Quarantene diseguali. La casa ai tempi del Covid. di Mattia Gatti

Il virus non ci ha trovati tutti nella stessa «casa», e neppure «sulla stessa barca». Non viaggiano tutti nelle stesse condizioni e c’è sempre chi non trova mai posto nelle scialuppe di salvataggio. Dal primo giorno è emerso un paradosso: non tutti sono stati in grado di adeguarsi all’invito prima e all’ordine poi di stare a casa. Perché non tutti hanno una casa dove stare. Il Rapporto del Consiglio Generale per i Diritti Umani delle Nazioni Unite dedicato al diritto all’abitare nel dicembre 2019 denuncia come un miliardo e 800.000 persone nel mondo non hanno un alloggio adeguato e il numero di chi vive in insediamenti informali ha superato il miliardo; si stima che 15 milioni di persone siano sfrattate ogni anno e 150 milioni siano senza fissa dimora [1].

L’aumento esponenziale degli affitti e la conseguente esplosione del dramma degli sfratti interessa le maggiori metropoli occidentali. Molto spesso precarietà abitativa e sfratti sono una causa della povertà e non semplicemente una sua conseguenza. Matthew Desmond nella sua analisi sulla società statunitense evidenzia le conseguenze dello sfratto: trasferirsi in abitazioni degradate in quartieri poveri e pericolosi; patire un aumento delle difficoltà materiali, la mancanza di un tetto, la depressione e la malattia [2].

La città metropolitana di Milano secondo gli ultimi dati disponibili forniti del Ministero dell’Interno (relativi al 2018) ha segnato un triste record: 2.845 famiglie sono state sfrattate con l’ausilio della forza pubblica dall’alloggio che affittavano, nel 90% dei casi in seguito all’impossibilità di pagare i canoni di locazione. Non esistono invece dati certi relativi ai pignoramenti della prima casa causati da mancati pagamenti di mutui e spese condominiali ma il dato è certamente in costante aumento. La mancanza di politiche pubbliche adeguate di contrasto all’aumento dei canoni, di sostegno ai nuclei familiari in difficoltà nel pagamento e di offerta di alloggi a canone sociale ha determinato un enorme processo di espulsione. Le famiglie povere, spesso monoreddito, con più di un figlio, con lavori precari o a tempo parziale, sono espulse non solo dalle zone centrali o più ambite della città ma dalle stesse periferie verso l’hinterland o dai comuni della prima cintura verso territori più distanti e meno collegati alla città. Sempre più spesso, peraltro, siamo costretti ad assistere a espulsioni ancora più radicali: i poveri non sono più in grado di reperire un alloggio in affitto o una qualsiasi sistemazione stabile e, privi di risposte dalle istituzioni pubbliche e respinti dagli stessi servizi sociali si ritrovano in una condizione di marginalità estrema sino a perdere la stessa residenza anagrafica e con essa tutti i diritti conseguenti. Per usare le parole di Saskia Sassen, viviamo una fase storica caratterizzata dalle espulsioni delle persone, dei progetti di vita, dell’accesso ai mezzi di sussistenza, dal contratto sociale, cardine delle democrazie liberali [3].

Papa Francesco il 31 marzo ha pregato per coloro che sono senza fissa dimora, in questo momento in cui ci si chiede di essere dentro casa, perché la società di uomini e donne si accorga di questa realtà e li aiuti; accorgersi sarebbe in effetti il primo passo che anche le istituzioni avrebbero dovuto intraprendere già prima dell’emergenza sanitaria e che ora diventa fondamentale se non altro per lo stretto legame tra la salute individuale e quella collettiva che l’epidemia mette in evidenza … LEGGI L’ARTICOLO INTEGRALE SU RPS

l’Autore Mattia Gatti è Segretario Territoriale SICeT Milano.

1 https://www.ohchr.org/EN/Issues/Housing/Pages/GuidelinesImplementation.aspx.

2 Matthew Desmond, Sfrattati. Miseria e profitti nelle città americane, 2016.

3 Saskia Sassen, Espulsioni, 2014

fonte: 

Print Friendly, PDF & Email