Prima nei manicomi c’erano circa 100mila internati, numeri senza volto. Dopo la rivoluzione basagliana i numeri diventarono persone, fuori dai manicomi. È questo il racconto principale dello spettacolo teatrale “TRA PARENTESI-la vera storia di un’impensabile liberazione” con la regia di Erika Rossi che si è tenuto al Teatro Tor Bella Monaca a Roma, dopo aver girato l’Italia. Autori e protagonisti Massimo Cirri, conduttore radiofonico della storica trasmissione Caterpillar di Rai 2, e Peppe Dell’Acqua psichiatra che lavorò con Franco Basaglia a Trieste dove divenne anche direttore del Dipartimento di Salute Mentale.
Il racconto su una panchina
Nello schermo posto dietro alla scenografia essenziale di una panchina dove i due protagonisti dialogano in modo narrativo, sono scorse diverse immagini in bianco e nero a partire dell’interno del manicomio di Gorizia dove Basaglia era stato nominato per la prima volta direttore nel 1961 a 37 anni, per la morte improvvisa del suo predecessore.
All’epoca si trattava di una carriera molto meno prestigiosa rispetto all’Università dalla quale a Padova era stato sostanzialmente emarginato, pur avendo raggiunto la libera docenza, e dove veniva chiamato in modo spregiativo “il filosofo”, perché leggeva Husserl, Minkowski e Sartre. Infatti, la cultura scientifica vigente considerava la malattia mentale un disturbo organico e i “matti” corpi da studiare e da lasciare rinchiusi negli ospedali psichiatrici perché pericolosi ed inguaribili. Il primo impatto con il manicomio per Basaglia è stato molto forte. Fu colpito dalle stesse sensazioni che aveva avuto in carcere dove era stato rinchiuso vent’anni prima per il suo antifascismo. In particolare, entrando nell’ospedale psichiatrico di Gorizia, girando tra i padiglioni e i letti, percepì un odore di “morte” e “merda”.
I pazienti legati
Nello spettacolo si racconta quando il primo giorno Basaglia restituì all’ispettore capo il librone con i nomi degli internati che erano stati legati al letto nella notte precedente, sempre firmato in modo pedissequo dal direttore di turno, pronunciando la frase in veneziano “E mi non firmo”. Il primo di una serie di atti di rottura con l’istituzione manicomiale. Il secondo avvenne quando con il collega Antonio Slavich che lo aveva raggiunto, cercarono di parlare e di conoscere i nomi e le storie di ciascuno dei 600 internati. Il terzo è rappresentato dall’apertura delle porte dei padiglioni e sullo schermo scorrono le immagini delle assemblee aperte a tutti che si svolgevano nell’ospedale psichiatrico di Trieste dove Basaglia era diventato Direttore. Assemblee nelle quali si prendevano decisioni con il voto di tutti, a partire dai pazienti.
La legge 180
Un cambiamento straordinario se pensiamo che il matto in manicomio non aveva neanche il diritto di voto o di sposarsi. Interessante anche la parte dello spettacolo che racconta la sensibilità, inaspettata, verso le idee e le pratiche di Basaglia di gran parte della politica dell’epoca a partire da Michele Zanetti, Presidente della Provincia di Trieste, ente dal quale all’epoca dipendeva il manicomio.
La stessa legge 180 fu promulgata il 13 maggio 1978, esattamente 47 anni fa, con una condivisione trasversale nel Parlamento, anche al fine di evitare lo svolgimento del referendum per la chiusura dei manicomi promosso dal partito radicale.
Gli artisti nel manicomio
La parte finale dello spettacolo racconta la storia della nascita di Marco Cavallo, una opera di legno e cartapesta, costruita in modo collettivo dentro il manicomio di Trieste, su un progetto di un gruppo di artisti, tra i quali Vittorio Basaglia, cugino di Franco, e Giuliano Scabia. Si tratta di un’opera alta 4 metri, di colore azzurro in quanto rappresentativo della gioia di vivere, che doveva contenere i desideri, le istanze e i sogni dei ricoverati. Chiamato Marco perché era il nome del cavallo che quotidianamente trascinava il carretto della biancheria da lavare, al quale i pazienti si erano affezionati. Marco Cavallo uscì per la prima volta dall’ospedale psichiatrico San Giovanni il 25 febbraio 1973 scendendo per le strade di Trieste, con i matti, gli operatori e i cittadini, diventando il simbolo della liberazione dal manicomio.
Marco Cavallo
Da allora Marco Cavallo ha girato per l’Italia e sono nati anche altri cavalli che hanno voluto rinnovare il suo messaggio, dal “Marco Cavallo del XXI secolo” nel Comune di Firenze realizzato in plastica riciclata, a “Marco Cavallo DeSanba” di cartapesta colorata, simbolo del Festival della Salute Mentale RO.MENS per l’inclusione sociale contro il pregiudizio.
Infatti, oggi, 13 maggio 2025, sono passati 47 anni dalla legge 180 e nuovi avvenimenti sono entrati nel mondo della salute mentale – migrazioni, dipendenze, disturbi del comportamento alimentare, disagio giovanile e società digitale – ma il pensiero di Basaglia, con al centro la persona con la sua dignità e i suoi diritti, rimane sempre una bussola da seguire.
da Repubblica del 13 maggio 2025