Valutare in sanità? OK. Ma a che serve? di Cesare Cislaghi

Valutare significa fondamentalmente assegnare un valore a un oggetto o a una situazione, ma l’obiettivo non è sempre lo stesso: talvolta infatti si valuta indipendentemente da qualsiasi decisione da assumere, per lo meno a breve, mentre per lo più la valutazione consiste in un giudizio da cui vien fatta dipendere una scelta e conseguentemente una azione.

L’impatto della valutazione può essere solamente di natura ispettiva e sanzionatoria, ma talvolta è finalizzato ad indirizzare il miglioramento della situazione, e questo è l’obiettivo che vorremmo prevalesse in sanità pubblica come lo già succede in ambito clinico. A che servono gli esami clinici? Solo a soddisfare una curiosità ipocondriaca? Talvolta può essere, ma in realtà servono a far diagnosi e conseguentemente terapia e prognosi; similmente la valutazione di sistema deve servire a capire quali siano i problemi della sanità e conseguentemente a programmare e attivare “terapie” risolutive.

Non è certo per punire o per premiare un ospedale che se ne valutano gli esiti e neppure per indirizzare o allontanare i pazienti eventuali. La valutazione degli esiti deve servire innanzitutto per individuare le situazioni dove necessitano delle azioni per migliorare la qualità delle cure.

Valutare che cosa?

Negli ultimi anni i Ministeri (MEF e Salute) hanno valutato essenzialmente la spesa sanitaria e gli adempimenti normativi, in un’ottica di stabilità del bilancio e di garanzia di allineamento rispetto alle regole del SSN. Oggi il quadro si sta lentamente correggendo e l’utente assume maggior attenzione al centro dei processi valutativi.

Efficacia delle cure, soddisfazione nell’assistenza, equità nell’accesso sono vieppiù obiettivi che stanno arricchendo i processi valutativi sia a livello centrale che regionale e locale. E’ difficile dire se sia più importante l’efficacia o l’efficienza o l’equità o la legalità; sono tutte condizioni inderogabili, ma non si può non considerare che il SSN è fatto per produrre salute e assistenza e se non serve a questo non serve a null’altro anche se fosse dotato di efficienza, equità e legalità!

Un distorto pseudo aziendalismo può portare alla distorsione nel ricercare esclusivamente la crescita dell’efficienza valutando solo il rapporto tra i costi e le risorse disponibili senza considerare se il sistema copra realmente i bisogni della popolazione.Un più che discutibile utilitarismo porterebbe a valutare i risultati nella loro misura complessiva sull’intera popolazione senza considerare la loro distribuzione tra i soggetti assistiti e assistibili. Un miope legalitarismo può rischiare di fermarsi alla valutazione del rispetto delle norme ed allora si riterrebbe soddisfacente se queste fossero rispettate anche se gli obiettivi di salute non venissero raggiunti.

La valutazione non può che essere multidimensionale

E’ evidente che nessuna delle dimensioni può essere ignorata e non ci si può ritenere soddisfatti se solo alcune fossero valutate positivamente. E’ però praticamente impossibile che una certa situazione raggiunga il meglio in ogni aspetto, ed allora sarà necessario che il decisore (politico o tecnico) sappiano dare delle priorità e rendano la valutazione come sintesi pesata dei diversi aspetti. E’ a questa sintesi che possiamo dare il nome di valutazione della performance, termine oggi molto usato per definire i contenuti della valutazione ma quasi mai definito a sufficienza come accade quando preferiamo un termine straniero non trovandone uno soddisfacente in lingua italiana.

Quindi valutiamo la valutazione

E’ pur vero che anche la sola presenza di una attività valutativa stimola ad ottenere una miglior qualità delle attività; ma i processi valutativi, soprattutto se eseguiti con la necessaria professionalità, sono anche molto costosi e talvolta possono persino rallentare l’attività. Un eccessivo legalitarismo può bloccare i processi decisionali, un distorto efficientismo può perdere di vista i bisogni reali, una ricerca esasperata di eleganza metodologica può oscurare immagini chiare della realtà. Per queste ragioni è necessario considerare se far della valutazione ne valga la candela in ogni situazione specifica e chi fa valutazione non può accontentarsi solo di aver fatto un buon lavoro., ma deve assolutamente chiedersi che impatto stanno avendo i risultati della valutazione eseguita.

E quindi è opportuno chiedersi cosa sia necessario perché la valutazione non rimanga un esercizio. La prima condizione è il coinvolgimento reale del decisore nei processi valutativi. E’ il clinico che vuol far diagnosi che chiede di eseguire determinati esami e non viceversa! Spesso invece il processo valutativo cade dall’alto sul decisore che cercherà più di difendersi che di attivare dei cambiamenti. Sarà poi necessario che il decisore si fidi della valutazione e ne capisca la metodologia e che questa rispetti le priorità dell’azione decisionale. In generale quindi si dovrebbe sempre a priori definire quali azioni si attueranno in funzione di differenti risultati della valutazione. Possiamo qui concludere che la valutazione è inutile se non modifica la probabilità (aumentandola o diminuendola) che vi sia un cambiamento nell’attività.

Dal 18 al 23 Novembre, ad Erice, alla Scuola Superiore di Epidemiologia, ci sarà un corso sulla “Valutazione della valutazione” (vd. allegato) in cui ci si domanderà a cosa serve realmente la valutazione nell’ambito della sanità. Ne parliamo qui sul blog anche nel desiderio di raccogliere da voi che leggete pareri e suggerimenti da inserire nelle lezioni e nei dibattiti del corso.

Allegato

Fonte: Epidemiologia & Prevenzione

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