Nuove regole d’ammissione a medicina: avremo medici migliori? di Alessandro Fedele, Mirco Tonin

Il 23 giugno si aprono le iscrizioni a medicina. Il test di ingresso è infatti sostituito da un semestre “di prova”. Il vecchio sistema garantiva buoni aspiranti medici, con una certa prevalenza di “figli d’arte”. Il cambiamento li migliorerà o peggiorerà?


Cancellato il test d’ammissione

Si parla da tempo della carenza di personale sanitario nei paesi sviluppati, tra l’altro in relazione all’invecchiamento della popolazione. In Italia si cerca di rispondere anche attraverso la riforma della modalità di accesso alle facoltà di medicina: non è più prevista una prova di ammissione, ora tutti possono frequentare il primo semestre di lezioni, al termine del quale avverrà la selezione. Il nuovo regime ha una data di inizio: il 23 giugno 2025, con l’apertura delle iscrizioni al corso di studi in medicina e chirurgia.

L’obiettivo – sensato e probabilmente ineludibile – è di ridurre le barriere all’ingresso, anche se, come è stato già segnalato in un precedente articolo, la riforma poco fa per aumentare la quantità di personale sanitario. Invece, c’è un possibile rischio: modificare la vecchia modalità potrebbe incidere negativamente sulla qualità di chi aspira a lavorare nella sanità.

Il timore è legittimo perché, da questo punto di vista, il sistema precedente funzionava bene. Lo mostra un’analisi recente, che confronta neo-diplomati intenzionati a sostenere i test di accesso a medicina e altre discipline sanitarie – infermieristica o fisioterapia, ad esempio – in Italia e Austria con neo-diplomati provenienti dalle stesse aree geografiche interessati, però, ad altri tipi di lavoro o di studio.

Un meccanismo che funzionava

L’analisi rivela che chi aspira a una carriera nella sanità risulta, nel confronto con il resto dei neo-diplomati, più dotato in termini di abilità cognitive, più altruista, più coscienzioso e anche meno nevrotico. Gli aspiranti medici hanno maggiore motivazione intrinseca rispetto al resto dei neo-diplomati, ossia desiderano lavorare in ambito sanitario perché questo permette loro di dare un contributo prezioso alla società.

Gli aspiranti medici hanno anche una maggiore probabilità di avere un altro medico in famiglia: un aspetto che invece non risulta per chi punta ad altre discipline sanitarie.

Complessivamente, lo studio mostra che il sistema di selezione in vigore fino a quest’anno è in grado di attirare persone capaci, altruiste e motivate, un requisito necessario per la formazione di personale sanitario di qualità.

Un salto nel buio?

Questo processo virtuoso di auto-selezione può deteriorarsi ora che i meccanismi di ammissione sono cambiati? Se il messaggio trasmesso dalla riforma è che entrare a medicina è più facile, ci possiamo aspettare diversi effetti, alcuni potenzialmente negativi, altri magari positivi. In primo luogo, è ragionevole pensare che il test di ammissione scoraggiasse chi si sentiva meno abile dal punto di vista cognitivo: è un effetto di deterrenza che ora potrebbe mitigarsi così da richiamare candidati con minori capacità.

Ovviamente, il nuovo sistema non prevede un accesso libero agli studi di medicina, ma una selezione basata sui risultati del primo semestre. Se dunque in precedenza tutto era basato sul risultato di un unico test a risposta multipla, da quest’anno ci saranno tre scritti, con appelli ripetibili. Al di là delle conoscenze specifiche possedute dagli aspiranti medici, il cambio nella modalità di testare le competenze dovrebbe favorire chi è meno capace di sostenere lo stress di una prova d’esame unica, da cui dipende la propria carriera lavorativa. Le conoscenze di chimica, fisica e biologia sono importanti per chi vuole intraprendere questo tipo di studi; tuttavia, nell’esercizio della professione è altrettanto rilevante la capacità di gestire lo stress dinanzi a situazioni d’emergenza. Non è quindi ovvio se il nuovo sistema rappresenti o meno un passo avanti.

In secondo luogo, una persona con minor motivazione intrinseca e minor grado di altruismo potrebbe essere ora interessata alla professione sanitaria perché pensa che sia più facile accedervi.

Per contro, un aspetto potenzialmente positivo potrebbe essere legato alla mobilità intergenerazionale. Se oggi è più probabile che i candidati siano figli di medici, allargare il potenziale bacino di candidati potrebbe attrarre persone con diverso contesto familiare, promuovendo maggiore mobilità sociale. Un lavoro recente mostra come gli aspiranti medici non abbiano una piena conoscenza di quello che la professione medica comporta, ad esempio in termini di stipendio, e questo ha conseguenze rispetto alla loro motivazione nella prova di ingresso. Frequentare, anche se solo per un semestre, una facoltà di medicina potrebbe migliorare la consapevolezza degli studenti. Naturalmente, un primo semestre tenuto per lo più on line, per motivi logistici causati da grandi numeri di aspiranti medici che le università non sono in grado di gestire, non avrebbe da questo punto di vista la stessa efficacia.

Meglio, dunque, il nuovo o il vecchio sistema in termini di selezione? Ai posteri l’ardua sentenza.

Fonte: https://lavoce.info/archives/108097/nuove-regole-dammissione-a-medicina-avremo-medici-migliori/

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