Rendere conto dei morti. di Gavino Maciocco

Siamo ai primi posti nella mortalità da Covid-19. Ma non basta contare i morti, bisogna raccontarli. E bisogna anche renderne conto.

La conta dei morti da COVID-19 in Italia è un esercizio penoso perché quale sia la forma con cui si presentano i dati, la conclusione è sempre la stessa: siamo di fronte a un disastro di straordinarie proporzioni (65 mila morti, finora) . La Figura 1 mostra l’andamento della mortalità nella seconda ondata nei principali paesi europei (fonte Ecdc https://qap.ecdc.europa.eu/public/extensions/COVID-19/COVID-19.html#global-overview-tab): Francia e Spagna sono “partite” per prime, hanno raggiunto il livello massimo di mortalità a metà novembre per poi regredire (la Spagna più velocemente della Francia). Germania, Italia e Regno Unito sono “partite” con circa due settimane di ritardo, ma di queste tre l’Italia registra tassi di mortalità nettamente superiori.

Anche prendendo i dati cumulativi di mortalità, a partire cioè dall’inizio della pandemia (Fonte: OMS https://covid19.who.int/table)  l’Italia è in testa: 107,5 decessi x 100mila ab (seguono Spagna 101,0; UK 96,2; Francia 85,8; Germania 26,8). I dati i italiani sono superiori anche rispetto agli USA: 88,6 x 100mila ab, al Brasile 86,2 e alla Russia 32,6.

Le Figure 2 e 3 mostrano l’andamento dei dati di mortalità giornaliera nella prima e seconda ondata in Italia e in Toscana (dove la seconda ondata è stata assai più impetuosa e letale). A dimostrazione che non si è imparato niente dalla prima e più degli altri ci siamo trovati ancora una volta impreparati.

 

“Dobbiamo raccontare i morti, oltre che contarli”. Questo il titolo dell’editoriale di Domani (dello scorso 5 dicembre, quando in Italia fu raggiunta la cifra record di 993 morti da COVID-19) a firma di Chiara Valerio, che scrive: “Al milite ignoto si dedicano targhe e steli. E per questi morti ignoti anche ai loro stessi affetti – qualsiasi essi siano, dovunque essi siano – a questa dismissione giuridica e emotiva dell’habeas corpus, cosa facciamo? Come facciamo a ricordarcelo, e dunque a ricordare loro?”.

Raccontare i morti, ricordare le storie delle vittime di una catastrofe – come un genocidio, una guerra, una pandemia – è anche, dovrebbe essere un monito per il futuro.  Per non ripetere gli stessi errori, gli stessi orrori.  Ci possono essere diversi modi per raccontare i morti, per ricordare nel bene o nel male il percorso finale di una persona, come ha fatto Massimo Gramellini riportando la storia di Denise, un’anziana signora che in un ospedale di Parigi ha rinunciato a entrare in una terapia intensiva ormai satura per lasciare il posto a un malato più giovane, sorridendo ai medici, che si sentivano in colpa, poco prima di morire.

C’è un modo meno giornalistico, meno narrativo, per raccontare i morti, per dare significato, dignità e giustizia all’estrema sofferenza (quale quella della morte da Covid) delle persone scomparse: ricostruire col metodo dell’audit quante di quelle morti potevano essere evitate. Si tratta in concreto di applicare a Covid i principi delle malattie “tempo dipendenti”, come l’infarto miocardico e l’ictus dove i ritardi nella diagnosi e nella terapia possono avere conseguenze catastrofiche. Tenendo conto che nel caso di Covid – a differenza dell’infarto e dell’ictus – per salvarsi il più delle volte può essere sufficiente una tempestiva, appropriata assistenza domiciliare. Il metodo dell’audit prevede che per ogni “caso critico” (quale quello di un decesso Covid) si ricostruiscano le varie fasi del percorso diagnostico-terapeutico, raccogliendo alcune, significative informazioni, quali ad esempio:  il tempo di latenza tra l’inizio dei sintomi e la visita del medico (mmg, medico USCA, medico del pronto soccorso), tra la visita del medico e l’accertamento diagnostico  e l’eventuale ricovero e la sua durata; la catena dei contagi che ha coinvolto la persona deceduta; il luogo del decesso, a domicilio, in RSA, in ospedale e in quale reparto.

