Lo spreco in sanità. di Andrea Lopes Pigna

In un articolo “controcorrente” pubblicato sul New England Journal of Medicine si afferma che la caccia allo spreco, portata avanti con zelo missionario, rischia di oscurare la base complessa delle prove, perpetuando racconti semplicistici riguardo la dimensione, le cause e le soluzioni dello spreco. E se venisse fuori che dove si spende di più si hanno anche migliori risultati di salute? Il punto sull’overdiagnosis e sull’eccesso in ambito sanitario oggi.


Lisa Rosenbaum, cardiologa al Brigham and Women’s Hospital di Boston, ha affrontato il tema dello spreco in sanità col suo recente contributo The Less-Is-More Crusade – Are We Overmedicalizing or Oversimplifying?“[1]: la crociata del «Il meno è il meglio» – Stiamo ipermedicalizzando o ipersemplificando?

L’Autrice parte dalla constatazione che ogni anno vengono eseguiti trattamenti non necessari e cure inutilmente troppo aggressive con conseguente danno per i pazienti e spreco di risorse. Sulla base di ricerche che hanno sostenuto la scarsa correlazione esistente tra la maggiore spesa e la maggiore qualità di assistenza, la Rosembaum spiega che per questo sono nati i movimenti del “il meno è il meglio” che sostengono che la cura minore è la migliore o perfino che la cura maggiore è dannosa; è nata così anche la campagna del “Choosing Wisely”, cioè dello “Scegli Saggiamente” (Choosing Wisely ha l’obiettivo di promuovere il colloquio tra il medico e il paziente aiutando quest’ultimo a scegliere cure che siano supportate da prove, che non siano il duplicato di esami diagnostici o procedure già eseguite, che siano libere da danni e che siano veramente necessarie[ 2,3]).  Una cosa è però, in accordo a quello che ritengo sia il pensiero dell’Autrice, evidenziare che esiste scarsa correlazione tra maggiori cure e maggiore qualità di assistenza, altra cosa è dare per scontato l’opposto cioè che “il meno è il meglio”, che può portare a prendere a decisioni errate.

Anche se è importante ridurre le cure non necessarie, Rosembaum afferma che la caccia allo spreco, come da lei chiamato «missionary zeal of waste hunting», comincia a oscurare la base complessa delle prove, perpetuando racconti semplicistici riguardo la dimensione, le cause e le soluzioni dello spreco. Per questo riporta l’esempio della spesa per il ricovero ospedaliero partendo dalla constatazione che 4 milioni di ammissioni ospedaliere in USA ogni anno non sono considerate necessarie. Rosembaum afferma che gli esperti spingono per questo a una migliore identificazione dei pazienti che arrivano al Dipartimento di Emergenza (DE) e che potrebbero essere candidati per un trattamento ambulatoriale più che per un ricovero. Gli stessi esperti affermano però che non è possibile predire quali ammissioni ospedaliere saranno di beneficio e che è necessario considerare i rischi che nascono dalla riduzione delle ammissioni ospedaliere. In una recente analisi eseguita su pazienti assicurati con Medicare, dimessi da ospedali con DE che ha tassi di ammissione più bassi di 3-4 volte rispetto ad altri ospedali, è stato constatato che questi pazienti muoiono entro una settimana dalla dimissione più facilmente rispetto a coloro che sono dimessi invece da ospedali che hanno tassi di ammissione più elevati. La gravità della malattia non sembra spiegare le differenze, infatti ospedali con basso tasso di ammissioni tendono a servire popolazioni generalmente più sane. Dati convincenti provengono dallo studio fatto da un gruppo di economisti del MIT[4] che hanno confermato che gli ospedali che spendono di più durante l’ospedalizzazione per varie condizioni acute hanno minor tassi di mortalità a 1 anno post-ospedalizzazione rispetto agli ospedali che avevano un spesa inferiore; incide poi maggiormente sui costi, più che la fase di ospedalizzazione, la fase del post-ricovero e l’inefficienza di una adeguata assistenza proprio in questa fase per carenza di adeguate raccomandazioni da attuare proprio nel periodo di post-ospedalizzazione.

A questo punto la Rosembaum affronta il tema dell’overdiagnosis (vedi Scheda “Overdiagnosis” in Risorse) e mette sull’avviso come tecnologie sempre più sensibili e di conseguenza meno specifiche per la diagnosi precoce di necrosi miocardica, possano essere ritenute semplicisticamente causa di incremento di diagnosi falsamente positive con conseguente incremento di trattamenti impropri, mentre, in realtà, sono strumenti validi per migliorare l’outcome delle patologia, come dimostrato dallo studio[ 5] che ha valutato l’impatto sulla prognosi di un test più sensibile dell’attuale troponina per fare la diagnosi di necrosi miocardica in soggetti con sospetta sindrome coronarica acuta.

