Influenza e Covid19. di Maurizio Bonati, Tom Jefferson

Ogni anno, l’influenza rappresenta un aggravio considerevole per le risorse della comunità e dei servizi sanitari. Inizia l’autunno, l’influenza, le sindromi simil-influenzali (ILI) e la sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (COVID-19) circoleranno simultaneamente. Anche in una stagione influenzale moderatamente grave in presenza di COVID-19 circolante potranno aumentare i casi di malattie respiratorie acute, quindi il carico di lavoro del personale sanitario e il bisogno e il dispendio di risorse sanitarie, economiche e sociali. Febbre, dolori, astenia, tosse… sono sintomi sia dell’influenza che di un’infezione da COVID-19. Da qui il timore diffuso di non essere in grado di distinguerle prontamente e attuare appropriati interventi di cura e di contenimento della diffusione delle infezioni. Alcuni sintomi sono tipici della COVID-19 (p. es., anosmia, iposmia, ageusia, disgeusia), ma per una diagnosi differenziale certa solo i risultati di un tampone (con i rispettivi limiti di sensibilità e specificità) è dirimente.

La prevenzione o la riduzione della gravità del maggior numero possibile di casi di malattie respiratorie acute sarà un passo fondamentale per ridurre la morbilità e la mortalità in un contesto organizzativo e strutturale della prevenzione di insufficiente efficienza. La vaccinazione antinfluenzale è stata indicata come un intervento fondamentale in questo sforzo, sebbene le evidenze disponibili in termini di effectiveness non siano solide. Indicazione anche riconducibile al particolare contesto legato alla pandemia di COVID-19 dove le popolazioni soggette a forme gravi sono perlopiù le stesse per entrambe le infezioni.

Se la pandemia di COVID-19 rappresenta una tragica novità, non altrettanto è la ciclica comparsa dell’influenza. Mediamente, influenza e ILI colpiscono ogni anno il 9% della popolazione italiana, con un minimo del 4%, osservato nella stagione 2005-06, e un massimo del 15% registrato nella stagione 2017-18. nella fascia d’età 0–14 anni, che è quella più colpita, l’incidenza, mediamente, è pari a circa il 26% (12-40%). Nella popolazione generale, le coperture vaccinali della stagione influenzale 2019/2020 registrano un leggero aumento (16,7%) rispetto alla stagione precedente (15,8%). Nella popolazione anziana (con più di 65 anni di età) dalla stagione 2015/2016 si osserva un trend in costante aumento arrivando al 54,6% dell’ultima stagione (75% il target OMS).[1,2] Queste lacune nella copertura vaccinale (di entità diversa tra le regioni, ma ovunque bassa) potrebbero essere particolarmente preoccupanti in questa stagione in considerazione della differente distribuzione territoriale della COVID-19.

Un motivo d’esitazione è la scarsa efficacia di questo vaccino che è moderata, se non esigua, come riportato dalle revisioni sistematiche degli studi condotti in popolazioni di bambini e adulti sani, anziani e pazienti immunodepressi.[3-6] Studi che si caratterizzano per le distorsioni metodologiche e il non essere indipendenti. L’efficacia del vaccino è associata all’epidemia (anno) in cui lo studio è stato effettuato, alla corrispondenza tra i ceppi inseriti nella formulazione del vaccino testato e quelli che effettivamente circolavano, all’età e allo stato di salute del vaccinato, all’outcome misurato. L’efficacia è misurata principalmente con la riduzione di visite ambulatoriali per “influenza confermata dal laboratorio”, ed è intorno al 35-40 %,[7,8] indicatore debole già nel definire il denominatore della popolazione effettiva di riferimento. Quindi un’efficacia ampiamente sovrastimata. [9-12] Questa diminuzione incide poco sull’incidenza dell’insieme delle ILI.[13] Una condizione che, quindi, dovrebbe far decidere iniziative di salute pubblica da parte di un Servizio Sanitario Nazionale universalistico anche sulla base di appropriate valutazioni di costo/efficacia nazionali. Oltre alle distorsioni metodologiche, spesso basati su modelli, gli studi di vaccinoeconomia sono di difficile generalizzazione a contesti differenti da quelli studiati. Così, ad esempio, utilizzare acriticamente i risultati di uno studio americano (la vaccinazione ha prevenuto 7,1 milioni di casi, 3,7 milioni visite mediche, 109.000 ricoveri e 8000 decessi negli Stati Uniti)[14] che ha analizzato la stagione 2017-2018 (per la quale il carico stimato della malattia influenzale era più grave dalla pandemia del 2009), con una stima di efficacia della vaccinazione del 38%, per sostenere che la vaccinazione si traduce in una sostanziale riduzione del carico di malattia è più di una forzatura.

