La piena tutela della salute mentale e i percorsi di ripresa orientati alla guarigione. di Gisella Trincas

Sono molto contenta di essere nuovamente a Napoli (ndr: intervento nel corso del Convegno “Verso la Conferenza nazionale per la salute mentale” Napoli 25.9.2020) dopo diversi anni, a ragionare con voi di salute mentale e diritti umani e di quanto ancora è piena di inciampi la strada indicata dal pensiero e dalla pratica di Franco Basaglia. Ringrazio il Presidente della Camera Roberto Fico per la sua presenza e partecipazione confermando ancora una volta la sua attenzione e sensibilità verso la questione Salute Mentale. Ringrazio il Presidente dell’Istituto Massimiliano Marotta e il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Francesco Paolo Casavola e tutte le persone che si sono spese per la realizzazione di questo importante appuntamento.

L’Organizzazione che ho l’onore di presiedere, l’Unasam, rappresenta, in Italia, le Associazioni dei familiari e degli utenti che, a partire dagli anni 80, si sono distinte nella difesa dei valori e dei principi delle Leggi di Riforma 180 e 833. Il gruppo fondatore era costituito da familiari, principalmente donne, che hanno conosciuto, come me, l’orrore del manicomio e hanno deciso che quella non poteva essere la risposta alla sofferenza dei nostri cari. In quella fase di partenza è stato determinante il forte sostegno e impegno di Franca Ongaro Basaglia e Maria Grazia Giannichedda. Dopo un lungo periodo di lotte per il superamento dei manicomi e il rafforzamento delle nostre associazioni, col primo nucleo di coordinamento nazionale, fondiamo nel 93 l’Unasam, tra i soci fondatori anche la storica Associazione AFASP della Campania oggi qui presente. Aderiamo all’organizzazione Europea delle Associazioni dei Familiari, l’EUFAMI, e siamo componenti del Tavolo Tecnico Salute Mentale istituito presso il Ministero della Salute nel gennaio del 2019. Siamo i promotori, insieme ad altre 150 organizzazioni nazionali e locali, della Conferenza Nazionale Salute Mentale autoconvocata nel giugno del 2019 dopo aver inutilmente sollecitato i governi a promuoverla dopo quella tenutasi nel lontano 2001. E stiamo portando avanti, col gruppo di coordinamento nazionale, le proposte emerse durante i lavori della Conferenza di cui ci parlerà durante questa giornata di confronto Antonio Esposito.

L’impegno dell’Unasam e di tutte le associazioni aderenti è rivolto alla tutela dei diritti umani delle persone che vivono la condizione della sofferenza mentale, affinché siano loro garantiti percorsi individuali di cura orientati alla ripresa, alla emancipazione sociale, alla vita indipendente, alla guarigione possibile. Per combattere qualunque forma e luogo di coercizione e violazione dei diritti umani, e rivendicare il diritto delle persone ad una piena e condivisa partecipazione al proprio progetto di vita, senza rinchiudere o abbandonare, nel rispetto delle aspirazioni e dei bisogni che ciascuna persona esprime. Su queste basi abbiamo sostenuto la nascita di tante associazioni. Abbiamo conosciuto i luoghi che ancora prima della approvazione della Legge 180 avevano attivato servizi territoriali per la salute mentale di comunità e liberato le persone dal manicomio, gli SPDC che non hanno mai legato nessuno e tenuto le porte aperte, luoghi e persone che ancora oggi rimangono i nostri punti di riferimento teorici e pratici. Dopo essere stati testimoni, negli anni 70, di quanto i nostri cari hanno patito nei manicomi, abbiamo conosciuto tanti altri luoghi dell’orrore ancora attivi, per troppo lungo tempo dopo l’approvazione della Legge 180, come ad esempio il manicomio privato Papa Giovanni a Serra D’Aiello in Calabria dove 360 esseri umani, prima dell’arrivo della psichiatra Assunta Signorelli (chiamata per il superamento di questo luogo terrificante) erano tenuti in condizioni disumane. Quel luogo è stato sgomberato “malamente”, per ordine della Procura, da 500 agenti in tenuta antisommossa il 17 marzo del 2009 e rimane una delle pagine più dolorose della nostra storia recente.