Viene poi valutato dall’Autrice l’impatto sullo spreco a causa dell’interesse del medico (R. parla di «greed»), ma anche del fattore competenza. Anche se dovrebbero essere chiaro che abbiamo oggi conoscenze basate sulle prove su come eliminare tranquillamente lo spreco, in ospedale questo continua ad essere presente. R. sottolinea però che la variabilità della prescrizione non vuol dire necessariamente spreco; il numero elevato delle prescrizioni va sempre rapportato ai risultati ottenuti e deve tenere conto della competenza del medico. Afferma pertanto che forse il chirurgo ortopedico dal costo più elevato potrebbe essere anche quello più valido; il suo approccio sembra quello di una catena di montaggio, ma i suoi pazienti potrebbero avere meno complicazioni e ricoveri più veloci. Così un cardiochirurgo senza scrupoli che sostituisce centinaia di valvole mitraliche all’anno e che si assume più rischi della maggioranza dei suoi colleghi, potrebbe essere quello più qualificato e così di riferimento dei malati più gravi. In queste circostanze R. sottolinea «high revenue may signal expertise rather than racketeering» cioè gli alti ricavi possono essere indice di competenza più che di estorsione. D’altro lato sottolinea che rimane oggetto di ricerca quanto l’uso esagerato possa essere conseguenza di incertezza del medico, di quale sia il potenziale di avere diagnosi perse, di quali siano le scelte dettate dalle preferenze del paziente o dalla paura di incorrere in cause legali.

Rosembaum conclude dicendo che mentre è relativamente facile stabilire l’efficienza di un test di imaging, non lo è stabilire il suo valore nell’assistenza sanitaria. Esiste però l’illusione di sapere cosa sia il valore di una prestazione e come misurarlo, l’illusione che la stessa valutazione del valore possa riguardare tutti i pazienti e che l’effetto di ogni intervento possa essere valutato isolatamente rispetto agli altri interventi. Afferma infine che finché non impariamo a trattare le scomode incertezze nella cura clinica, “il meno è il meglio” può essere un aforisma più adatto a raccontare storie coerenti che non decisioni complesse affrontate dai medici e dai pazienti.

Conclusioni

Sono d’accordo con l’autrice che mette in guardia riguardo a slogan semplicistici come “meno è meglio” che sono molto attraenti non solo per la loro apparente semplicità, ma anche per lo scarso coinvolgimento che richiedono al paziente e pertanto di facile presa per un consenso, ma che possono essere fonte di scelte errate e causa di possibile danno come ha dimostrato la vicenda dei “Novax”. R. riesce a portare più esempi di come dietro facili slogan in realtà si possano nascondere problemi molto complessi che possono portare ad avere conclusioni anche opposte rispetto a quelle che potrebbero essere attese in modo semplicistico. Con una medicina che dà giustamente sempre più importanza a una scelta condivisa tra medico e paziente, che è l’unico al quale spetta di esprimere il proprio consenso per ogni procedura sanitaria che lo riguarda, a patto però che questo sia veramente informato, il paziente dovrà scegliere molto più di una volta anche per la crescente offerta di mezzi diagnostici e terapeutici che gli vengono proposti. Continuamente crescente è oggi l’utilizzo di TC e MRI (Figura 1[17]), continuamente crescente è il costo delle nuove cure oncologiche, con risorse che si riducono sempre più, si rende sempre più necessaria la riduzione degli sprechi eseguendo prestazioni sempre più appropriate (Vedi Scheda “L’eccesso in ambito sanitario oggi”, in Risorse).

Figure 1 – Trends in the number of various scans used in the Medicare population in the United States, 1991–2006. CT = computerized tomography; MRI = magnetic resonance imaging.

Andrea Lopes Pegna, pneumologo e bioeticista, A.lopespegna@gmail.com

Risorse

Bibliografia

1.Rosenbaum L. The Less-Is-More Crusade – Are We Overmedicalizing or Oversimplifying? N Engl J Med. 2017;377(24):2392-2397

2.Choosing Wisely

3.American Academy of Family Physicians. Twenty Things Physicians and Patients Should Question [PDF: 508 Kb]

4.Doyle J, Graves j and Gruber J. In-hospital care saves money — and lives. BostoloGlobe.com

5.Mills NL, Churchhouse AM, Lee KK et al. Implementation of a sensitive troponin I assay and risk of recurrent myocardial infarction and death in patients with suspected acute coronary syndrome. JAMA 2011;305(12):1210-6

17.Welch HG, Black WC. Overdiagnosis in cancer. J Natl Cancer Inst. 2010;102(9):605-613.

[Nota: la numerazione della bibliografia (dal 6 al 16) prosegue coerentemente nelle schede allegate in Risorse]

Fonte: Saluteinternazionale

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