Le Case della Comunità in Toscana. di Gavino Maciocco

Nell’arco di 20 anni la sanità toscana è passata dalla “rivoluzione” alla “restaurazione”. Ma esistono delle sacche di “resistenza” e “resilienza” che fanno ben sperare. E poi dovrebbe venire in soccorso il Pnrr.

L’idea di “Casa della Salute” (CdS) la si deve a una felice intuizione di Bruno Benigni (già assessore ai Servizi sociali della Toscana – nella foto) quando nel 2003 a Castiglion Fiorentino, provincia di Arezzo, si discuteva del futuro della struttura che ospitava un piccolo ospedale destinato a essere dismesso.  Lì nacque, con le parole di Benigni, “Un’idea semplice, eppure di grande utilità per la riorganizzazione del welfare locale. La Casa della Salute è la sede pubblica in cui la comunità locale si organizza per la promozione della salute e del benessere sociale e dove trovano allocazione, in uno stesso spazio fisico, i servizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie e sociali per una determinata e programmata porzione di popolazione” [i]. Un’idea “semplice” che, con il supporto di un Ministro della salute (Livia Turco), divenne nel 2007 un progetto nazionale che consentì la realizzazione di un primo avamposto di CdS in Toscana e in Emilia-Romagna [ii].

Va detto che quella idea semplice riuscì a farsi strada grazie a un contesto particolarmente favorevole all’innovazione delle cure primarie. I due fondamentali tensori dell’innovazione furono:

  • l’aggregazione professionale, la multidisciplinarietà e l’integrazione tra servizi;
  • l’investimento in programmi che mettevano al centro il cittadino e il paziente, per migliorare la qualità delle cure, e la salute delle persone e della comunità.

In questa direzione si mossero i due programmi regionali messi in cantiere in Toscana nel 2003 e nel 2008. Il primo di questi fu la sperimentazione di un modello di “Unità di cure primarie”. Nel novembre 2003 fu infatti deciso di “Sperimentare sul territorio della Regione Toscana un nuovo modello organizzativo delle cure primarie che assicuri sul medesimo territorio, in un ambito territoriale di riferimento, l’intersettorialità e l’integrazione degli interventi socio sanitari da parte dell’assistenza primaria, della pediatria di libera scelta, della continuità assistenziale, della specialistica ambulatoriale interna e di altre professionalità presenti nel territorio individuato, al fine di garantire, anche in tempi differenziati: 1. l’erogazione di una effettiva continuità assistenziale nell’arco delle 24 ore per 7 giorni alla settimana, con la presa in carico del paziente; 2. risposte sanitarie e socio sanitarie organizzate di livello più complesso, anche con l’utilizzo di adeguata strumentazione tecnica ed inserimento di altre professionalità a valenza territoriale” [iii]Il secondo programma è quello che introdusse nel sistema sanitario toscano la Sanità d’iniziativa e il suo corollario, il Chronic Care ModelCiò avvenne con il Piano sanitario regionale 2008-2010, approvato nel luglio 2008, che indicava nella Sanità d’iniziativa la principale priorità: “La sanità di iniziativa, intesa come modello assistenziale per la presa in carico, costituisce, nell’ambito delle malattie croniche, un nuovo approccio organizzativo che affida alle cure primarie l’ambizioso compito di programmare e coordinare gli interventi a favore dei malati cronici. Il modello operativo prescelto, il Chronic Care Model, è basato sulla interazione tra il paziente reso esperto da opportuni interventi di formazione e di addestramento ed il team multiprofessionale composto da operatori socio sanitari, infermieri e MMG” [iv].