Tuttavia, indicazioni a supporto della vaccinazione antinfluenzale vengono da dati preliminari che indicano che si infetta di più di COVID-19 chi non è vaccinato contro il virus dell’influenza o lo Pneumococco. Viceversa sembrano più protetti i vaccinati.[15] “Vista l’attuale situazione epidemiologica relativa alla circolazione di SARS-CoV-2” il governo il 4 giugno u.s. ha emanato una circolare estendendo le indicazioni per la vaccinazione antinfluenzale riportate nel Piano nazionale prevenzione vaccinale raccomandando “di anticipare la conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale a partire da ottobre e di offrire la vaccinazione ai soggetti eleggibili in qualsiasi momento della stagione influenzale, anche se si presentano in ritardo per la vaccinazione”.[16] L’elenco comprende, praticamente, quasi tutta la popolazione. L’estensione d’offerta suggerita dalla circolare, non basata su solide evidenze scientifiche e in un contesto di grande difficoltà nell’organizzazione dei servizi di prevenzione, se adottata in tutto il Paese, potrebbe infatti comportare una serie di criticità, come sottolineato dal nucleo strategico del Nitag (National Immunization Technical Advisory Group), non consultato,[17] e da alcuni interventi della comunità scientifica.[18-21] Tra le criticità predomina il dubbio della capacità del SSN di garantire l’accesso e la disponibilità di dosi di vaccino e la somministrazione della vaccinazione a tutti i soggetti indicati nella circolare, senza creare ulteriori disuguaglianze in una pratica vaccinale nazionale in cronica difficoltà.

Primo produttore di vaccini antinfluenzali al mondo, con circa il 40 per cento di quota di mercato, Sanofi Pasteur vende ogni anno tra i 200 e i 220 milioni di dosi. Gli altri due giganti del mercato sono GlaxoSmithKline e AstraZeneca. Nel 2019 sono state distribuite 12,5 milioni di dosi, quest’anno dovrebbero essere disponibili 17 milioni di dosi. I farmacisti delle farmacie al pubblico hanno già lamentato la scarsità di dosi da distribuire. Ciascuna regione, in autonomia, ha provveduto alle proprie richieste e indicazioni. La Regione Lombardia ha addirittura annunciato l’uso di un vaccino per la popolazione da 24 mesi a 18 anni d’età mai utilizzato in Italia: Fluenz Tetraspray nasale®, sospensione, vaccino antinfluenzale (vivo attenuato), tetravalente, commercializzato da AstraZeneca. Situazione ancora una volta “variegata” per la Salute Pubblica nazionale. AIFA ha istituito una apposita task force per monitorare la situazione degli approvvigionamenti e della distribuzione dei vaccini.[22] Sarebbe, comunque, utile avere anche il monitoraggio delle avvenute vaccinazioni in considerazione del fatto che la circolare ministeriale non riporta alcun dato delle coperture effettive, delle caratteristiche dei vaccinati, delle realtà e contesti geografici e di vita della popolazione italiana, sia quella target per l’antinfluenzale che dell’intera popolazione, nel corso del tempo. Altri tavoli di lavoro, task force, tavoli di regia, coordinamenti, … nazionali, regionali, locali.[23] Compiti e responsabilità di altri per bisogni collettivi a tutt’oggi inevasi.

Vaccinando contro l’influenza eviteremo di confondere i sintomi influenzali con quelli della COVID-19?