Ma tanti altri luoghi del non senso, piccoli e grandi, ancora resistono nel nostro Paese nonostante le Leggi avanzate e i buoni servizi territoriali di cui disponiamo che dovrebbero essere un esempio per chiunque. Ci riferiamo ai Servizi di salute mentale di comunità aperti non meno di 12 ore tutti i giorni se non 24 ore. Che stanno sul territorio e lavorano in sinergia con gli altri servizi della comunità (i servizi sociali, la medicina di base, la scuola, le organizzazioni di volontariato, la cooperazione sociale, le organizzazioni culturali) e che sono in grado di offrire opportunità alle persone che intraprendono un percorso riabilitativo attraverso la ricerca di una casa,  un lavoro,  relazioni sociali e affettive, per un progetto di vita dignitoso e indipendente. I luoghi del non senso sono i grandi o piccoli contenitori dell’istituzionalizzazione a vita e dalle pratiche manicomiali disseminate sul territorio nazionale. Le comunità terapeutiche distanti dal contesto urbano e da una normalità di vita fatta di relazioni e scambi col territorio,  dalle metodologie riabilitative che non prevedono percorsi individuali concordati e condivisi con la persona interessata, lontane dall’occhio vigile del servizio pubblico di salute mentale che dovrebbe monitorare e verificare costantemente gli esiti del percorso terapeutico riabilitativo proposto.

Tutte quelle strutture socio assistenziali, a diversa denominazione, ma dalle pratiche custodialistiche e cronicizzanti. Ci riferiamo anche alla povertà culturale di quei servizi territoriali di salute mentale, in troppi luoghi del territorio nazionale, permeati da una visione biologista, dispensatori e sostenitori del farmaco a vita, prevalentemente fiala depot mensile o trimestrale (qualcuno aspetta con impazienza la fiala semestrale), senza possibilità alcuna di intraprendere un percorso di cura orientato alla ripresa o un adeguato ed efficace sostegno alla famiglia. Raccogliamo ogni giorno le segnalazioni di utenti dei servizi di salute mentale che lamentano la loro esclusione da un reale percorso di cura condiviso orientato alla ripresa, alla guarigione possibile. In tanta parte del territorio nazionale, è urgente una rivoluzione culturale che riparta dalla teoria e dalla pratica di Franco Basaglia; la persona al centro della relazione terapeutica e non la diagnosi. La cura sta principalmente nella relazione, nella qualità della relazione, nella capacità di comprenderla quella sofferenza, di entrarci dentro  per insieme affrontarla e sanarla. Comprendere il significato di quei comportamenti, da dove nascono e perché, cosa è accaduto a quelle vite scompaginate che vanno in frantumi.

Una rivoluzione culturale e organizzativa che metta nelle condizioni quei servizi e quegli operatori  di avere le risorse professionali multidisciplinari di cui hanno bisogno, risorse finanziarie dedicate ai percorsi individuali di ripresa anche attraverso lo strumento del budget di salute. Rimettendo al centro la persona umana per un percorso reale di emancipazione e liberazione dalla condizione di sofferenza mentale. Far si che i servizi siano immediatamente riconoscibili e raggiungibili, in qualunque momento del bisogno, presidi di prossimità capaci di intercettarli i bisogni e offrire  percorsi e opportunità. Nell’agire politico e nelle scelte programmatiche, da troppo lungo tempo, la questione salute mentale non costituisce priorità e i risultati si possono leggere nei dati ufficiali raccolti dal Ministero della Salute e rielaborati dalla SIEP a cui ognuno di noi può accedere. La povertà in cui versa oggi la psichiatria, una gran parte della psichiatria italiana, è un dato di fatto che però può essere ribaltato e rivoluzionato con l’impegno di tutti. È doveroso che il Governo nazionale e tutte le Regioni  facciano il punto della situazione (l’occasione può essere la Conferenza Nazionale Salute Mentale 2021 che sollecitiamo sia governativa), per individuare le criticità organizzative e culturali del sistema e riconoscere quelle buone pratiche dei servizi di salute mentale di comunità, che pure esistono, ma che non sono egemoni nella cultura psichiatrica italiana.

