Garanzia dei Lea: con il nuovo sistema di valutazione solo 9 regioni sarebbero in regola. Ma è tutto rinviato al 2020. di Tonino Aceti

A distanza di quattro anni e mezzo dall’approvazione del Patto per la Salute 2014-2016 che, tra i diversi impegni, prevede la progettazione e l’approvazione del Nuovo Sistema di Garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), il 13 dicembre 2018 la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome ha espresso l’Intesa sullo schema di decreto interministeriale sul nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria.

La sua concreta applicazione però è rinviata al 2020.

L’approvazione da parte delle Regioni infatti, è accompagnata da una contestuale richiesta di impegno al Governo di continuare nel 2019 la sperimentazione del nuovo sistema e di garantire un monitoraggio degli indicatori per testarne la validità, prevedendo la possibilità di modifiche prima dell’avvio definitivo del nuovo sistema. Solo al termine di questo percorso e di una verifica della positiva valutazione delle attività, nel 2020 potrà iniziare a funzionare concretamente il Nuovo Sistema di Garanzia dei LEA (che non è la “griglia Lea” già nota, ma un nuovo sistema di monitoraggio).

In caso contrario, potenzialmente, la sua effettiva applicazione potrebbe essere anche posticipata.
Ma concretamente cosa vuole dire “positiva valutazione della attività”? Quali elementi devono essere soddisfatti per avere una positiva valutazione delle attività? Chi svolge questa valutazione? E’ la componente tecnica? Quella politica? Entrambe? Che peso ha l’una e che peso ha l’altra? Cittadini e professionisti saranno coinvolti?

Una buona e una cattiva notizia, quindi. Buona perché le Regioni hanno dato il via libera al nuovo strumento, che per quanto mi riguarda potrebbe e dovrebbe essere ulteriormente rafforzato. La cattiva è rappresentata dalla sua applicazione subordinata ad un ulteriore periodo di sperimentazione, che potrà essere più o meno ampio.

E sì, perché una sperimentazione sembrerebbe essere già stata svolta, almeno stando a quanto emergerebbe da ambienti ministeriali e regionali. Mi riferisco a quella realizzata congiuntamente dal Ministero della Salute e dalle Regioni nel 2018 su dati 2016 (tenendo anche conto del trend degli anni precedenti) e che sembrerebbe aver riconosciuto solo 9 Regioni, su 21 valutate, in grado di garantire pienamente e contemporaneamente i LEA in tutti i livelli assistenziali considerati: prevenzione, distrettuale, ospedaliero. Le 9 Regioni sembrerebbero essere: Piemonte, Lombardia, P.A. Trento, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche.

Un dato che, se confermato, è particolarmente rilevante, poiché i dati 2016 e 2017 dell’attuale sistema di monitoraggio dei LEA segnalano invece solo 2 Regioni inadempienti.

Il nuovo Sistema, che si basa su una nuova metodologia di valutazione e che verifica anche aspetti sinora non misurati, sembra restituirci un quadro dei LEA sul territorio nazionale più problematico rispetto a quello attuale: maggiori disuguaglianze nell’esigibilità dei Lea da parte dei cittadini e un paese spaccato in due.

Praticamente una forbice più ampia delle performance dei diversi servizi sanitari regionali, rispetto a quella attuale; una forbice con la quale le proposte di autonomia differenziata di tutte le Regioni che le avanzeranno (quindi non solo quelle di Veneto-Emilia Romagna-Lombardia) dovranno necessariamente confrontarsi e che potrà rappresentare una parte di dati funzionali per quella analisi rischi-benefici proposta congiuntamente da tutte le Federazioni nazionali delle ordini professioni sanitarie e sociali lo scorso 23 febbraio.

E neanche a dirlo il livello di Assistenza più critico che sembra emergere dalla sperimentazione è quello distrettuale, con un Piano Nazionale della Cronicità a macchia di leopardo e recepito solo da alcune Regioni, l’assenza di un “DM 70” dell’assistenza sanitaria territoriale (analogamente a quello per gli ospedali) che definisca gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici da garantire a tutti i cittadini in tutte le aree del Paese, le esperienze regionali sull’infermieristica di famiglia e di comunità ancora patrimonio purtroppo solo di poche Regioni (ad oggi solo Lombardia, Piemonte e Toscana hanno deliberato ufficialmente), e più in generale investimenti totalmente insufficienti nel personale infermieristico del territorio.

Infatti il tetto di spesa del personale sanitario è ancora fermo al valore del 2004 ridotto dell’1,4%, il 78% degli infermieri lavora negli ospedali e l’offerta di infermieri sul territorio nazionale è molto diversificata da Regione a Regione: si passa da 1 infermiere ogni 8 pazienti del Friuli Venezia Giulia, 1 infermiere ogni 9 pazienti del Veneto sino a valori come quelli della Campania di 1 infermiere ogni 17 pazienti. Tutti temi, questi, che ci auguriamo trovino spazio nel prossimo Patto per la Salute, che per il momento appare come un percorso ad ostacoli, vista l’attuale dinamica tra Ministero della Salute e Regioni.

Regioni che se da una parte chiedono al Governo di accelerare sull’autonomia differenziata, dall’altra sembrano molto più caute sul potere di verifica del Governo centrale, a partire dal rinvio almeno al 2020 dell’applicazione del nuovo Sistema Nazionale di Garanzia dei LEA, nonostante la prima sperimentazione sembri delineare un quadro dei LEA nelle Regioni (2016) più complesso rispetto a quello che ad oggi conosciamo e che ogni giorno viene sperimentato dai cittadini.

Accanto al tema delle autonomie differenziate, quindi, diventa sempre più centrale anche il tema dei pesi e dei contrappesi nella dinamica tra Stato e Regioni, che servono e che devono essere efficienti ed efficaci, per riempire di concretezza e sostanza alcune parole che in questo momento storico ricorrono spesso nel dibattito pubblico (anche sulle autonomie differenziate) come la necessità di salvaguardare l’equità e la solidarietà del nostro Servizio Sanitario Pubblico. Senza contare, infine, le ripercussioni che un sistema di valutazione più attento alla qualità dei servizi erogati avrebbe anche nella valutazione del management sanitario regionale a tutti i livelli.

In questo senso l’implementazione e il rafforzamento continuo del Nuovo Sistema di Garanzia dei LEA rappresenta uno tra i principali contrappesi alla autonomia regionale da garantire e l’accesso tempestivo ai suoi dati è anche un elemento di informazione e trasparenza nei confronti di cittadini e professionisti della salute che va salvaguardato.

Tonino Aceti -Portavoce Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche

 

 

 

Fonte: Quotidiano Sanità

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