In cinque mosse il ReArm Europe mette all’opera tutte le leve finanziarie che l’UE ha a disposizione per permettere un incremento senza precedenti delle spese militari volte a rendere l’Europa di nuovo “abile alla guerra”, per utilizzare la formula da brividi utilizzata dal ministro della difesa tedesco Boris Pistorius.
Ci troviamo in una situazione gravissima e pericolosissima. Non occorre che vi descriva la serietà delle minacce che stiamo affrontando. O le conseguenze devastanti che dovremo sopportare se tali minacce dovessero realizzarsi” (1). Sono le parole della presidente della Commissione europea, con le quali introduce la proposta del ReArm Europe. Una proposta che, invece di disinnescare i pericoli descritti, non può che incrementare ulteriormente le minacce e la probabilità di devastanti conseguenze.
Pare che non ci siano limiti di spesa quando si tratta di prepararsi a uccidere persone su vasta scala, e che invece la volontà e la disponibilità finanziaria del capitalismo e delle istituzioni europee e nazionali precipitino quando si tratta di mantenerle in benessere e in buona salute o di proteggerle dalle crisi economiche e dalle guerre – come dimostra anche l’ininterrotto sostegno a Israele nonostante le accuse di crimini di guerra e contro l’umanità e genocidio avanzate dai massimi esperti (2) e istituzioni del diritto internazionale (3) contro il governo israeliano. Condotte criminali che non possono essere giustificate dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre.
Naturalmente l’aumento delle spese militari viene giustificato da von der Leyen e dagli altri leader europei con la pretesa di voler in questo modo garantire la pace e la sicurezza. “Se vis pacem para bellum” è una massima che risale al IV secolo, diventata poi molto popolare intorno al 1473, anno della prima stampa dell’opera di Vegezio, Epitoma rei militaris, nella quale è contenuta. Da allora i politici militaristi la usano per promuovere la loro agenda, adducendo motivazioni di pace e di sicurezza per creare consenso.
Dopo parecchi secoli di sperimentazione e un numero esorbitante di conflitti, di morti e distruzioni che si sono verificati in presenza del ricorso ininterrotto alla deterrenza militare, credo che sia ragionevole avere qualche dubbio sull’efficacia del para bellum.
Non ha mai funzionato in sei secoli e risulta davvero sorprendente che, nonostante l’esperienza secolare di palese inefficienza, questa formula goda tuttora di una certa popolarità anche tra chi non appartiene alla ristretta cerchia dei politici bellicisti, commercianti d’armi e capitani dell’industria militare. La realtà dei fatti – dalla quale mi risultano scollegati non i pacifisti, ma coloro che continuano a credere nei miti militari – indica il contrario: impennate di militarismo, il riarmo e gli investimenti crescenti nell’industria bellica solitamente precedono le guerre che notoriamente comportano conseguenze devastanti sui diritti, sulle infrastrutture civili, sull’ambiente e sulla salute.
Quindi, per tornare “abili alla guerra” occorrono più soldi per più armi, ma ci vogliono anche le persone disposte ad usarle per uccidere e mutilare altre persone a loro sconosciute e a rischiare di essere uccise o mutilate da loro, e bisogna anche evitare che nel momento decisivo qualcuno si alzi e dichiari: “Se si pretende da noi di puntare un’arma assassina contro i nostri fratelli francesi o di altre nazioni straniere, noi dichiariamo: No, non lo facciamo” (4).
Per creare il terreno adatto allo sviluppo della mentalità militare e per prevenire simili incidenti di percorso è necessario estendere gli obiettivi e le logiche militari alla vita civile, alla cultura, alla politica, all’economia, alla sanità già in tempo di pace. Occorre far accettare la presenza dei militari e la preparazione alla guerra come aspetti normali, necessari e in qualche maniera desiderabili e bisogna infondere fiducia nel potere militare e nell’uso delle minacce come mezzi legittimi per perseguire obiettivi politici. Il sistema militare, la sua morale ed etica devono apparire come super partes, “una risorsa per il Paese”.
