Rems, fondamentale la collaborazione interistituzionale. di Pietro Pellegrini

Gentile Direttore,
si è tento ieri (15.5.2025 ndr) a Roma promosso dal Consiglio Superiore della Magistratura il convegno “REMS Stato dell’arte e prospettive di intervento” che ha visto come relatori magistrati di cognizione e sorveglianza, avvocati e psichiatri.

Dai lavori è emerso un solo punto sul quale vi è consenso unanime: lavorare insieme nelle prassi, formarsi congiuntamente, sostenere i servizi di salute mentale. E’ il motore della riforma e vi sono molti esempi virtuosi che stanno dimostrando sul campo che la legge 81/2014 può funzionare risolvendo problemi, contraddizioni, difficoltà che non sono intrinseche solo alla legge ma che spesso sono sociali, culturali e ambientali.

La voce dell’attore Daniele Russo ha portato le parole umili, lucide e strazianti di Sacco e Vanzetti. Povertà, emarginazione, pregiudizio culturale verso gli italiani, i diritti negati.

Un punto di vista molto importante che rafforza la necessità di ampliare la collaborazione a Enti locali, servizi sociali, prefetture, associazioni di utenti e familiari, garanti, società civile…

In base alla piramide dei bisogni quelli da assicurare sempre sono quelli di base, primari ed essenziali per ogni essere umano. La povertà e il degrado, il sovraffollamento, l’abbandono, la deprivazione relazionale e affettiva correlano tutti con la sofferenza, il dolore e anche con i problemi comportamentali, ed un aumento dei disturbi mentali e somatici.

L’ampliamento della collaborazione interistituzionale è pertanto fondamentale sia per il mandato della giustizia (rieducazione, inclusione sociale, prevenzione di nuovi reati) sia per quello della cura psichiatrica in quanto consente di affrontare i determinanti sociali della salute. E’ la via per migliorare il turnover nelle REMS, per abbattere lista di attesa, superare definitivamente le detenzioni sine titulo ma anche e soprattutto per fare prevenzione e sensibilizzare i contesti sociali.

L’approccio biopsicosociale, ambientale e culturale ha decisamente superato quello riduzionistico. Il lavoro nella complessità è quello più adeguato ad affrontare i problemi ed il metodo individuato, quello della collaborazione interistituzionale ampliata è a mio parere il più appropriato. Al tempo stesso l’ambito regionale e locale devono essere quelli di riferimento operativo.

Questo deve mettere in guardia e consigliare la massima cautela prima di introdurre soluzioni che non vedano come centrali la collaborazione interistituzionale locale.

Manca un sistema informativo adeguato ma dai dati per altro diversi a seconda della fonte, la lista di attesa è concentrata in 5 regioni mentre non vi sono dati sui pazienti in libertà vigilata. Un quadro che non permette soluzioni unitarie. Infatti alcune proposte hanno visto pareri del tutto opposti: aumentare i posti REMS fino a raddoppiarli come proposto dalla Delibera del Consiglio Superiore della Magistratura è ben diverso dal valutare selettivamente, regione per regione, come e dove inserire eventuali nuovi posti nei sistemi regionali (Umbria, Sicilia occidentale ad esempio). Credo che la seconda via sia più adeguata e permetta il miglior uso delle risorse mantenendo le REMS come residuali.

Aprire REMS di diverso livello di sicurezza e magari sovraregionali/nazionali allarga la distanza con i servizi territoriali e rende molto più difficili le dimissioni. Lo stesso dedicare Residenze ai soli pazienti giudiziari. Non si tratta di creare mondi a parte, circuiti dedicati quanto di promuovere i diritti della persona favorendo il rientro a casa, l’inclusione sociale e al contempo il benessere di (micro)comunità.

Lavorare per aumentare le competenze degli Enti del Terzo Settore e dei Dipartimenti di Salute Mentale (Equipe Forensi, PUR, Budget di salute). Questo è fondamentale per assicurare nel tempo la funzionalità del sistema. Sono stimati in circa 7.000 i pazienti con provvedimenti giudiziari e il 70% è ospite delle Residenza con un impegno di spesa stimato di circa 400 milioni di Euro/anno che gravano per intero sui bilanci regionali. Ogni nuovo progetto terapeutico riabilitativo richiede risorse umane ed economiche. Sostenere i DSM è quindi l’azione prioritaria.

Se come detto nessuno vuole il ritorno all’OPG questo rischia di riapparire se da un lato si fanno strutture di alta sicurezza e distaccate dal territorio e dall’altro s’indeboliscono i servizi del welfare di comunità e prossimità. Un circolo vizioso che riporterebbe alla istituzionalizzazione. Percorsi di cura e giudiziari visti nel loro insieme dall’inizio all’esecuzione e termine assumendosi la responsabilità della gestione delle liste e delle risorse, quindi individuando priorità e modalità per sostenere il turnover. Questo è prioritario rispetto all’ amento dei posti che, senza un metodo gestionale adeguato, una volta aperti sarebbero in breve tutti saturati e il tema dei c.d. “ergastoli bianchi” si può ripresentare.

Sono emerse diverse concezioni di sicurezza e di cura. Anche su questi punti cruciali occorre continuare il dialogo a partire dalle prassi reali, dallo stato degli Istituti di Pena (provvedimenti per ridurre il sovraffollamento, numero chiuso), numero e qualità delle Articolazioni Tutela Salute Mentale. Per migliorare la salute non basta solo la medicina o la psichiatria. In certi contesti può fare molto poco. Di fronte al lamentato aumento delle persone con disturbi mentali fa riflettere il basso utilizzo di quanto previsto dalla sentenza 99/2019 della Corte Costituzionale, e come l’aumento di migranti e utilizzatori di sostanze non porti a riflettere le legislazioni che riguardano quegli ambiti.

Occorre trovare il modo per sostenere le misure alternative e i percorsi di cura che sempre implicano consenso e partecipazione della persona. La terapia psichiatrica si può imporre coercitivo solo per un breve periodo (TSO) ed è limitata ai farmaci che da soli spesso non bastano. Senza consenso non si possono psicoterapia e riabilitazione psichiatrica ma nemmeno i trattamenti educativi e di inclusione sociale. Senza partecipazione e responsabilità non vi è la prevenzione di nuovi reati. Stando accanto alle persone i programmi di cura e le misure giudiziarie possono sostenere le prospettive e i Progetti di Vita, speranza e futuro.

Quindi l’ottica non è quella del come privare la persona della libertà ma di operare con una visione emancipativa, nella prospettiva della libertà e dell’assunzione di responsabilità in primis della persona, dei suoi familiari e dei contesti, resi sensibili, accoglienti e solidali. Diventa quindi fondamentale il dialogo aperto con tutte le componenti per identificare le buone prassi, magari in una Consensus Conference, prima di adottare ogni provvedimenti relativo alle REMS e al Piano d’Azione Nazionale sulla Salute Mentale 2025-2030.

Sono passati 10 anni dalla chiusura degli OPG ed è stato raggiunto un risultato straordinario. La riforma è incompleta e andrebbe riformato il c.p. dagli adeguamenti minimi nella terminologia, alla diversificazione delle misure, alla riforma radicale dell’imputabilità. Una sollecitazione alla politica…. Alla quale compete anche la destinazione delle risorse, sulla cui necessità tutti sono d’accordo. E’ importante utilizzarle bene. Un convegno importante che ha messo a fuoco un metodo e prima di intraprendere azioni di merito proposte anche dallo stesso CSM, occorre riflettere.

 Pietro Pellegrini 

Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

fonte: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=129657

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