Dove si infrange il regionalismo differenziato. di Paolo Balduzzi

L’avvio del federalismo differenziato sembra allontanarsi. Non solo restano da sciogliere alcuni nodi politici. C’è anche una difficoltà tecnica: l’impossibilità di regionalizzare oltre la metà dei trasferimenti dello stato, come messo in evidenza dal Def.

I nodi del federalismo in tre regioni

Il dibattito sul regionalismo differenziato vive fasi alterne di grande vivacità e di profondo silenzio. L’impressione è che, nonostante le dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini, l’attuazione del federalismo differenziato nelle prime tre regioni (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) sia lungi dall’arrivare. Dal punto di vista politico, i nodi da sciogliere sono principalmente due: le fonti di finanziamento da un lato e la dimensione (e la portata) delle materie delegate dall’altro. Diversi contributi su lavoce.info hanno già affrontato da diversi punti di vista queste tematiche.

C’è però almeno un’altra difficoltà, decisamente più tecnica, che vale la pena di affrontare ora, proprio perché, in allegato al Documento di economia e finanza per il 2020, si trova anche la tabella aggiornata sulla spesa regionalizzata. Dalla quale si evidenzia come oltre il 50 per cento dei trasferimenti dello stato verso le regioni sia impossibile da regionalizzare. Un bel problema, quando si vogliano calcolare spesa storica, fabbisogno standard o semplicemente spesa pro capite, vale a dire le variabili rispetto alle quali saranno tarati i futuri trasferimenti.

Cos’è e quanto vale la spesa regionalizzata

La spesa che ogni anno lo stato destina alle singole regioni a statuto ordinario e a quelle a statuto speciale, comprese le due province autonome di Trento e Bolzano, è composta principalmente da trasferimenti (a famiglie, imprese e direttamente a enti pubblici), da redditi da lavoro e da investimenti. Si tratta di circa 520 miliardi di euro, di cui però solo meno della metà (226 miliardi) può essere assegnata territorialmente.

Il procedimento di regionalizzazione, peraltro, non è scevro di criticità. Come riporta l’allegato al Def, “(…) per le spese connesse alla produzione di servizi (…) e per gli investimenti, l’allocazione territoriale è basata sul luogo dove viene svolta l’attività produttiva mentre per le spese di trasferimento rileva la regione del soggetto beneficiario (…)”. Peraltro, la metodologia è in continuo aggiornamento, quindi anche le serie temporali non sono sempre confrontabili.

Ovviamente, se il calcolo dei fabbisogni regionali, siano essi storici, standard o pro capite, avviene sulla base di questi dati, è opportuno capirne i limiti prima di giungere ad affrettate conclusioni. Per quanto riguarda la spesa effettivamente regionalizzata, i dati riportati dall’allegato sono in valore assoluto. Naturalmente i confronti più interessanti si fanno sul pro capite. Per questo motivo il grafico 1 integra i dati forniti dal Def con le informazioni sulla popolazione ricavabili dall’Istat. Come si nota, sulla base dei dati della spesa regionalizzata, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sono in effetti le regioni che meno “ricevono” dallo stato, rispetto a diversi calcoli della media: la media sul totale dei territori, la media al netto della spesa regionalizzata delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, la media al netto della regione Lazio, un’osservazione particolare a causa della presenza di Roma e quindi di tutte le istituzioni. Per capire la portata del “disturbo statistico”, si pensi che lo stato spende nel solo Lazio oltre il 16 per cento di tutta la spesa regionalizzata per stipendi. Tuttavia, vale la pena di aggiungere che questi confronti non tengono conto appunto della spesa non regionalizzabile, come le quote di ammortamenti. Per esempio, come distribuire nei singoli territori le quote di investimento a carattere nazionale e strategico? D’altra parte, anche la spesa regionalizzata in questo modo è soggetta a critiche: davvero il beneficio della spesa allocata al Lazio crea benefici solo in quella regione? Risulta molto difficile crederlo. Infine, questi confronti non tengono conto delle effettive materie richieste dalle regioni, che sono solo un sottoinsieme della spesa regionalizzata. È comunque indubbio che la spesa regionalizzata sia caratterizzata da un forte carattere redistributivo, premiando innanzitutto le regioni a statuto speciale e le province autonome, poi molte regioni del Sud, nonché la Liguria, che probabilmente deve il suo trattamento “privilegiato” al fatto di essere la regione italiana con la quota di popolazione più anziana.

Prospettive di regionalismo differenziato

Se mai il federalismo differenziato diventerà realtà, dovranno essere superati diversi scogli tecnici, per non parlare di quelli politici. Dal primo punto di vista, mancano ancora una legge di attuazione del comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione, su cui forse varrebbe la pena riflettere, e una metodologia robusta e condivisa per regionalizzare la spesa statale nei territori. Per il momento, quella individuata sembra sufficiente a compilare un allegato al Def, ma di certo non lo è se a essa si vuole legare l’esito di scelte che potrebbero compromettere la coesione sociale ed economica del paese.

Grafico 1 – La spesa regionalizzata pro capite (anno 2017, euro)

Fonte:  lavoce.info

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