Contratto di Governo: sulla sicurezza cultura reazionaria, sulla sanità qualcosa di sinistra. di Guglielmo Pepe

Molto etichette si attribuiscono in questi giorni – governo di destra, di centrodestra, fascista – che semplificano politicamente l’alleanza, il contratto, il patto, tra M5S e Lega. In tanti le ritengono superate, ma restando alla tradizione, almeno in parte colgono nel segno. Perché considerare la sicurezza come una pratica violenta, che potrebbe portare ad armare i cittadini, o la giustizia soltanto come vendetta, che esclude ogni possibilità di “redenzione”, rientra in una cultura reazionaria. Se l’immigrazione è solo “rimpatri e stop al budiness”, senza alcun accenno all’accoglienza e all’inclusione, si ha un atteggiamento quanto meno conservatore. Che dire poi del silenzio sui diritti civili (forse perché divisivi tra le due forze politiche)?. Tuttavia se giochiamo con le etichette, sempre e comunque approssimative, allora si può affermare che nel programma sulle politiche sociali sottoscritto dai futuri governanti, c’è qualcosa di sinistra. Anzi, sulla Sanità viene preso il meglio di alcune delle proposte fatte negli ultimi decenni dalle forze democratiche e progressiste, per una salute davvero pubblica, al servizio dei cittadini e in particolare delle fasce più deboli della società.

D’altra parte avendo sostenuto dall’opposizione – soprattutto il M5S – proposte, obiettivi, idee che adesso sono contenute nel programma per il Paese, sarebbe alquanto bizzarro indicare una diversa strategia. Stranamente però negli ultimi giorni, a proposito dei progetti da realizzare, si è parlato quasi di tutto, dall’Europa alla Tav, dall’immigrazione al Fisco, dal Reddito di cittadinanza al sostegno alle famiglie, tranne di una cosa che sta molto a cuore agli italiani: la salute. Indifferenza? Sottovalutazione? Difficile da capire, perché poi delle 40 pagine del “contratto” sottoscritto da Di Maio e Salvini, circa tre sono dedicate al capitolo Sanità.

Le prime parole del capitolo sono nette: “È prioritario preservare l’attuale modello di gestione di servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la riforma della legge n. 833 del 1978 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Tutelare il SSN significa salvaguardare lo stato di salute del paese, garantire equità nell’accesso alle cure e uniformità dei livelli essenziali di assistenza”. Domando: c’è qualcuno del Pd o di Liberi e Uguali che non sottoscriverebbe questo incipit? Se poi teniamo presente che 11 milioni gli italiani hanno un’assicurazione sulla salute – e diventeranno 21 milioni entro il 2025 – non è difficile capire che puntare sul pubblico rappresenta una scelta di campo. Perché scommettere sul settore pubblico comporta anche un diverso atteggiamento nei confronti del privato, finora ampiamente incentivato.

Proprio all’inizio viene ripreso un tema cavalcato dalla sinistra (se non ricordo male la prima ad affrontarlo fu l’ex ministra Livia Turco), e mai attuato fino in fondo: la separazione della politica dai ruoli dirigenziali negli ospedali. Si legge: “…i gestori della Sanità dovranno essere adeguatamente e preventivamente formati per garantire la sostenibilità e la qualità del sistema salute e scelti secondo la competenza e il merito, non sulla base di logiche politiche e partitiche”. E quindi si prevedono nuovi criteri di nomina “dei direttori generali, sanitari, amministrativi, e dei dirigenti di strutture complesse”. Sono convinto che questo passaggio verrebbe sottoscritto dalla stragrande maggioranza del personale medico (e non solo).

La parte più delicata riguarda l’economia. Si scrive che il finanziamento verrà dal sistema fiscale, “riducendo al minimo la compartecipazione dei singoli” (ma non è chiaro se saranno aboliti i ticket), e “bisognerà garantire la sostenibilità economica ai Lea, rifinanziando il Fondo sanitario nazionale” (che nei tempi recenti ha subito continui tagli ed è stato sempre motivo di scontro tra le parti sociali e i governi precedenti: oggi è di poco superiore ai 113 miliardi di euro). Si auspica perciò una efficace lotta alle inefficienze e agli sprechi, leit-motiv di tutte le amministrazioni. Ma poco applicata, nonostante la revisione della spesa risalga ai tempi dall’ex premier Monti. Per esempio: tre settimane fa Gian Antonio Stella, ha riportato sul Corriere della Sera che uno stesso pasto costa 7 euro in un ospedale e 20 euro in un altro, distante appena 20 chilometri. Si parla poi di revisione della “governance farmaceutica ed sanitaria” (però non si spiega di più: si interverrà sulle nomine dell’Iss, dell’Aifa?), di attuazione della centralizzazione degli acquisti e di digitalizzazione del SSN. (Che se procede molto bene dal punto di vista tecnologico, non prende piede perché solo tre pazienti su dieci si fidano del digitale, secondo l’Osservatorio dell’Innovazione del Politecnico di Milano).

Qualche accenno è dedicato alla revisione delle procedure di convenzionamento e accreditamento (cosa che non farà piacere alle Regioni di manica larga nei confronti dei privati), alla promozione della trasparenza e alla lotta alla corruzione. Un aspetto che indigna molto i cittadini, a causa dei continui scandali che vedono spesso coinvolti professionisti di spicco (l’ultimo episodio, ad aprile, a Milano, dove sono stati arrestati quattro primari per aver ricevuto “mazzette” in cambio di protesi ortopediche). Di sicuro la corruzione assorbe una bella fetta di denaro: i calcoli, probabilmente per difetto, superano i 6 miliardi di euro.

