Bancarotta dello Sri Lanka: uno tsunami sulla salute. di Gavino Maciocco, Benedetto Saraceno

La bancarotta dello Sri Lanka si è abbattuta come uno tsunami su un rinomato ed efficace sistema sanitario: universalistico, pubblico e gratuito.  Con il rischio che nulla torni più come prima.

Lo scorso 22 maggio, a Haldummulla, città nella regione centro-meridionale di Sri Lanka, un bambino di 2 giorni ha manifestato un rapido calo dei livelli ematici di glucosio. I suoi genitori volevano portarlo di corsa in un vicino ospedale ma non avevano abbastanza benzina nel loro veicolo. Il padre del bambino ha fatto per ore la fila per la benzina, mentre le condizioni del bambino peggioravano. Alla fine, è stato in grado di raggiungere l’ospedale locale, solo per sentirsi dire che necessario ricorrere al pronto soccorso dell’ospedale della capitale, Colombo, a 190 km di distanza. Sfortunatamente, era troppo tardi: quando vi giunsero il bambino aveva cessato di vivere.”

Con  la descrizione di questo episodio si apre un ampio reportage del BMJ sulla situazione sanitaria di Sri Lanka: “The devastating health consequences of Sri Lanka’s economic collapse”[1]. Il collasso economico di Sri Lanka è formalmente datato 20 maggio 2022, il giorno in cui il governo ha dichiarato bancarotta non essendo in grado di ripagare un debito estero di 77 milioni di dollari. Negli ultimi due anni la situazione economica del paese si era andata progressivamente deteriorando fino ad arrivare al collasso totale: niente più soldi per importare dall’estero beni essenziali come benzina, cibo e medicine. Le autorità hanno chiuso le scuole e hanno chiesto ai funzionari pubblici di non andare a lavorare a causa della carenza di carburante. Negli ospedali e nei centri sanitari mancano o scarseggiano farmaci essenziali e materiale sanitario con la conseguenza che alcuni servizi sono stati costretti a chiudere, tra cui il reparto di chirurgia toracica di Colombo, una delle eccellenze del paese.

Le cause di questa crisi devastante sono molteplici. La pandemia ha provocato il crollo dei proventi che derivavano dal turismo e dalle rimesse degli emigrati, le principali fonti di reddito per il paese. A ciò si è aggiunto più recentemente l’aumento del costo dell’energia e del grano, anche a causa della guerra in Ucraina. Poi ci sono cause più lontane nel tempo che hanno tuttavia inciso profondamente sullo sviluppo del paese: la guerra civile contro il gruppo separatista Tigri Tamil iniziata nel 1985 e conclusasi nel 2009 (con la cruenta sconfitta dei separatisti) che ha provocato la morte di 80-100 mila persone e una forte crescita delle spese militari;  Il maremoto (tsunami) dell’Oceano Indiano del 26 dicembre 2004, uno dei più catastrofici disastri naturali dell’epoca moderna con centinaia di migliaia di morti. Lo tsunami ha riguardato l’intero sud-est dell’Asia, giungendo a lambire le coste dell’Africa orientale, provocando in Sri Lanka oltre alla perdita immediata di oltre 35mila vite, ingenti danni a scuole, ospedali, attività industriali e altre infrastrutture e lo sfollamento di circa un milione e mezzo di persone dai distretti colpiti dallo tsunami [2].

E poi c’è la politica. La guerra civile ha fatto emergere forze politiche ultra-nazionaliste con chiare tendenze liberiste in economia. Dal 2005 il potere è stato preso più che da un partito, da una famiglia i Rajapaksa (tra cui Mahinda Rajapksa presidente dal 2005 al 2015, e suo fratello Gotabaya, presidente dal 2019 ai giorni nostri) accusati di nepotismo e corruzione, costretti a fuggire all’estero, e a dimettersi, dopo che la popolazione inferocita per la crisi aveva invaso e vandalizzato i palazzi presidenziali[3].  Durante gli anni del potere in mano ai Rajapaksa non sono mancati i tentativi di iniettare nella sanità dosi di mercato, come la privatizzazione della formazione medica, che sono stati respinti dai medici, affezionati a un sistema pubblico, gratuito e universalistico fondato nel 1951 (Sri Lanka, già Ceylon, ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948).

Un sistema sanitario che pareva la copia di quello istituito in UK tre anni prima, nel 1948. Un sistema che ha nell’arco della sua storia ha dimostrato di essere non solo facilmente accessibile e equo ma anche estremamente efficace in termini di salute.