Con questi due programmi – maturati attraverso un largo, continuo e approfondito dibattito – le cure primarie e la medicina di famiglia fecero salto di qualità senza precedenti. Le Unità di cure primarie allargarono e qualificarono la capacità di risposta dei medici di medicina generale e in alcuni casi la loro sperimentazione portò alla nascita di Case della salute,  vedi la CdS La Rosa di Terricciola.  La Sanità d’iniziativa mise alla prova le neonate aggregazioni multiprofessionali con un progetto complesso e ambizioso.  Nel 2012 in un documento della Giunta Regionale dal titolo “Indirizzi alle aziende sanitarie ed alle Aree vaste per il riordino del sistema sanitario regionale” [v], si afferma che la Sanità d’iniziativa “affida alle cure primarie l’ambizioso compito di programmare e coordinare gli interventi a favore dei malati cronici, prendendo come riferimento il modello operativo dell’Expanded Chronic Care Model , basato sulla interazione tra il paziente reso esperto da opportuni interventi di formazione e di addestramento ed il team multiprofessionale composto da MMG, infermieri e operatori sociosanitari. La sperimentazione di tale modello avviata nel 2009, estesa ad oggi a circa il 40% della popolazione toscana, ha dimostrato di produrre miglioramenti nella qualità dei servizi territoriali”.  Il documento si pone l’obiettivo di estendere la Sanità d’iniziativa all’80 % della popolazione in tre anni. Si ribadisce inoltre che “Il modello di presidio territoriale che possa ospitare i professionisti in forma integrata e nel quale possa appieno svilupparsi la sanità d’iniziativa si identifica nelle Case della Salute”. In un altro documento della Regione Toscana [vi] si prevede, a regime, la presenza di una CdS per ogni Aggregazione Funzionale Territoriale (AFT) dei MMG (ovvero 115 per l’intero territorio regionale).

Un censimento effettuato nel 2015 (a cura di S. Barsanti e M. Bonciani) rilevava la presenza di 46 CdS e di queste il 50% era stata aperta nel biennio 2013-2014, con la partecipazione di 306 MMG. Lo studio metteva in evidenza una forte disomogeneità nella distribuzione di queste strutture nel territorio regionale: molto presenti in alcune ex-ASL (Arezzo, Empoli, Versilia) e in alcune Zone/Distretto (Lunigiana, Val di Nievole, Alta Val di Cecina-Val d’Era), assai carenti in altre ex-ASL (Firenze, Lucca, Siena, Livorno, Grosseto) [vii]. Uno si sarebbe atteso un forte recupero negli anni seguenti soprattutto nelle aree carenti per raggiungere l’obiettivo di una CdS per ogni AFT. Ma così non è stato. Dopo il 2015 si è infatti verificata una pesante regressione della sanità territoriale nei suoi aspetti più strategici, dalla Sanità d’iniziativa alle Case della salute.

Un improvviso collasso, una tempesta perfetta prodotta da tre concomitanti fattori:

  1. Il taglio del finanziamento alla sanità introdotto nella legge finanziaria del 2015, che si andava ad aggiungere a quelli della finanziaria del 2011 (blocco del turnover, etc), con gravi conseguenze nelle dotazioni di personale;
  2. La paralisi organizzativa provocata da un’improvvisata, poco meditata riforma del servizio sanitario toscano che riduceva drasticamente il numero delle ASL e delle Zone/Distretto che della riforma pagavano il prezzo più alto non solo in termini di riduzione delle risorse ma anche per la totale perdita di autonomia gestionale;
  3. L’aperta ostilità del sindacato della medicina generale nei confronti delle CdS.  

Ma pur in una condizione così critica, qualcosa si è mosso in contro-tendenza (mai disperare)

Nel giugno 2019 infatti il Consiglio Regionale approva una legge (n. 29 del 4 giugno 2019) sulle Case della salute nella quale, all’art. 4, vengono elencati i seguenti fondamentali principi:

  • La casa della salute opera mediante programmi coerenti con la programmazione della zona-distretto e ha come obiettivi:
  • l’equità nell’accesso ai servizi sanitari e socio-sanitari territoriali della popolazione attraverso la facilitazione e la semplificazione dei percorsi assistenziali;
  • l’organizzazione e il coordinamento delle risposte da dare al cittadino nelle sedi più idonee privilegiando la domiciliarità e il contesto sociale delle persone e valorizzando la progettualità della comunità locale;
  • l’integrazione istituzionale e professionale dei servizi e delle prestazioni di prevenzione, di servizio sociale, assistenza sanitaria e riabilitazione funzionale, educazione e promozione della salute;
  • la valorizzazione dell’attività interdisciplinare tra medici di medicina generale, specialisti, infermieri, terapisti e l’integrazione operativa fra le prestazioni sanitarie e quelle sociali per la piena attuazione delle politiche sulla cronicità e di sanità di iniziativa;
  • la partecipazione attiva degli operatori dell’assistenza sociale, dell’educazione sanitaria e della prevenzione, finalizzata ad integrare le attività sanitarie con quelle socio-assistenziali e di educazione ai corretti stili di vita, secondo le logiche insite nel modello regionale di prevenzione e gestione della cronicità.