L’Unasam, e le associazioni che la compongono, non hanno mai smesso in questi decenni di mantenere aperto il confronto dialettico e propositivo con le Istituzioni, sia a livello di Governo e Parlamento che a livello locale. Abbiamo partecipato alla costruzione di tutte le fasi di superamento degli ospedali psichiatrici e degli ospedali psichiatrici giudiziari, e alla definizione dei Progetti Obiettivo e dei Piani di attuazione, alle Audizioni e inchieste parlamentari, e pensiamo che senza di noi tutto questo probabilmente non sarebbe stato possibile, ma non è abbastanza. E’ sul territorio che deve rafforzarsi la nostra azione, è sul territorio che vanno costruite le alleanze, principalmente con gli operatori e le operatrici della salute mentale, come noi in prima linea, e con la società civile. Troppe volte, in questi decenni, abbiamo registrato arretramento da parte dei Governi centrali e di tante Regioni nell’applicazione delle norme e dei piani attuativi che pure il Paese è riuscito a darsi. Ma noi non possiamo permetterci nessun arretramento nella difesa dei diritti nostri e dei nostri cari, non solo perché siamo familiari ma, principalmente, perché vogliamo essere cittadini responsabili e consapevoli che credono nella democrazia, nella cittadinanza attiva e nell’esercizio dell’azione politica. E sappiamo che tutto ciò che conquistiamo non è mai per sempre, che le conquiste vanno coltivate e difese giorno dopo giorno. Non è stato facile per noi portare avanti questo impegno personale e collettivo, di fatica e sacrifici (continuando ad occuparci dei nostri cari giorno dopo giorno) resistere e andare avanti, e pensiamo che in questo periodo di emergenza covid lo sia ancora di più come abbiamo più volte segnalato al Governo e al Ministero della Salute. Siamo angosciati per le restrizioni alle libertà personali disposte dalle strutture residenziali (persone anziane, con disabilità, con sofferenza mentale, adulti e minori) ma anche negli ospedali. Consideriamo crudele e dannoso non permettere alle persone di ricevere il conforto e la vicinanza dei propri familiari. Abbiamo sollecitato un provvedimento da parte del Ministero della Salute che dia indicazioni chiare alle Regioni e alle strutture affinché, pur nella necessaria azione di prevenzione, si garantisca alle persone che nelle strutture vengono accolte di poter vedere con regolarità i propri familiari e continuare a svolgere attività socializzanti e i percorsi riabilitativi.

In questo percorso di impegno collettivo, la strada che indichiamo è quella della partecipazione attiva e la forte alleanza tra i familiari perché non ci può essere libertà e giustizia sociale per nessuno se continueranno ad esistere luoghi e pratiche che negano la dignità e la libertà delle persone, se parte della popolazione vive la condizione della povertà e della miseria, se tanti sono emarginati socialmente, discriminati, privati del diritto fondamentale alla salute e al benessere sociale. E la forte alleanza, comprensione e solidarietà tra familiari oltre che preziosa è necessaria anche se purtroppo incontriamo profonde resistenze. In tanti si vergognano a parlarne, altri sottovalutano il problema, altri ancora attribuiscono “quei comportamenti” a forme caratteriali non recuperabili senza voler ulteriormente approfondire, altri ancora tengono i loro cari nascosti, o segregati in casa fin da bambini come documentano le tante storie che ci arrivano.

Dobbiamo fare autocritica anche al nostro interno. Noi familiari non possiamo “accontentarci” quando ci vengono proposti per i nostri cari percorsi terapeutici non condivisi con la persona direttamente interessata. Non dobbiamo “accontentarci” quando ci viene detto che per il loro bene è necessario inviarli in comunità distanti dagli affetti, magari in altra regione. Non dobbiamo “accontentarci” quando ci dicono che per il loro bene è necessaria quella specifica terapia nonostante la persona interessata (a causa degli effetti collaterali visibilissimi) vorrebbe essere ascoltata per  modificarla, scalarla  o sospenderla. O quando ci viene detto che “non risponde alla terapia” che è “farmaco resistente” che i colloqui con lo psicologo non servono. Non  dobbiamo  accettare di sentirci dire “lo abbiamo legato per il suo bene”

