La parabola di “Quelli che non …”. di Carlo Gnetti

“Sulla testa ha una spada di Damocle sotto forma di un debito certificato di quasi centomila euro dal Tribunale fallimentare… Un debito che l’associazione Quelli che non… – nata a cavallo del vecchio e nuovo secolo, guardando con grande sensibilità ai giovani portatori di handicap e al loro bisogno di fare sport – ha fronteggiato con i crediti, grosso modo lo stesso importo del debito, che vantava con il Comune.

‘Ma il paradosso di questa vicenda, che non esito a definire kafkiana – dice il presidente onorario dell’associazione, Giorgio Pini –, è che mentre il debito è certificato dal Tribunale, il nostro credito non viene riconosciuto per effetto del dissesto del Comune’. Morale della favola: l’attività dell’associazione è ridotta ai minimi termini”.

Il brano è tratto da un articolo pubblicato da La Nazione l’8 luglio 2022. L’intervistato Giorgio Pini è un neuropsichiatra infantile che per anni è stato il pilastro del servizio dedicato ai bambini con problemi neurologici della Asl 12. La storia che lo vede protagonista, e che raccontiamo qui per sommi capi, offre spunti di riflessione sui problemi di ordine politico, burocratico ed economico che le associazioni senza scopo di lucro affrontano in questi tempi complicati e contraddittori, in cui si alternano spinte in avanti e dolorosi ritorni indietro.

Dunque, nell’estate 1999 il servizio di neuropsichiatria infantile della Asl 12 Versilia e il Comune di Viareggio, assieme a un’associazione di disabili, decidono di organizzare un torneo e una scuola calcio aperta ai ragazzi disabili e non. L’idea di fondo è creare un’occasione per avvicinare la parte di popolazione che rimane esclusa dai servizi specialistici e metterla in contatto con il mondo dei cosiddetti “normali”. Secondo le stime nazionali e internazionali più accreditate, a rivolgersi ai servizi è solo il 10 per cento dei bambini e ragazzi in età evolutiva che presentano disturbi psichici o neurologici tali da richiedere un intervento. “Questa consapevolezza – spiega il dottor Pini – ci ha spinto a cercare nuove strategie, finalizzate a coinvolgere i bambini che avevano avuto un’esperienza nei servizi dedicati alla salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza in uno spazio più ampio e meno specialistico. Per evitare di trasformare il gruppo nel ghetto riservato ai ‘poverini’ si è cercato, da subito, di coinvolgere nel progetto non solo i bambini disabili, ma anche i loro fratelli, sorelle e compagni di scuola, sollecitando l’iscrizione di bambini istituzionalizzati per dolorose vicende familiari e sociali, ma relativamente indenni. La nostra speranza era di attirare anche i ragazzi del quartiere e della città che preferivano un’attività meno agonistica e stressante di quella proposta dalle società calcistiche tradizionali. E ci siamo riusciti”.

Si costituisce così un gruppo talmente eterogeneo che è quasi impossibile identificarlo con una delle sue componenti o patologie cliniche, anche se inizialmente l’associazione promotrice è classificata nell’immaginario locale come ‘quella dei bimbi handicappati’. “Per l’iscrizione al torneo – spiega il dottor Pini – non è stata fatta alcuna distinzione di sesso, nazionalità, religione o cultura: sono stati ammessi fanciulli e fanciulle di età compresa tra 6 e 16 anni che avessero in comune la voglia di stare insieme, in un campo da calcio, senza l’ansia della prestazione o della vittoria, senza lo scoramento della sconfitta. Perché il calcio? Non esiste una risposta sensata, se non che il calcio è la disciplina più conosciuta e amata dai ragazzi, e che è relativamente facile trovare spazi adatti e persone disponibili”. Non solo questo, ovviamente. “Nella scuola calcio – spiega ancora Pini – i ragazzi hanno l’opportunità di mostrare il loro carattere, anche i loro contrasti, cercando però di coniugare la competitività dell’agone sportivo con lo spirito di collaborazione. I bambini ‘normali’ si divertono e imparano il valore della solidarietà; non perdono la veemenza – dice l’allenatore – ma, se hanno di fronte un bambino più piccolo o un disabile, intervengono con un po’ più di attenzione. I bambini istituzionalizzati trovano un clima di attenzione e di affetto, imparando a pensare che non tutto il mondo è cattivo con loro. Quelli che neanche ti guardano negli occhi, e tanto meno ti parlano, magari ancora non giocano ma si esaltano a tifare per i verdi o per i rossi, e commentano le fasi del gioco, perfino con gli sconosciuti. Tutti crescono, acquistando fiducia in sé stessi e negli altri”. “Non abbiamo la pretesa che queste attività siano un’alternativa alla terapia tradizionale, medica, psicoterapica o riabilitativa – conclude il dottore –. Siamo però convinti che la scuola calcio, con la supervisione di alcuni specialisti socio-sanitari, sia a buon diritto una riabilitazione psicosociale. Scrive Manlio Cancogni riferendosi alla nostra associazione: ‘fate giocare al calcio i bambini disabili, soli e muti ed essi parleranno’”. Potere dello sport.

