Vaccini: liberarsi dalla proprietà intellettuale. di Rossana Dettori

Roberta Lisi intervista Rossana Dettori segretaria CGIL nazionale

Mancano i vaccini, questa l’affermazione che sentiamo ripetere in continuazione. Mancano e le case farmaceutiche detentrici dei brevetti non rispettano i contratti sottoscritti. Innazitutto una tua considerazione.

Non è più accettabile per i cittadini e le cittadine sentirsi dire che mancano i vaccini senza che ci sia trasparenza sulle cause di questa mancanza. Le informazioni che arrivano, a volte, sono in contraddizione le une con le altre, ci sono impegni contrattuali che sembrano non venir rispettati. Non è ben chiaro se le dosi prodotte sono inferiori a quelle previste o lotti di fiale originariamente destinate all’Europa sono poi, a seguito di accordi commerciali diversi, stati dirottati altrove. Questa opacità non è più tollerabile. Noi abbiamo già lanciato una raccolta di firme europee affinché i brevetti vengano tolti e la proprietà intellettuale passi in mano agli Stati. Peraltro è bene ricordare che l’Unione europea ha finanziato per il 70% la ricerca sui vaccini. Soldi dei cittadini e delle cittadine europei, non si capisce quindi perché i governi non riesco ad intervenire sulle multinazionali del farmaco per imporre la liberatoria sui brevetti così che tutti i Paesi possano produrre i vaccini. Ed è bene sottolineare che per mettere in sicurezza l’Italia è necessario che venga vaccinata la popolazione del mondo. Per sconfiggere la poliomielite venne vaccinata tutta la popolazione mondiale, allora fu sufficiente una dose, e ci vollero tre anni per venirne fuori. Abbiamo bisogno di vaccinare tutti e ripetutamente, se vogliamo mettere in sicurezza la popolazione italiana e mondiale.

Nell’intervento programmatico di fronte alle camere il premier Draghi ha posto la campagna di vaccinazioni come priorità. Cosa deve fare allora il governo?

Innanzitutto programmare una campagna vaccinale vincolante per tutti, e poi le regioni devono organizzarsi e metterla in pratica. Non è più accettabile assistere al balletto delle regioni: i cittadini e le cittadine non hanno mai la certezza di cosa gli capiti, le regole cambiano a seconda di dove si abita. Alcuni territori sono partiti con la somministrazione agli over 80 e stanno facendo un buon lavoro, altri sono fermi al personale sanitario. Altri ancora sono in notevole ritardo senza spiegarne le ragioni ai propri cittadini. In alcune regioni, poi, è partita la vaccinazione per gli insegnanti ma in qualche caso a tutti, in altri solo ai residenti e gli insegnanti pendolari rimangono esclusi. È necessaria una banca dati della popolazione divisa per categorie e fasce di età, ogni regione deve avere la sua ma il sistema deve essere unico, le diverse banche dati devono essere omogenee e dialoganti. Insomma così non può continuare.

Il piano vaccinale indispensabile ma occorrono i vaccini. Il ministro dello Sviluppo economico ha incontrato le industrie farmaceutiche chiedendo di avviare la produzione in Italia. È una strada percorribile? E cosa chiede la Cgil a governo e sistema delle imprese?

Per noi questa è una strada percorribile. In Italia esistono diverse industrie farmaceutiche, alcune producono vaccini basti pensare agli anti-influenzali, certo vanno riconvertite e questa è una occasione anche dal punto di vista dell’innovazione e della crescita. Il siero anti covid servirà per anni, quindi è importante percorrere questa strada, lo si può fare attraverso investimenti, perché vanno riconvertite le linee di produzione, e lo si può fare solo se i governi e l’Europa decidono di chiedere almeno la sospensione dei brevetti e la possibilità di produrre vaccini su licenza. In ogni caso già ora alcune parti della complessa produzione industriale si possono realizzare – in parte si realizzano – nel nostro Paese, penso ad esempio all’infialamento del siero. Farmindustria si è detta disponibile, ovviamente è necessario qualche mese per predisporre e realizzare la riconversione di alcuni stabilimenti, ma è indispensabile che il sistema paese spinga in questa direzione. Il sindacato fa e farà la sua parte. Anche perché un’operazione di questo tipo può essere anche occasione di creazione di buona occupazione.

Torniamo alla questione della proprietà intellettuale. Mai come in questa vicenda appare chiara la contraddizione tra i brevetti e il diritto alla salute.