Ciò che dobbiamo chiedere ad un servizio di salute mentale e ai servizi per le dipendenze è quell’aiuto paziente e competente in grado di rimettere insieme i pezzi di quell’esistenza che sta andando in frantumi, prima che sia troppo tardi, prima di lasciare incancrenire una situazione recuperabile. Aiuto tempestivo sul territorio dove viviamo, fino alle periferie, fino ai paesini dell’interno, in qualunque giorno e in qualunque ora del giorno. Uno dei problemi principali che incontrano i familiari, quando la convivenza a causa della sofferenza mentale, tante volte associata ad un problema di dipendenza, è difficile e conflittuale, è “dove lo mando” e se una soluzione condivisa non si trova accade che quella famiglia si sgretola. I fratelli si allontanano e tante volte le coppie si separano. Non è necessario vivere insieme quando la convivenza è impossibile, ma si può essere genitori, fratelli, sorelle, figli pur abitando in luoghi separati. Ed è questo che dobbiamo chiedere ai servizi, luoghi altri dove poter condurre una esistenza degna di essere vissuta pur nella difficoltà della condizione di sofferenza mentale, supportati da operatori qualificati quando serve e per il tempo che serve. In piccole comunità o case condivise, o abitare indipendente, nei quartieri e non in luoghi isolati, integrati e non emarginati. Abbiamo dimostrato, attraverso le esperienze dirette di chi la condizione della sofferenza mentale la vive sulla propria pelle e la combatte, che si tratta di una condizione umana che può colpire chiunque di noi, in qualunque momento della nostra esistenza, che richiede comprensione umana, vicinanza, aiuto; interventi sociali e sanitari tempestivi e adeguati, per prevenire abbandono, cronicizzazione, incapacitazione, mortificazione. Che richiede la costruzione di percorsi individualizzati di uscita dalla crisi e dalle difficoltà.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, alcuni anni fa, avviò uno slogan tradotto in 45 lingue “Fermiamo l’esclusione e abbiamo il coraggio di Curare”. Le Nazioni venivano sollecitate ad attivarsi per promuovere leggi innovative che incoraggiassero l’inclusione sociale. E noi in Italia, che le leggi innovative le abbiamo da tempo, non siamo capaci di difenderle fino in fondo e chiedere conto dei ritardi e delle inadempienze politiche e amministrative. L’OMS considera ancora oggi la psichiatria pubblica italiana un punto di riferimento di eccellenza per tutto il mondo e ritiene che non c’è bisogno di nuovi saperi psichiatrici in quanto quelli che esistono oggi per rispondere ai problemi di salute mentale sono più che sufficienti, ma è la loro applicazione che lascia posto ad interventi non umani, non etici, non accettabili. Si pone quindi con forza il problema di quale formazione per gli operatori della salute mentale, di chi deve formare gli operatori della salute mentale, chi propone i contenuti della formazione, cosa ne facciamo di quelle straordinarie pratiche di salute mentale di comunità che curano senza mortificare né danneggiare.

Facciamo in modo che ovunque in Italia si possa dire noi siamo quelli della Legge 180! Noi non l’abbiamo tradita. Le scelte che le Regioni hanno compiuto in questi anni non vanno certo in questa direzione: accorpamenti di aziende sanitarie, di dipartimenti di salute mentale, chiusura di centri di salute mentale e centri diurni, assenza di risorse finanziarie dedicate alla salute mentale, riduzione drammatica di personale, porte chiuse e contenzione, non vanno certo in questa direzione. Aumento spropositato di posti letto nelle cliniche private e nei grandi Istituti non vanno certamente in questa direzione, e neppure l’apertura di centri psichiatrici col sistema dei moduli e isolati rispetto al contesto urbano vanno in direzione della 180 e di tutte le norme e raccomandazioni  successive. Oggi c’è un impegno da parte della sottosegretaria alla salute mentale Sandra Zampa, di attenzione del Ministero verso la questione salute mentale. E ha dichiarato la volontà del Ministero a promuovere la prossima Conferenza Nazionale della Salute Mentale nel maggio 2021. Noi saremo vigili, continueremo ad avanzare proposte, a tenere aperto il confronto istituzionale e denunciare inadempienze e violazioni dei diritti .

Chiudo questo mio intervento con l’esortazione a mantenere alta l’attenzione della società civile e dei media sulla questioni della salute mentale e sullo stigma e i pregiudizi di cui ancora sono vittime le persone che vivono la condizione della sofferenza mentale e favorire campagne pubbliche di sensibilizzazione che coinvolgano le comunità locali e la scuola nella prevenzione del disagio giovanile. Ciò che stiamo chiediamo al Governo e alla Conferenza delle Regioni è l’avvio quindi di provvedimenti e procedure che esortino e indirizzino le Regioni, le ASL e i Comuni, a rispondere (attraverso la non più rinviabile  programmazione locale, partecipata e condivisa), ai bisogni di salute e benessere sociale della popolazione, in particolare di quella fascia di popolazione che vive le condizioni della sofferenza mentale e della marginalità sociale.

Grazie per la vostra attenzione.

Napoli, 25 settembre 2020, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

Gisella Trincas, Presidente UNASAM

fonti: UNASAM      –     CONFERENZA NAZIONALE SALUTE MENTALE

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