Fatto sta che sia il torneo sia la scuola calcio riscuotono un successo superiore a ogni aspettativa. Alla premiazione finale, che prevede una distribuzione equa di medaglie fra tutti i partecipanti al torneo, intervengono uomini politici, assessori e dirigenti sanitari. Sull’onda dell’entusiasmo i promotori decidono di costituire un’associazione sportiva e di allargare il campo non solo ad altre discipline come la scherma, il nuoto, la ginnastica aerobica e la vela, ma anche ad attività creative come la pittura, la ceramica, il canto, ovunque vi siano persone disponibili e sensibili all’inserimento dei ragazzi e in modo che ogni bambino possa misurarsi con le proprie inclinazioni. Si organizzano mostre e manifestazioni culturali che coinvolgono noti artisti e sportivi locali (tra i quali Marcello Lippi), gite in Italia e all’estero con tutti i mezzi di trasporto possibili (treno, autobus, aereo, nave, persino una carrozza trainata da cavalli). Infine viene preso in gestione un impianto sportivo con l’intenzione di raggiungere l’autosufficienza economica.

Il 15 novembre 2000, su mandato del Comune di Viareggio e della Asl 12 Viareggio, nasce l’Associazione Quelli che non…, con l’obiettivo di “assicurare anche ai bambini e ragazzi meno fortunati opportunità di socializzazione e di divertimento, occasioni di incontro e momenti di felicità”. Il 29 gennaio 2002 viene stipulata una convenzione con il comune di Viareggio, che si impegna a sostenere economicamente l’attività dell’associazione. Nel gennaio 2003 Quelli che non… da associazione sportiva si trasforma in Associazione di Promozione Sociale senza fini di lucro, che nel 2022 adeguerà il proprio statuto alla normativa prevista dalla riforma del Terzo settore.

In questo periodo non mancano i riconoscimenti, anche internazionali. In occasione del suo 50° anniversario, la Uefa premia l’associazione Quelli che non… – unica in Italia – per i risultati ottenuti nell’integrazione sociale donandole un campetto multifunzionale, che i ragazzi intitolano a un giovane apprendista morto nella prima settimana di lavoro, Matteo Valenti. All’inaugurazione partecipano la famiglia di Matteo, la campionessa mondiale di scherma Margherita Zalaffi e l’arbitro Casarin, assieme a rappresentanti dello sport, della politica e della cultura.

Nel 2010 vengono inseriti nelle attività dell’associazione dieci bambini di etnia Rom del campo nomadi di Torre del Lago. Nel frattempo sono avviati progetti di collaborazione con altre associazioni, tra cui la fondazione TIAMO che mette a disposizione i propri spazi per attività sportive e mostre. Con il Comune di Viareggio viene lanciata un’iniziativa di supporto alle mamme lavoratrici che prevede campi estivi per bambini dai 6 ai 12 anni. Altri progetti vedono protagonisti Auser, Uisp, Unicoop Tirreno, Croce Verde, persino il Dipartimento giustizia minorile di Firenze per l’inserimento di minori in attività socialmente utili alternative alla pena.

I problemi tuttavia erano dietro l’angolo. Qualche anno prima, nel 2006, il Comune di Viareggio aveva affidato la gestione dei propri beni alla neo costituita Viareggio Patrimonio. Da allora, secondo la denuncia di Quelli che non…, non c’è più stata l’erogazione regolare dei contributi previsti, né è stata rinnovata la convenzione. E neppure è stata effettuata alcuna revisione dei prezzi nel momento in cui stavano crescendo i costi di gestione degli impianti sportivi e le tariffe per affittare quello a disposizione di Quelli che non… diventavano troppo basse. I ripetuti incontri con il sindaco e l’assessore, che pure hanno sempre continuato ad auspicare il buon esito della vicenda, non hanno portato ad alcun risultato concreto. Tanto che nel 2018 l’associazione, vedendosi negare i crediti, per quasi un terzo destinati ai progetti di aggregazione giovanile, ha dovuto adire in Tribunale la Viareggio Patrimonio – nel frattempo fallita – al fine di tutelare la propria posizione nei confronti del Comune.

Arriviamo così alla situazione di oggi. Nonostante i problemi economici, la crescita del debito, la sfiducia generale, l’attività di Quelli che non… non si è mai interrotta. Però è sempre più affidata alla buona volontà dei singoli, con il continuo timore di vedere materializzarsi le ingiunzioni del Tribunale per il pagamento del debito. “Speriamo che si trovi una soluzione – auspica il dottor Pini –. Con questo ‘peso’ sulla testa non possiamo permetterci di programmare niente per i giovani fragili e le loro famiglie. Una volta definito il contenzioso siamo pronti a ricominciare con lo stesso spirito di servizio”.

        Carlo Gnetti
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