Si parla poi di Fascicolo Sanitario Elettronico di efficacia e di appropriatezza, di controllo rapido dei risultati gestionali, di far sviluppare la tele medicina “per ridurre gli spostamenti dei pazienti, abbattere i costi e garantire cure domiciliari di maggiore qualità”. Inoltre bisogna superare il modello “ospedale-centrico”, migliorare i servizi socio-sanitari, quelli territoriali, prendendo in carico il paziente per uno “specifico percorso” assistenziale, e migliorando la prevenzione. Tutto questo, a macchia di leopardo, è nelle buone pratiche sanitarie da qualche anno, grazie all’azione riformatrice voluta dal centrosinistra.

C’è poi una novità sull’integrazione socio-sanitaria che riguarda il rafforzamento del ruolo dei Comuni, che si occupano di assistenza a compartimenti stagni, mentre servirebbero un migliore rapporto con le Regioni e maggiori risorse economiche e strutturali ai servizi territoriali di prossimità e domiciliari. E anche queste proposte trovano profonde radici in particolare nelle Regioni dove un tempo il Pd “dettava la linea”.

Un capoverso è dedicato al problema annoso – e direi drammatico, perché incide radicalmente sulla sopravvivenza dei pazienti – delle liste di attesa. Vergognose oltre ogni limite se vediamo che, ad esempio nel Lazio, nonostante i miglioramenti recenti introdotti dal governatore Zingaretti, bisogna aspettare 8 mesi per un’ecografia. Otto mesi? Nel frattempo sei in fin di vita…

Nel documento si legge che una migliore organizzazione deve garantire “che non vi sia alcuno squilibrio tra le prestazioni istituzionali e quelle erogate in regime di libera professione”. Qui sarebbe utile un approfondimento, perché molti esperti sostengono che l’intra moenia dovrebbe essere eliminata. Però si legge che “è indispensabile assumere il personale medico e sanitario necessario” (un passaggio certamente applaudito da tutti i sindacati che da anni lamentano una crescente carenza degli organici, il “capitale umano” dell’assistenza). Quindi serviranno più laureati, perciò sarà obbligatorio “rivedere il numero chiuso” a Medicina, “dare più borse di studio agli specializzandi”, “consentire ai neolaureati l’accesso alle strutture sanitarie” per fare pratica, per imparare. Queste righe invece faranno felici parecchi studenti.

Infine il capitolo invecchiamento, e le questioni connesse. Non c’è dubbio che nella nostra società ci sia una diffusa rimozione della vecchiaia. Per affrontarla in modo positivo si sottolinea l’importanza di una diffusa rete socio-sanitaria. Ma servono strutture di sostegno per le patologie cronico-degenerative e oncologiche, oltre alle risorse adeguate per l’assistenza diretta e personalizzata “dei soggetti affetti da malattie rare e croniche”. E proprio sugli anziani troviamo una novità, con l’inserimento di una “rappresentanza significativa dei pazienti (diretta o dei familiari), ai vertici gestionali delle strutture assistenziali per l’età avanzata, sia pubbliche che private”. E nelle parole finali del capitolo viene sottolineato, indirettamente, uno degli aspetti fondamentali, e carenti, della medicina moderna: l’umanizzazione in Sanità. Che richiede maggiore attenzione. A mio parere sarebbe stato opportuno dedicare qualche riga in più al “cuore” dell’assistenza sanitaria, ovvero la centralità della persona, in ogni ambito terapeutico ed assistenziale. Comunque “solo il controllo diretto e capillare degli interessati potrebbe garantire il rispetto di quei parametri di civiltà del vivere, troppo spesso disattesi in strutture che frequentemente si configurano come attivi terminali di ‘esistenze non più funzionali al sistema’ piuttosto che ambienti dove avviarsi serenamente e con dignità, al naturale concludersi della propria esistenza di vita”.

È un libro dei sogni? Non credo: nel bene e nel male, appartiene in larga misura alla storia della salute degli italiani negli ultimi quaranta anni. Con qualche aggiustamento e alcune accentuazioni (e con novità indiscutibili, come il ministero delle disabilità, che viene istituito separatamente: ci tornerò su). Ma la domanda delle domande è una: visto che si parla spesso di risorse da stanziare, dove saranno trovati i soldi per migliorare la Sanità? La lotta agli sprechi, alle inefficienze, alla corruzione, è un ottimo proposito. Tuttavia il ritorno economico è più futuro che immediato. Mentre i bisogni di salute dei cittadini non hanno tempo, non possono aspettare.

Restano altre questioni che richiedono attenzione. Come i vaccini. Sui quali sono state scritte, dette e fatte cose quanto meno discutibili. Sappiamo che il M5S e la Lega si sono opposti alla legge Lorenzin: vedremo come il prossimo governo vorrà affrontare un tema di forte interesse pubblico, che ha diviso il Paese per un anno. Però già qualcosa si intuisce dalle poche righe aggiunte nella seconda stesura del programma, dove leggiamo che “pur con l’obiettivo di tutelare la salute individuale e collettiva, garantendo le necessarie coperture vaccinali, va affrontata la tematica del giusto equilibrio tra il diritto all’istruzione e il diritto alla salute, tutelando i bambini in età prescolare che potrebbero essere a rischio di esclusione sociale”. Non sono un mago se dico che le norme punitive (l’esclusione dagli asili e dalle materne dei piccoli non vaccinati) salteranno, e che si andrà agli obblighi vaccinali “a tempo”. In ogni caso qualche proposta di legge è già stata depositata. E una porta la firma, se non ricordo male, anche di Giulia Grillo, candidata alla guida del ministero della Salute. Ma questo è un altro “capitolo” della sanità Lega-Stellata.

Fonte: Repubblica.it

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