E’ un atto legislativo molto importante perché la CdS può essere finalmente incardinata nella Legge Regionale n. 40/2005, la norma che regola l’organizzazione generale del Servizio sanitario regionale.  In applicazione della L. 29/2019 la Giunta regionale, recependo i risultati di un ampio percorso di consensus conference,  ha emanato un “Atto di indirizzo sulle Case della salute” (DGRT N. 770 del 22 Giugno 2020) dove, tra l’altro, si afferma che:

  • “la CdS favorisce l’integrazione fra i professionisti che erogano i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali attraverso la contiguità spaziale dei servizi e la multidisciplinarietà degli interventi. Nella Casa della salute vengono svolti i progetti di sanità di iniziativa, la presa in cura dei pazienti cronici e complessi, i progetti di prevenzione e promozione della salute da comunità professionali multidisciplinari” (…) “l’elemento che contraddistingue la CdS, differenziandola dagli altri presidi territoriali, è l’integrazione professionale e multidisciplinare che si identifica nel team multiprofessionale”
  •  “la Regione Toscana impegna le Direzioni aziendali delle Aziende territoriali a realizzare almeno una CdS in ciascuna Zona/Distretto/SdS della Regione Toscana entro il 2020, con l’obiettivo di istituire almeno una CdS per ogni AFT entro il 31.12.21”.

Quest’ultimo passaggio è particolarmente significativo: si richiede con decisione alle Direzioni aziendali  di occuparsi delle CdS. Per il “dopo” (giugno 2020) sarà stato difficile conseguire gli obiettivi indicati, causa pandemia. Ma per il “prima” è un implicito biasimo per aver fatto ben poco negli anni precedenti per coprire le zone carenti e ridurre la disomogeneità territoriale nella distribuzione delle CdS.

La mappatura delle CdS effettuata da ARS Toscana (a cura di P. Francesconi e B. Bellini), aggiornata al 1° gennaio 2021,  conferma tutte le criticità rilevate nel precedente studio del 2015, con ben 5 Zone-Distretto prive di CdS. Lo studio si focalizza sull’impegno dei MMG nelle CdS. Sono 69 le CdS in cui è presente almeno un MMG. Su base regionale sono 370 i MMG presenti nelle CdS, pari al 15,1% del totale, con notevoli differenze tra le 3 ASL toscane: ASL Centro: 11,6%; ASL Nord-Ovest: 14.1%; ASL Sud-Est: 23,2%. Le differenze si dilatano quando si mettono a confronto le 26 Zone-Distretto: 11 di queste hanno percentuali di MMG impegnati nelle CdS inferiori al 10% mentre in 7 Zone-Distretto la percentuale di MMG in CdS supera il 30% e nella Zona-Distretto Val di Chiana Aretina la quasi totalità dei MMG ha ambulatorio in CdS. Nella città di Pontedera il 100% dei 24 MMG della AFT lavora nella CdS. Lo studio dell’ARS rileva che dal 2019 al 2021 il numero di MMG impegnati nelle CdS è diminuito di 75 unità, da 445 a 370.  E’ un dato non facilmente spiegabile: sembrerebbe che la pandemia abbia spinto i MMG a fuggire dalle CdS, quando proprio queste strutture, per le loro dimensioni e per la presenza di personale di supporto, garantivano una maggiore efficienza e soprattutto una maggiore sicurezza sia per i pazienti che per gli operatori, rispetto ai tradizionali singoli studi dei MMG.