No. L’efficacia del vaccino antinfluenzale è scarsa [24] e nella pratica clinica i “sintomi simil-influenzali” causati da patogeni delle infezioni acute delle vie respiratorie superiori sono spesso indistinguibili. La probabilità di confermata diagnosi delle segnalazioni di influenza dei “medici sentinella” è attorno al 50%.[25] Durante il “picco” dell’influenza stagionale invernale la maggior parte dei ricoveri non sono a causa del virus dell’influenza, ma dell’insieme di altri virus respiratori (rinovirus, virus sinciziale, coronavirus e altri).[26]

Se ci vaccinassimo contro l’influenza, ci sarà meno sovraccarico di richieste al Pronto Soccorso e negli ambulatori del territorio nei centri?

Non lo sappiamo. Ogni anno milioni di cittadini vengono vaccinati contro l’influenza e ogni anno la richiesta di salute cresce, e cresce durante la stagione influenzale invernale stagionale, indipendentemente dallo stato vaccinale dei pazienti che accedono al Pronto Soccorso o agli ambulatori territoriali.[27]

Gli esiti della prossima influenza invernale stagionale, esacerbati dalla pandemia di COVID-19, saranno peggiori di quelli degli anni passati?

Non dovrebbe. I dati di monitoraggio internazionale della piattaforma FluNet dell’Oms indicano che nell’emisfero sud (ad esempio, Australia, Sud Africa, Cile) nei mesi tipici dell’influenza stagionale (giugno-agosto) il virus è circolato poco e di bassa attività. Così come nell’emisfero nord nel periodo interstagionale i casi di influenza sono stati un decimo di quelli annuali.[28] Se ne conclude che la stagione 2020-2021 dovrebbe essere quella con la minor circolazione del virus e con il più basso numero di casi segnalati negli ultimi decenni, da quanto si sono attivati i programmi di monitoraggio a livello internazionale. Abbiamo infatti evidenze che con la pandemia, altri germi che causano malattie acute delle vie respiratorie superiori sono quasi “scomparsi”. Ad esempio, In Argentina durante l’inverno i casi di influenza sono drasticamente diminuiti, e questo è stato attribuito non alla vaccinazione antinfluenzale, ma al fatto della diminuita circolazione dei patogeni che causano infezioni acute delle vie respiratorie.[29] Lo stesso è accaduto in Australia,[30] Corea del Sud, [31] Giappone, [32] Nuova Zelanda[33].

Dobbiamo vaccinarci contro l’influenza?

Le misure igieniche (lavaggio mani, buona igiene respiratoria, isolamento volontario al domicilio dei soggetti con sintomi respiratori) rappresentano provvedimenti da adottare sempre indipendentemente dalla stagione e dei contesti di vita, e che contribuiscono anche a prevenire il contrarre e il trasmettere infezioni respiratorie. Non impediscono, ma riducono il rischio di contagio. La vaccinazione antinfluenzale stagionale è quindi da intendersi come intervento aggiuntivo in determinate condizioni, seppur con limitata efficacia rispetto all’atteso.

Sì se: soggetti di età >65 anni (vaccinarsi anche contro lo pneumococco); soggetti fragili per condizione di vita e di salute, in particolare quelli residenti nelle strutture sociosanitarie e di lungodegenza; operatori sanitari e personale dei servizi pubblici e privati in contesti ad alto rischio di trasmissione (p. es. scuole, trasporti).

Gli autori:

Maurizio Bonati, Responsabile del Dipartimento di Salute Pubblica, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, Milano (maurizio.bonati@marionegri.it)

Tom Jefferson, Centre for Evidence Based Medicine, Oxford (tom-jefferson@conted.ox.ac.uk)

 

Bibliografia

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  3. Jefferson T, Rivetti A, Di Pietrantonj C, Demicheli V. Vaccines for preventing influenza in healthy children. Cochrane Database of Systematic Reviews Online Publication Date: February 2018 DOI: 10.1002/14651858.CD004879.pub5
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  5. Demicheli V, Jefferson T, Di Pietrantonj C, Ferroni E, Thorning S, Thomas RE, Rivetti A. Vaccines for preventing influenza in the elderly. Cochrane Database of Systematic Reviews Online Publication Date: February 2018 DOI: 10.1002/14651858.CD004876.pub4
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