Il mondo sanitario, le sue strutture ed associazioni possono assumere diverse posture rispetto a queste pratiche che, nel loro insieme, definiscono il militarismo. Disinteressarsi, parteciparvi più o meno attivamente, oppure cercare di contrastare il processo di normalizzazione, per esempio stabilendo dei limiti etici che escludono la collaborazione con il settore militare (al pari di quelli applicati nei confronti delle multinazionali del tabacco).
Qualche esempio. Due anni fa, in occasione del centenario dell’Aeronautica militare, l’aerobase di Ghedi ha invitato i cittadini ad ammirare i nuovi cacciabombardieri F35. Molta affluenza, una gran festa per le famiglie, bambini issati nei cockpit…non mancava proprio nulla, a giudicare dall’articolo del Corriere di Brescia (5). Presente anche uno stand dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (AIRC) con un’iniziativa benefica. Il nome dell’iniziativa dell’AIRC? «Un dono dal cielo».
Non sorprende quindi che l’AIRC sostenga ora anche il tour propagandistico dell’Amerigo Vespucci, insieme alla Società Italiana di Radiologia Medica e all’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) (6). La motivazione mi pare sia quella di raggiungere molte persone durante le visite alla nave della marina militare con la possibilità di trasmettere informazioni sui corretti stili di vita per prevenire il cancro ma, a mio avviso, questa argomentazione non regge, né sul piano dei princípi, né su quello pratico e dell’efficacia. Il vantaggio maggiore è per la Marina Militare che ha potuto aggiungere sul sito del tour, oltre agli sponsor principali – Leonardo e Fincantieri – anche dei rispettabili partner scientifici di area medica. La scelta degli amici di AIOM di prestarsi a questa operazione mi ha colpito particolarmente perché, nell’ultimo report dell’associazione, avevano rivolto molta attenzione alla guerra come determinante della salute, dedicando un approfondimento, tutt’altro che militarista, a questo tema (7).
Le associazioni citate non sono ovviamente gli unici enti a prestarsi a collaborazioni con il settore militare. Non solo tante università accettano finanziamenti ed invitano militari di alto rango tra i relatori a convegni scientifici, ma anche l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ci collabora. In un recente seminario all’Accademia Nazionale dei Lincei sulla crisi dei servizi sanitari universalistici, il direttore generale dell’ISS ha presentato – tra le altre cose – il progetto Sea Care realizzato insieme alla Marina Militare (8). L’assenza di domande dal pubblico su questo punto evidenzia quanto sia già progredito il processo di normalizzazione, ed è davvero sorprendente nell’ambito di un dibattito sulla crisi del servizio sanitario che, rispetto all’accesso ai finanziamenti, si trova notoriamente in concorrenza con il settore militare (9).
In un contesto di dilagante militarismo, risulta quindi davvero preziosa e di conforto la dichiarazione dell’International Union of Scientists contro il riarmo europeo (primo firmatario Carlo Rovelli) di recente pubblicazione, una importante testimonianza di un punto di vista contrario alla crescente militarizzazione (10), in linea anche con la dichiarazione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE), portata avanti insieme a una trentina di altre società scientifiche italiane di area sanitaria, a favore della pace e contro la guerra (11).
Altrimenti, dove trovare speranza in questi tempi bui di bellicismo? Certamente non tra coloro che si scoprono pacifisti solo quando sono all’opposizione, o tra chi non sa mai decidersi nemmeno su una timida astensione, e ancora meno tra chi si oppone al ReArm Europe solo perché non favorisce abbastanza le industrie italiane. Forse qualche barlume si trova proprio nei contesti più difficili.
