problematizzare, Lancet ha istituito una Commissione «on the Value of Death: bringing death back into life” ed essa ha pubblicato il proprio rapporto il 31 gennaio del 2022. Si tratta di una commissione composta da 14 donne e 13 uomini provenienti in maggior parte dal Regno Unito seguiti da USA e poi Cina, India, Malawi, Norvegia e Singapore (2). Il coraggio sta non soltanto nel dedicare un corposo documento di 48 pagine a un tema troppo poco dibattuto, ma, soprattutto, per la impostazione ampia e complessa che riesce a toccare tematiche eterogenee e importantissime organizzate in numerose sezioni: scopo e metodi utilizzati nel rapporto, survey ricca di dati e informazioni sulla morte e i modi e i luoghi del morire, il sistema della morte e le sue forme organizzative,  gli aspetti spirituali e religiosi del morire, l’influenza di fattori quali il livello gerarchico nella società e le condizioni sociali ed economiche, la predominanza del sistema sanitario e delle politiche sanitarie ed economiche nella gestione del morire e della morte. Infine, il rapporto dedica una parte a diversi scenari futuri e possibili per la morte e le forme del morire, indicando quella che gli estensori del rapporto chiamano a realistic utopia della possibile “buona e auspicabile maniera di morire”.

La morte è raccontata e analizzata nel rapporto della Commissione Lancet come una esperienza preziosa che appartiene alla vita del morente e insegna ai viventi: “Si j’étais faiseur de livres, je ferais un registre commenté des morts diverses. Qui apprendrait les hommes à mourir, leur apprendrait à vivre » (Se io fossi uno che produce libri farei un registro commentato delle diverse morti. Chi insegnasse agli uomini a morire, insegnerebbe loro a vivere) scrive Michel de Montaigne. (3) Non vi è dubbio che questo rapporto è inusuale per una rivista medica come Lancet, quantunque la direzione di Richard Horton abbia da tempo dato una impronta innovativa, coraggiosa e multidisciplinare alla antica e prestigiosa rivista.

La storia del morire nel XXI secolo è la storia paradossale di milioni di persone che muoiono in ospedali ove ricevono over treatment e implacabili accanimenti terapeutici in contrasto con centinaia di milioni di persone che muoiono di malattie prevenibili, per complicanze evitabili e che, non solo non ricevono adeguati trattamenti ospedalieri o a casa, ma spesso muoiono con dolori acuti e insopportabili non trattati per la mancanza di farmaci antidolorifici. Basti pensare che a fronte di una sistematica e diffusa mancanza di ogni trattamento contro il dolore e di ogni intervento palliativo in tutti i paesi a basso e medio-basso reddito, nei paesi ad altro reddito una cifra compresa fra l’8 e l’11% della spesa sanitaria annuale è dedicato a persone in condizioni terminali e che rappresentano meno dell’1% delle morti annuali. Dunque, dall’eccesso di trattamento alla assenza di trattamento, l’accompagnamento alla morte è paradossalmente problematico sia per i ricchi sia per i poveri. Negli ultimi quarant’anni, nei paesi ad alto e medio reddito, si sono ingigantiti tre fenomeni: la morte arriva più tardi, il luogo della morte si è progressivamente spostato dalla residenza famigliare all’ospedale e le ultime ore/giorni di vita sono caratterizzati da un prolungamento insensato della esistenza biologica. Tutto questo si traduce in una sempre maggiore distanza fra il morente e i suoi cari che sono completamente esposti alle decisioni e alla gestione della medicina (4). Spiritualità, religiosità, ritualità, intimità sono penalizzate a favore di una tecnologia medica spesso futilmente accanita.

Queste considerazioni spiegano anche il perché del titolo della Commissione Lancet: “il valore della morte” visto come un bene da tutelare a fronte di una medicina che in alcuni casi iper-valorizza la vita e ignora la morte come essa rappresentasse invece che una esperienza, soltanto l’epifenomeno del fallimento delle cure.

La Commissione dichiara di basare il proprio lavoro su cinque principi:

  • Così come esistono dei determinanti sociali della salute e della malattia, parimenti esistono dei determinanti sociali del morire che possono essere decisivi nella determinazione non solo della morte ma anche dei modi in cui un individuo muore e i suoi cari accompagnano la morte e il lutto: povere morti sono la conclusione di vite in povertà. È pertanto necessario affrontare i temi del morire, del dolore, della pena e del lutto
  • Morire è un processo relazionale e spirituale e non soltanto un evento fisiologico. Nella misura in cui le società e la medicina riconoscono l’importanza e la complessità di tale processo mutano i criteri e le modalità delle terapie, della assistenza e della cura. Le relazioni umane divengono prioritarie e la relazione fra professionisti della salute, pazienti e famiglie, da basata su una continua transazione diviene basata sulla connessione e sulla compassione.
  • Vanno valorizzate le reti di supporto della cura che sono decisive anche per i processi del morire e del lutto. È indispensabile rompere la separazione fra cura in ambito professionale e cura in ambito domestico, cosicché il morire si trasformi in una esperienza ove nessuno esercita un potere su qualcun altro e tutti insieme condividono l’accompagnamento alla morte.
  • Storie e narrazioni sul morire, sul dolore e sul lutto devono essere riconosciute come elementi importanti e dotati di valore. La morte e il morire devono divenire parti esplicite della vita e le narrazioni intorno alla morte e al morire devono essere condivise, esplicitate, discusse perché sono esperienze universali che non devono essere evitate, nascoste o affidate esclusivamente alla medicina.
  • La morte deve essere riconosciuta come un valore in sé e alla esperienza del morire deve essere data attenzione, compassione, dignità e financo bellezza.

