Uno sguardo che vede i bisogni nella concretezza della vita reale. di Silva Bon

Tutto intorno è oscurità. Il mare in tempesta, torbido. Il vascello, squassato dalle onde alte, violente, oscilla pericolosamente tra gli scogli. Scilla e Cariddi appaiono ai naviganti simili ad allucinazioni spaventose, a tratti vicinissimi, sono gli incubi reali contro i quali ci si può infrangere. Ulisse, per sostenere la malia misteriosa e terribile del canto delle Sirene, è legato all’albero maestro della nave.

Ma la melodia dolce e pervasiva, insidiosa e corruttrice, proviene dal gruppo delle Sirene ormai, in realtà, Arpie: uccelli rapaci, armati e unghiuti, che si avventano feroci contro i deboli e gli indifesi, contro i sofferenti, inferendo loro, proprio in virtù del diritto – potere, che esercitano con arroganza e prevaricazione, pene e sofferenze, mistificate come “cure mediche necessarie”.

E oggi, si pubblicano libri di successo, che già dal titolo svelano il progetto perverso, anzi rivendicato come ineludibile, in una spirale invertita di visione della cura: Paolo Milone pubblica per Einaudi (!) un testo che vuole insegnare “L’arte di legare le persone”, sdoganando una pratica comunemente e diffusamente percorsa negli SPDC e anche nei CSM in Italia.

Ricordo una notte di delirio a Klagenfurt: legata a una alta e instabile barella, isolata in una specie di stanza – stanzino (?) completamente vuoto, il pavimento lucido, l’ambiente asettico. Abbandonata dai medici, che avevano tentato di sedarmi, percorrevo le ore lente e buie sola e disperata, vivendo lo strazio dell’impossibilità. I giorni di ricovero successivi sono completamente svaniti dalla mia memoria, mangiati dalla contenzione farmacologica.

Questo sta tornando, in Italia e non solo. 

La mia vuole essere una denuncia di uno stato di stallo, di un processo di involuzione in atto, che fa dire agli psichiatri: 

“Si riesce a lavorare in Psichiatria solo se ci si diverte.

Io mi sono divertito per anni.

Non tutti gli anni:

non i primi – troppe illusioni,

non gli ultimi – troppi moduli,

non quelli di mezzo – troppo mestiere”.

Ebbene, noi, persone con esperienza, non ci divertiamo affatto! E reclamiamo i nostri diritti a una cura umana, che rispetti la nostra umanità.

Il sono realmente una Sopravvissuta della Psichiatria, aiutata ad attraversare lunghi momenti di crisi e di difficoltà; sostenuta a mantenere comunque il mio status di insegnante qualificata nei licei; spinta a crescere come persona e come donna nei tanti gruppi di auto mutuo aiuto; portata ad apprendere saperi nuovi partecipando attivamente a Seminari e a Convegni in Italia e all’estero.

E sono qui, non per un falso e narcisistico protagonismo.

Sono qui per dire parole, che molti miei amici, molte mie amiche, con cui ho condiviso esperienze di sofferenza, forse non possono dire.

Invece, proprio chi ha vissuto, chi vive la malattia, ha tante cose da dire e gli operatori, gli addetti ai lavori, dovrebbero mettere al centro dei loro interventi medici, necessariamente, l’ascolto. 

Recentemente ho avuto l’opportunità di portare un contributo al Global Mental Health, invitata dalla dott. Devora Kestel, che lavora a Ginevra come Direttore del settore che si occupa della Salute Mentale all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le giornate romane sono state intense. Ho visto sfilare numerose delegazioni ufficiali di Ministri della Sanità e di psichiatri provenienti da realtà e da culture molto diverse e lontane tra loro. Ho ascoltato con attenzione dichiarazioni programmatiche ed enunciati, assolutamente illuminati e condivisibili.

Sono mancate, a mio avviso, parole come: chiusura dei manicomi; linee guida alle buone pratiche; visione e volontà politica, necessarie al cambiamento reale di fattualità e di mentalità.

In Italia, è reale il pericolo di disattesa totale della applicazione della Legge 180, che rappresenta un esempio di innovazione concreta, rivoluzionaria, cui hanno guardato e ancora guardano le psichiatrie da tutto il mondo.

Ecco, io penso che le persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale hanno bisogno di essere prese in carico con uno sguardo che veda i loro bisogni, nella concretezza delle necessità della vita. 

Il diritto a una cura adeguata, che rispetta e anzi valorizza, accende, le possibilità delle persone come soggetti; una cura pensata e costruita su percorsi terapeutici finalizzati alle singole individualità; una cura che porta ad assumere piena cittadinanza, inclusione all’interno delle comunità e dei territori.

Le parole come “rispetto”, come “stigma” oggi sono parole vuote, rinsecchite, morte, abusate, ripetute in modo automatico, come ritornelli cantanti.

Chi ha vissuto sulla sua pelle la violenza della mancanza di rispetto; l’umiliazione e l’offesa bruciante dello stigma chiede oggi un forte cambiamento di passo: i medici psichiatri hanno un potere totale sulle persone sofferenti. E’ necessario che il loro potere sia agito con umanità e amore.

fonte: FSM La terra è blu

Silva Bon
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