La pandemia ha richiamato ciascuno di noi, singoli cittadini e singole cittadine, organizzazioni sociali, partiti, singoli paesi ed Europa a comprendere cosa significhi diritto alla salute. Un diritto è pienamente esigibile solo se lo è per tutti e tutte, e la salute è una delle condizioni di cittadinanza. Ed allora la salute è un bene comune, deve essere un bene comune indisponibile al mercato. Questo ragionamento vale per chi deve garantire questo “bene comune”, il servizio sanitario che quindi non può che essere pubblico e universale, e per l‘accesso a farmaci e vaccini. Mai come in questo momento è evidente che la proprietà intellettuale sull’unico strumento in grado di controllare la pandemia e, speriamo, sconfiggerla, mini la tutela della salute individuale e collettiva. Proprio per questa ragione, torno a dirlo, la Cgil è tra i soggetti promotori, insieme a molte altre organizzazioni, di una petizione europea petizione europea, si chiama Ice, per chiedere a Commissione e Parlamento europei di intervenire in questo senso. Il coordinatore della campagna italiana è Vittorio Agnoletto e insieme a lui stiamo raccogliendo le firme (si sottoscrive on line a questo indirizzo) e promuovendo una campagna di informazione e sensibilizzazioni per raggiungere l’obiettivo del milione di firme. Ma questo non ci basta, abbiamo chiesto al ministro della Salute Speranza un incontro perché anche l’Unione europea in quanto tale, e quindi l’Italia insieme agli altri, deve contrattare seriamente con le multinazionali del farmaco non soltanto sulle quantità, sui tempi di consegna e sul prezzo, ma sulla necessità di rendere il vaccino accessibile a tutti, non solo in Europa ma nel mondo.

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I piani vaccinali comunque vanno avanti. I piani perché anche in questo caso ne esistono 21, uno per regione tutti diversi. In alcuni territori la campagna muove spedita, in altri si è appena cominciata la vaccinazione degli ultra ottantenni, alcuni hanno cominciato la somministrazione per forze dell’ordine e insegnanti, in altre questa tappa è lontana. Anche su questa vicenda esiste un rapporto conflittuale tra istituzioni centrali e regionali ma, secondo la Costituzione, la tutela della salute è compito dello Stato.

Da tempo, e ancor di più in questo periodo, ragioniamo con alcuni “esperti”, penso a Rosi Bindi, in passato fu una grande ministra della salute e lei si deve l’ammodernamento della Riforma del 78, o a Nerina Dirindin economista ed esperta di gestione dei sistemi sanitari, fu anche assessora in Sardegna, sulla reale esigibilità dell’art.32 della Costituzione da parte di tutti i cittadini e le cittadine. La nostra Carta su questo è molto chiara: è in capo allo Stato la tutela della salute di ciascuno dei 60 milioni di cittadini. In capo alle regioni è l’organizzazione dei sistemi sanitari, l’organizzazione delle modalità con cui si erogano le prestazioni. Le regioni non possono decidere se erogare o meno le prestazioni o se i piani di prevenzione vadano attuati o meno. La prevenzione deve essere garantita a tutti, le prestazioni vanno garantite a tutti, l’accesso alle cure vanno garantiti a tutti. Mai come oggi, è proprio la pandemia ad imporlo, è necessario rimettere al centro il ruolo dello Stato nella garanzia della salute. Faccio un unico esempio che rende esplicito il grado di “impazzimento”. Lo Stato deve decidere se e a chi rendere eventualmente obbligatorio il vaccino, non lo ha ancora fatto. Ed allora, è notizia di ieri, una regione, la Puglia, ha emanato una norma che rende obbligatorio il vaccino per i lavoratori in sanità. Queste questioni sono indisponibili alle Regioni.

Confindustria ha dichiarato la disponibilità alla vaccinazione nelle fabbriche di dipendenti e familiari. Una buona idea?

Non abbiamo un veto o una preclusione a che lavoratori e lavoratrici vengano vaccinati nelle fabbriche. A condizione che quei luoghi vengano messi a disposizione del sistema sanitario pubblico che sovrintenda all’operazione, fornisca i vaccini e il personale per la somministrazione. I locali dove questa dovesse avvenire siano idonei e sicuri sia per chi riceve il siero sia per chi lo somministra. Insomma, la vaccinazione della popolazione, lavoratori e lavoratrici compresi, è una grande operazione di sanità pubblica e non può che essere così. Ogni luogo e ogni struttura ritenuta idonea ad ospitare questa operazione è ovviamente da utilizzare, garantendo sicurezza per tutti e tutte

fonte: COLLETTIVA

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