L’audit dovrebbe essere promosso e organizzato su scala nazionale, su un campione significativo di decessi (almeno il 20% del totale), basato su un atto del Governo o meglio del Parlamento, che ne definisca le finalità e lo spazio di manovra, in modo da escludere che la documentazione dell’audit possa essere utilizzata a scopo giudiziario. All’analisi e alla discussione dei casi dovrebbero partecipare tutti gli attori coinvolti nei processi assistenziali, con la partecipazione – in rappresentanza dei cittadini – di membri del Parlamento, dei Consigli Regionali, dei Comuni. Si renderebbe significato, dignità e giustizia a tutti i morti da Covid se da quell’audit emergessero – solennemente – le molteplici criticità del sistema, si svelassero gli errori e le omissioni e, di conseguenza, si proponessero le necessarie correzioni, le indispensabili riforme per restituire una piena funzionalità al nostro SSN, nei suoi fondamentali compiti di prevenzione, cura e assistenza sanitaria e sociale, e di lotta alle diseguaglianze.

Il nostro SSN è arrivato impreparato all’appuntamento con la pandemia, stremato da anni di tagli e di privatizzazioni. Per certi versi ancora più grave è l’inerzia con cui governo centrale e regioni hanno affrontato la seconda fase, più catastrofica della prima (ricordiamoci i morti di ieri: 845). Le falle storiche del nostro SSN, associate all’impreparazione e all’incompetenza dimostrate fin dall’inizio della pandemia, hanno certamente contribuito a determinare l’insopportabile carico di morti che il Paese sta piangendo (e l’audit servirebbe a precisare l’entità di tale contributo e a stabilire i diversi livelli di responsabilità).

All’impreparazione e all’incompetenza si è aggiunta in questi giorni l’incoscienza. Infatti solo l’inconsapevolezza della gravità della situazione può aver suggerito al Governo di proporre la ridicola cifra di 9 miliardi di euro a favore della sanità, appena il 4,6 % delle enormi risorse messe a disposizione con Next Generation UE.

Ci troviamo di fronte a una scelta politica precisa – si legge nel comunicato firmato da una vasta coalizione di Associazioni (le stesse che lo scorso avevano lanciato una appello finanziare con 30 mld di euro un Piano nazionale dedicato al potenziamento dell’assistenza sociale e sanitaria territoriale) – e uno schiaffo alla sanità pubblica nazionale e ai servizi sociali: la rinuncia a rinnovare e potenziare il nostro SSN, per metterlo in grado di tutelare per davvero la salute della popolazione e ridurre le sempre più profonde diseguaglianze sociali. Una scelta destinata a trasformare un invidiato sistema di sanità pubblica in uno che sempre più favorirà la medicina privata” .

Per questo ci ribelliamo di fronte a questo schiaffo al welfare pubblico e chiamiamo alla mobilitazione (primo appuntamento il 19 dicembre) tutti coloro che hanno a cuore il destino, il rilancio e l’innovazione del nostro sistema sociale e sanitario pilastro fondamentale per la tutela della Salute”. Con queste parole si conclude il comunicato delle Associazioni che Saluteinternazionale ha pienamente condiviso e sottoscritto (vedi Risorse).

Post-scriptum

Che il nostro SSN sia giunto impreparato all’appuntamento della pandemia, anche perché privo di un piano pandemico, lo afferma un rapporto dell’OMS (An unprecedented challenge Italy’s first response to COVID-19, vedi Risorse), pubblicato dall’Ufficio Regionale per l’Europa con sede a Venezia, reso noto il 14 maggio, ma immediatamente dopo ritirato dalla circolazione, perché contenente osservazioni sgradite al Dr. Ranieri Guerra, Direttore Aggiunto dell’OMS (vedi  qui e un articolo di Nicoletta Dentico e Elaine Ruth Fletcher).

La trasmissione Report (RAI 3, di Sigfrido Ranucci) ha dedicato varie puntate al tema dell’impreparazione del sistema sanitario di fronte alla pandemia. Quella di lunedì 30.11.2020 è stata focalizzata sullo scontro tra Ranieri Guerra e Francesco Zambon, capo del gruppo dei ricercatori OMS di Venezia. Nel corso della trasmissione viene fatta vedere questa mail.

Sono rimasto senza parole, esterrefatto. Per il tono offensivo, imperativo e arrogante. E per quella frase che ci riguarda da vicino “Ed eliminate il riferimento a quello scemo di Curtale. Il riferimento da cancellare è il n.13 delle voci bibliografiche: riguarda un post pubblicato da Saluteinternazionale il 15 aprile 2020 (ancor prima delle trasmissioni di Report), dal titolo “C’era una volta il piano pandemico”, per la firma di Filippo Curtale, Direttore UOC Rapporti internazionali, INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà).

Saluteinternazionale e Filippo Curtale (cui rinnoviamo tutta la nostra stima) non si fanno intimidire. Ma non vogliamo neppure alimentare ulteriormente la polemica. Pretendiamo questo sì il massimo della trasparenza sull’intera vicenda e il massimo rispetto per il gruppo dei valorosi ricercatori OMS di Venezia. Di tutto ciò torneremo liberamente a parlare.

Risorse

fonte: saluteinternazionale.info

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