Il lettore probabilmente non si ritroverà in questo linguaggio tanto lontano da quello della medicina e piuttosto vicino a quello della antropologia culturale e della spiritualità ma questo è il linguaggio, inconsueto e coraggioso, che attraversa il rapporto della Commissione Lancet. La Commissione dedica anche una riflessione sul ruolo delle donne nei processi del morire. In quanto caregivers le donne sono esposte, più degli uomini, alla cura e all’accompagnamento dei morenti, e sono molto più implicate negli aspetti più corporei della morte, non ultimo il fatto che tradizionalmente è compito delle donne vestire i cadaveri. La Commissione Lancet ha calcolato che le attività di cura e assistenza a persone non autosufficienti, o in condizioni terminali contribuiscono per il 5% o più del prodotto nazionale lordo dei paesi. E questa significativa contribuzione è a costo zero perché non è retribuita né tantomeno riconosciuta degna di interventi di formazione.

 La commissione termina il proprio rapporto riportando le considerazioni fatte nel lungo percorso attraverso la cultura, la società, la medicina, la spiritualità, nel quadro di un set di raccomandazioni formulate a diversi stakeholders:

  • La società civile
  • Il Sistema di welfare e salute
  • Il mondo della ricerca
  • I governi e i diversi policy makers

Ognuno di questi è il recipiente di raccomandazioni tutte tese alla costruzione della possibilità per ogni persona di sperimentare quella che i commissari definiscono a good death. Una recente meta revisione sistematica identifica undici condizioni per una buona morte che, in ordine di importanza decrescente sono

  • il controllo e la mitigazione del dolore fisico
  • lo stabilirsi di una comunicazione e relazione con il personale sanitario
  • la possibilità concreta di compiere ritualità culturali, spirituali o religiose
  • la mitigazione dello stress emotivo e di ogni forma di sofferenza psicologica
  • il massimo possibile di autonomia decisionale rispetto ai trattamenti
  • la possibilità di morire nel luogo desiderato
  • la rinuncia ad ogni accanimento terapeutico e prolungamento artificiale della vita
  • la massimo consapevolezza possibile di quanto sta accadendo
  • la garanzia del supporto emozionale dei famigliari
  • la consapevolezza di non rappresentare un peso per chicchessia
  • il diritto a decidere quando terminare la propria vita

Ecco posta la questione alla medicina e più in generale alla società: non lasciare che la morte sia sottratta al morente e ai suoi cari, non lasciare che sia disumanizzata e ridotta a puro evento fisiologico perché, ci ricorda Martin Heidegger, la morte costituisce per ogni vivente la possibilità del suo essere più propria, incondizionata e insuperabile (5).

Benedetto Saraceno, Segretario Generale, Lisbon Institute of Global Mental Health

 

 

 

 

Bibliografia

  1. Corte costituzionale. Inammissibile il referendum sull’omicidio del consenziente. Comunicato Stampa del 15 febbraio 2022.Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte Ccostituzionale.https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20220215193553.pdf
  1. Sallnow L, Smith R, Ahmedzai S, Bhadelia A, Chamberlain C, Cong Y, Doble B, Dullie L, Durie R, Finkelstein E, Guglani S, Hodson M, Husebø B, Kellehear A, Kitzinger C, Knaul FM, Murray SA, Neuberger J, O’Mahony S, Rajagopal MR, Russell S, Sase E, Sleeman KE, Solomon S, Taylor R, Tutu van Furth M, Wyatt K.  Report of the Lancet Commission on the Value of Death: bringing death back into life. thelancet.com Published online January 31, 2022, https://doi.org/10.1016/S0140-6736(21)02314
  2. Montaigne M de. Essais. I, 20. Saggi. Testo francese a fronte, a cura di Fausta Garavini e André Tournon, Milano, Bompiani, 2012.
  3. Thomas L.V. Antropologia della morte. Milano, Garzanti 1976.
  4. Heidegger M. Sein und Zeit. Essere e Tempo. Trad.it. di Pietro Chiodi; edizione riveduta, UTET, Torino 1969, p.378.

fonte: saluteinternazionale.info

Fonte Immagine titolo: www.greenme.it

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