Recentemente, i palestinesi della Striscia di Gaza sono scesi in piazza per chiedere la fine non solo della violenza genocidaria di Israele, ma anche del dominio di Hamas (12). “Non vogliamo nemmeno l’Autorità Palestinese, perché abbiamo visto cosa ha fatto in Cisgiordania. Vogliamo un organismo responsabile che si preoccupi delle nostre vite e del nostro futuro”, dichiara uno dei manifestanti al giornale israeliano-palestinese +972. “Vogliamo la fine completa e definitiva della guerra ed elezioni per poter scegliere un partito diverso da Hamas al governo” afferma un altro attivista, che sottolinea che la lotta principale rimane comunque contro l’occupazione israeliana. “Se fossimo liberati dalle catene dell’occupante e dalle sue ripetute guerre, noi e i nostri figli vivremmo in sicurezza e in pace”, ha dichiarato.
“L’occupazione è responsabile delle nostre sofferenze”. Di questo sono convinti anche molti isrealiani, che si impegnano con coraggio al fianco dei palestinesi a favore della fine della guerra genocidaria, dell’occupazione, dell’apartheid e della pulizia etnica messe in pratica dal governo israeliano. Formidabile esempio di questa fratellanza è la collaborazione dei registi del documentario “No other Land”, meritato vincitore a Berlino e agli Oscar.
Impegnarsi (al di là delle probabilità di successo) per liberarsi dell’occupazione, dell’oppressione in tutte le sue forme, della guerra, dei nazionalismi e dei fondamentalismi. E costruire un paese (un mondo) libero, democratico e pacifico con pari diritti per tutti. È qui, nei discorsi tra Basel e Yuval, dove sta la speranza.
Pirous Fateh-Moghadam, Epidemiologo, Agenzia provinciale per i servizi sanitari, Trento.
Bibliografia
- European Commission, 4 March 2025. Press statement by President von der Leyen on the defence package. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/sv/statement_25_673
- United Nations, 1 October 2024. A/79/384: Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967, Francesca Albanese – Genocide as colonial erasure. https://www.ohchr.org/en/documents/country-reports/a79384-report-special-rapporteur-situation-human-rights-palestinian
- International Criminal Court, 21 November 2024. Statement of ICC Prosecutor Karim A.A. Kahn KC on the issuance of arrest warrants in the Situation in the State of Palestine. https://www.icc-cpi.int/news/statement-icc-prosecutor-karim-aa-khan-kc-issuance-arrest-warrants-situation-state-palestine
- Per aver pronunciato queste parole durante un comizio nel 1913, Rosa Luxemburg ha dovuto scontare 14 mesi in carcere.
- Giornale di Brescia – Salvatore Montillo, 28 Marzo 2023. Oltre quindicimila persone hanno festeggiato a Ghedi i cent’anni dell’Aeronautica Militare. https://www.giornaledibrescia.it/bassa/oltre-quindicimila-persone-hanno-festeggiato-a-ghedi-i-centanni-dellaeronautica-militare-aawacb5o
- Amerigo Vespucci – tour mondiale 2023-2025. https://tourvespucci.it/home/
- AIOM – Associazione Italiana Oncologia Medica. I numeri del cancro in Italia. https://www.aiom.it/i-numeri-del-cancro-in-italia/
- Accademia Nazionale dei Lincei, Convegno 21 Febbraio 2025. La crisi dei servizi sanitari universalistici: paesi a confronto. https://www.lincei.it/it/video/21022025-la-crisi-dei-servizi-sanitari-universalistici-paesi-confronto-parte-3
- Si veda ISTAT, Rapporto SDGs 2023. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia, pag. 175-176
- International Union of Scientists, 14 March 2025. Against Militarization: Scientists Unite in Opposition to EU Rearmament. https://www.iuscientists.org/against-militarization-scientists-unite-in-opposition-to-eu-rearmament/
- Epidemiologia&Prevenzione – Rivista dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, 16 Novembre 2023. Il diritto universale alla salute richiede la pace e rifiuta la guerra. https://epiprev.it/notizie/il-diritto-universale-alla-salute-richiede-la-pace-e-rifiuta-la-guerra
- +975 Magazine. Ruwaida Aimer – March 27, 2025. “We want to live”: Rage at Israel fuses with ire at Hamas as protests rock Gaza. https://www.972mag.com/gaza-protests-war-israel-hamas/
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2025/04/guerra-o-salute-in-europa/