Con una Lettera-aperta-al Presidente della Regione  dal titolo “Investire nelle Case della Salute per innovare e migliorare la Medicina generale e le Cure primarie” 85 MMG operanti in 15 CdS delle 3 ASL della Toscana chiamano in causa la politica. La lettera si apre con una precisa affermazione: “La pandemia ha dimostrato – ove ce ne fosse stato bisogno – la necessità e l’indubbia utilità delle Case della salute nel rafforzamento della Medicina generale e dei servizi territoriali. Grazie alla disponibilità di ampi spazi destinati ai servizi ambulatoriali e all’organizzazione multiprofessionale e multidisciplinare delle attività è stato possibile – anche nei momenti più critici – preservare la qualità delle cure, garantire la sicurezza dei pazienti ed effettuare con tempestività ed efficienza operazioni complesse come la vaccinazione Covid per i soggetti over 80.” e si chiude con un appello “Dobbiamo approfittare dell’investimento previsto dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che prevede la destinazione di ingenti risorse per innovare e migliorare la Medicina generale, per il rilancio dei servizi territoriali e delle cure di prossimità, ed in particolare per lo sviluppo delle Case della salute (o Case della comunità). La Regione non può farsi trovare impreparata di fronte a questo fondamentale e forse irripetibile appuntamento.”

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha destinato alla sanità territoriale 7 miliardi di euro per progetti da realizzare entro il 2026. Due miliardi sono previsti per la realizzazione di 1350 Case della Comunità (CdC) su scala nazionale, di cui 70 assegnate alla Toscana. La Giunta regionale con Decisione_n.36_del_20-12-2021-Allegato-A ha definito la distribuzione geografica delle CdC, delle Centrali Operative Territoriali e gli Ospedali di Comunità. Dalle tabelle dell’Allegato A si intuisce che delle 70 CdC previste dal Pnrr 46 sarebbero nuove, mentre le altre 24 dovrebbero essere ristrutturazioni di CdS esistenti. In conclusione, se aggiungiamo alle 69 esistenti le 46 nuove si ottiene il numero 115, ovvero una CdC per AFT. Infinein linea con le indicazioni nazionali – Linee di indirizzo per la realizzazione dei progetti regionali sulla sperimentazione di strutture di prossimità –   la Regione Toscana ha approvato il progetto regionale, intitolato “Da Casa della salute a Casa della comunità”, dove si definisce il percorso sperimentale verso le Case della comunità, identificando tre Case della salute dove testare il nuovo modello: Le Piagge (ASL Toscana Centro), Querceta (ASL Toscana nord ovest) e Abbadia San Salvatore (ASL Toscana sud est).


Nel Docu-Film che segue sono riportate le esperienze di quattro Case della Salute: due della Toscana, Le Piagge e Querceta, due dell’Emilia-Romagna, Fanano e Castelfranco EmiliaDobbiamo essere grati a tutti gli operatori delle Case della Salute – medici di famiglia, infermieri, operatori sociali, responsabili di Distretto – che in questi anni, pur in minoranza, si sono impegnati nell’innovare l’organizzazione delle cure primarie e alla fine hanno convinto la politica a investire nel rinnovamento dei servizi territoriali. Siamo appena all’inizio della sfida – serviranno tante risorse per il personale, una nuova convenzione (o un nuovo contratto) e una nuova formazione per i MMG –  ma intanto l’importante è essere partiti.

Idee per le Case della Comunità from Ambrogio Manenti on Vimeo.

 

[i] Benigni B., La Casa della Salute, in “Le cure primarie, la Casa della salute”, Quaderni del socio-sanitario N. 6, a cura di Spi Cgil, Roma, 2004, p. 37

[ii] Brambilla A, Maciocco G, Le Case della Salute, Innovazione e buone pratiche, Carocci Faber, 2016.

[iii] DGRT N. 1204 del 17-11-2003

[iv] Consiglio Regionale, DELIBERAZIONE 16 luglio 2008, n. 53 Piano sanitario regionale 2008 – 2010.

[v] DGRT N. 1235 del 28/12/2012.

[vi] DGRT N. 1231 del 28/12/12

[vii] Maciocco G, Barsanti S, Bonciani M, Le Case della Salute in Toscana, in Brambilla A, Maciocco G, Le Case della Salute, Innovazione e buone pratiche, Carocci Faber, 2016.

fonte: saluteinternazionale.info

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