Reddito di cittadinanza: un meccanismo sfuggito di mano. di Gaetano Proto

Il meccanismo con cui si calcola il Reddito di cittadinanza nasconde una discriminazione più grave del previsto nei confronti delle famiglie numerose, in particolare di quelle con minorenni. La scala di equivalenza anomala gioca un ruolo decisivo e va corretta subito.

Come si calcola il reddito di cittadinanza

Il reddito da integrare con il reddito di cittadinanza (Rdc) è dato dalla differenza tra la soglia di “reddito familiare”, pari a 6 mila euro annui per un nucleo di un componente (9.360 se in affitto), e il suo ammontare effettivo, che corrisponde al valore monetario della componente reddituale dell’Ise (indicatore della situazione economica) al lordo degli importi detraibili ai fini dell’Isee (indicatore situazione economica equivalente). Per calcolare la soglia di “reddito familiare” per i nuclei di due o più componenti, l’importo di 6 mila (o 9.360) euro va moltiplicato per una specifica scala di equivalenza. Per i nuclei numerosi la nuova scala è decisamente più sfavorevole rispetto alla consolidata scala dell’Isee: in particolare, prevede un valore massimo che non ha precedenti nella legislazione nazionale (per ulteriori dettagli vedi qui).

Per analizzare il meccanismo del Rdc, è utile far riferimento a una famiglia tipo con un “reddito familiare” per il nucleo di un componente pari alla metà della soglia di reddito da integrare, quindi 3 mila euro. Se si ipotizza che la componente patrimoniale dell’Isee del nucleo sia pari a zero e che alla determinazione della sua componente reddituale non concorrano importi, spese (tra cui l’affitto) o franchigie da portare in detrazione, è possibile stabilire un’identità tra il “reddito familiare” del nucleo, il suo Ise e (sempre nel caso del nucleo di un componente) il suo Isee, che ammontano tutti a 3 mila euro.

Tenendo fermo il valore (equivalente) dell’Isee a questa cifra, è possibile derivare i valori monetari dell’Ise e del “reddito familiare” (per ipotesi coincidenti) al crescere della dimensione del nucleo, applicando la scala dell’Isee. Il valore della soglia di reddito da integrare al crescere del nucleo si calcola applicando al valore base di 6 mila euro i parametri della scala del Rdc. A questo punto, possiamo calcolare l’importo del Rdc a parità di situazione economica equivalente (quindi a parità di condizioni) e verificare il suo andamento all’aumentare del numero di componenti, a parità di tipologia del nucleo.

Cosa succede ai nuclei numerosi

Il risultato è sorprendente. Al di sopra di una certa dimensione del nucleo, che varia a seconda della tipologia (per esempio componenti aggiuntivi maggiorenni o minorenni), ci si può aspettare che l’importo del Rdc semplicemente smetta di crescere, qualunque sia il numero di componenti in più, perché il valore della scala di equivalenza del Rdc ha già raggiunto il massimo. In realtà, l’effetto del valore massimo della scala è più dirompente, perché agisce anche sul valore monetario della soglia di “reddito familiare” che resta bloccato a 12.600 euro, mentre in costanza di Isee (e di qualsiasi altro indicatore di benessere razionalmente disegnato) il reddito monetario della famiglia continua a crescere: lo scontro tra le opposte tendenze è inevitabile e a rimetterci sono i nuclei numerosi, in particolare quelli con più minorenni.

La tavola 1 mostra che nel caso di componenti aggiuntivi tutti maggiorenni (per esempio, due genitori e figli), l’importo del Rdc a parità di situazione economica equivalente del nucleo (variabile (c)) cresce secondo le attese fino a quattro componenti, ma poi cala bruscamente fino ad azzerarsi per un nucleo di otto componenti: questo nucleo non viene ammesso al Rdc perché supera la soglia di “reddito familiare” prevista, ferma a 12.600 euro. Date le equivalenze stabilite per ipotesi, è possibile visualizzare come differenza tra Ise e importo Rdc (differenza (a) – (c)) lo scarto tra l’importo che il nucleo dovrebbe ricevere per raggiungere la soglia fissa di 6 mila euro espressa in termini di Isee e l’importo che invece riceve come Rdc per raggiungere la soglia di “reddito familiare” da integrare.

In questo caso, l’inizio della riduzione dell’importo del Rdc coincide con la dimensione per la quale il parametro della scala del Rdc smette di crescere, avendo già raggiunto il massimo di 2,1 punti. Se si rimuovesse la regola che stabilisce il massimo, l’importo del Rdc continuerebbe ad aumentare (variabile (e)). La variabile differenza (c) – (e) misura la minore generosità del Rdc rispetto a questa semplice ipotesi di riforma.

La tavola 2 mostra che nel caso di componenti aggiuntivi tutti minorenni (in ipotesi, due genitori e figli), il meccanismo del Rdc ha effetti ancora più negativi. Stavolta l’importo del Rdc a parità di situazione economica equivalente del nucleo (variabile (c)) inizia a diminuire già a partire dal primo minore, per l’effetto congiunto della soglia massima della scala del Rdc e dei suoi parametri restrittivi rispetto alla scala dell’Isee, a cui si aggiunge l’assenza di maggiorazioni. Di conseguenza, la completa esclusione del nucleo dal Rdc scatta già a partire da sette componenti. Per una famiglia povera con minori che percepisce il reddito di inclusione (Rei) il rischio concreto, che aumenta se il genitore è solo, è di vedersi riconoscere alla scadenza un Rdc di importo inferiore o addirittura nullo, nonostante la minore generosità del Rei in termini di importo base (187,5 euro al mese per un singolo, contro i 500 del Rdc), come mostra la variabile differenza (c) – (f).

In questo caso, eliminare il tetto che fissa a 2,1 punti il massimo della scala del Rdc non garantirebbe il ripristino di un corretto andamento crescente del suo importo, che riprenderebbe a salire solo in corrispondenza di otto componenti (variabile (h)), anche se eliminerebbe il paradosso dell’esclusione dei nuclei più numerosi. La variabile differenza (c) – (h), che misura il minore impatto del Rdc attuale rispetto a questa ipotesi di riforma, mostra che il suo effetto sarebbe limitato.

Alla luce di questi risultati, è evidente che il meccanismo del Rdc è sfuggito di mano. La discriminazione ai danni delle famiglie numerose risulta molto più grave di quanto paventato da più parti e mette in questione la legittimità costituzionale del Rdc, se non ci saranno tempestive correzioni.

Va anche sottolineato che il difetto strutturale del meccanismo di accesso al Rdc e della sua quantificazione colpisce selettivamente le famiglie numerose: proprio quelle che in teoria dovrebbero essere più tutelate dal provvedimento in ragione della maggiore incidenza della povertà relativa e assoluta rispetto ai nuclei più piccoli. È improprio definire “tesoretto” (come ha fatto Pasquale Tridico) la minore spesa che ne deriverà, per ora stimata in un miliardo, visto che si tratta di risorse che il Parlamento ha destinato a uno scopo ben preciso, la lotta alla povertà.

* Le opinioni espresse in questo articolo non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.

fonte: LAVOCE.INFO

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