In un convegno internazionale tenuto a Bellagio nell’aprile del 1985, dal titolo Good Health at Low Cost”, furono esaminati i casi di Cina, Sri Lanka, Costa Rica e Kerala (stato dell’India); quattro realtà in cui a fronte di un PIL molto basso (e con limitate risorse destinate alla sanità) si erano ottenuti ottimi risultati in termini di salute della popolazione. Queste furono le conclusioni: “I partecipanti, dopo aver esaminato i risultati presentati alla conferenza, unanimemente adottano le seguenti raccomandazioni: I quattro stati che hanno ottenuto “una buona salute a un basso costo” hanno dimostrato un chiaro impegno, politico e sociale, verso un’equa distribuzione del reddito nelle loro società. Dato questo impegno, tre ulteriori fattori sembrano aver giocato un ruolo maggiore nel loro successo, come dimostrato dal marcato declino della mortalità infantile e dei bambini al di sotto dei 5 anni e da livelli di speranza di vita alla nascita vicini a quelli dei paesi sviluppati. Questi fattori costituiscono raccomandazioni per i programmi di sviluppo in altri paesi:

  • Equa distribuzione del reddito e accesso per tutti ai servizi di sanità pubblica e di assistenza sanitaria a partire dai livelli primari, rinforzati dai sistemi secondari e terziari;
  • Un sistema educativo accessibile a tutti, particolarmente di primo livello, con possibilità di passare al secondo e terzo livello;
  • Sicurezza di un’adeguata nutrizione in tutti gli strati della società.”[4]

La sanità di Sri Lanka ha mantenuto gelosamente le sue caratteristiche originarie con risultati di salute sorprendenti, soprattutto se messi a confronto con quelli di paesi vicini, come India e Bangladesh (Tabella 1).

Va notato che a seguito della catastrofe provocata dal maremoto del 2004 lo straordinario afflusso di aiuti internazionali permise al Ministero della Salute dello Sri Lanka di promuovere una più ampia riforma nazionale della salute mentale[5]. Dopo intense trattative e con il supporto tecnico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i professionisti della salute mentale riuscirono a concordare una nuova politica nazionale per la  salute mentale, che il governo dello Sri Lanka approvò rapidamente ossia  dieci mesi dopo il disastro . Fu un interessante e unico caso quello dello Sri Lanka. OMS e Ministero della salute riconobbero che i finanziamenti resi disponibili per la salute mentale dalla comunità internazionale erano talmente importanti da permettere un ambizioso programma di riforme per l’intero paese ossia ben oltre le aree ove lo tsunami aveva colpito. La nuova politica poneva l’accento sull’assistenza globale, decentralizzata e basata sulla comunità. Richiedeva la riconfigurazione dei servizi di salute mentale in modo che l’assistenza potesse essere accessibile a livello locale. Ogni distretto fu tenuto a istituire reparti di degenza per acuti, nonché un’ampia gamma di servizi basati nella comunità e un intenso coinvolgimento del livello primario del sistema sanitario nazionale. Infine, fu promossa e una nuova legislazione per la salute mentale decisamente orientata alla salvaguardia dei diritti umani delle persone con disturbi mentali. Questa straordinaria stagione di riforme e innovazione che collocò lo Sri Lanka fra le “best practices” internazionali in salute mentale, è venuta progressivamente spegnendosi dopo il quinquennio post tsunami, 2005-2010, per scelte politiche dei governi Rajapaksa . Oggi non è rimasto molto di quel grande forzo culturale e organizzativo.

La “multicrisi” che si è abbattuta su Sri Lanka e sul suo rinomato sistema sanitario ha avuto l’effetto di uno Tsunami: l’economia distrutta, i trasporti bloccati, i servizi chiusi, gli stipendi non pagati, con enormi sofferenze per la popolazione. Difficile prevedere quali saranno gli sviluppi della situazione sia dal punto di vista politico che economico.  Certamente la bancarotta di una nazione è materia di Banca Mondiale e di Fondo Monetario Internazionale e se guardiamo alla storia passata – gli structural adjustment degli anni 80-90 del secolo scorso[6] – ma anche a quella più recente – vedi le condizioni imposte alla Grecia – è molto improbabile che il sistema sanitario dello Sri Lanka riesca a mantenere le sue caratteristiche originarie di universalità, equità e gratuità.

Bibliografia

[1] Sarkar S, The devastating health consequences of Sri Lanka’s economic collapse, BMJ 2022;377:o1543 http://dx.doi.org/10.1136/bmj.o1543

[2] Fauci AJ, Bonciani M, Guerra R, Quality of life, vulnerability and resilience: a qualitative study of the tsunami impact on the affected population of Sri Lanka, Ann Ist Super Sanità 2012 | Vol. 48, No. 2: 177-188 177 DOI: 10.4415/ANN_12_02_11

[3] Kuruwita R, La cacciata dei fratelli Rajapksa, The Diplomat, Stati Uniti, in Internazionale del 15-21 luglio 2022, pag. 30-31.

[4] Conferees Summary Statement. In “Good Health at Low Cost” (Edited by Halstead S.B., Walsh J.A. and Warren K.S.), p. 136. The Rockefeller Foundation, New York, 1985, in K.S. Warren, The evolution of selective primary health care, Soc. Sci. Med., Vol. 26. No. 9. Pp. 891-898, 1988

[5] World Health Organization (WHO). Building back better: sustainable mental health care after emergencies. Overview. WHO: Geneva, 2013.

[6] Maciocco G, Politica, salute e sistemi sanitari, Pensiero Scientifico Editore, 2009, p. 35

fonte: saluteinternazionale.info

Print Friendly, PDF & Email