Anziani, una generazione umiliata. di Chiara Saraceno

È inaccettabile che ogni regione vada per conto suo nel procedere con le vaccinazioni, senza neppure seguire criteri comuni. L’autonomia regionale nella sanità dovrebbe essere utilizzata per rendere maggiormente efficace il diritto alla salute e alle cure, tagliando su misura i servizi sanitari alle specificità demografiche, sociali e ambientali del contesto regionale. Invece sembra essere utilizzata solo per rispondere a interessi che poco o nulla hanno a che fare con questo obiettivo.

Si è creata una difformità negli standard e nella stessa disponibilità di servizi sanitari da una regione all’altra che lede i diritti costituzionali sia all’uguaglianza sia alla salute. Se questo è intollerabile sempre, lo è tanto più ora, quando la pandemia mette a rischio molte vite umane e l’esigenza di farvi fronte ne mette a rischio altre per mancanza o ritardo nelle cure da parte di strutture concentrate sui pazienti Covid.

Il caso delle vaccinazioni alla popolazione ultra-ottantenne o in condizioni di grande fragilità è insieme drammatico e emblematico. Per mesi si è detto che tutte le restrizioni alla libertà di lavorare, muoversi, andare a scuola dovevano essere accettate per proteggere questa parte della popolazione, la più a rischio di gravi conseguenze, fino alla morte, in attesa del vaccino. Si è detto, anche criticando, forse giustamente, chi come me anziana proponeva di vaccinare prima insegnanti e giovani, per consentire loro maggiori gradi di libertà, mentre noi vecchietti avremmo potuto pazientare un po’, rinunciando a qualche cosa. Ci si è detto che sbagliavamo, oltre che perché sottovalutavamo il peso dell’isolamento e della solitudine. Ma soprattutto perché noi, se ci ammaliamo, rischiamo non solo di morire (cosa che sembra stia producendo assuefazione nell’opinione pubblica), ma soprattutto di intasare gli ospedali e ad assorbire una gran parte delle risorse sanitarie, lasciando poco spazio per altri malati. Perciò dovevamo essere i primi a venire vaccinati, dopo i medici, gli infermieri, gli operatori delle Rsa, a partire dai più vecchi tra noi.

Ed invece le cose non stanno andando così. Come ha denunciato anche Draghi, ci sono regioni che hanno dato priorità ad altri, per lo più categorie professionali autonominatesi a rischio. Non ai grandi anziani, che quindi continuano a non essere protetti nonostante sia ormai chiaro che se fossero vaccinati presto tutti, diciamo dagli ultracentenari ai sessantacinquenni, la pandemia non sarebbe più un incubo per tutti. Intanto nelle Rsa, vuoi perché non hanno completato le vaccinazioni, vuoi per eccesso di protezione dopo la drammatica trascuratezza dello scorso anno che ha visto molte di loro diventare anticamere della morte, gli ospiti sono ormai costretti ad una deprivazione relazionale e affettiva che ne peggiora fortemente la qualità della vita, di fatto accorciandola. Per altro, anche nelle regioni, come il Piemonte, in cui è stato rispettato il criterio della priorità ai grandi anziani, succede che si vaccini prima chi, come me, è appena alla soglia degli ottant’anni e sta bene, mentre ultra-novantenni e centenari hanno dovuto aspettare, non si capisce in base a quale criterio. Non è un caso eccezionale. È successo anche in altre regioni.

È così difficile basarsi fare una graduatoria a partire dall’età, combinandola con indicatori di salute? Quando sono andata a fare la seconda vaccinazione ed ho visto persone più vecchie di me e/o chiaramente in condizioni fisiche peggiori mi sono un po’ vergognata, anche se non avevo fatto nulla per saltare la fila. Invece di riempirsi la bocca della necessità di proteggere i vecchi, vuoi perché sono il patrimonio vivente della storia e memoria collettiva, vuoi perché se si ammalano aggravano la situazione per tutti, l’unico modo di proteggerli e rispettarli davvero è vaccinarli presto, con ordine, criteri e tempi chiari. Altrimenti li si prende in giro e si manca loro di rispetto.

Fonte: La Repubblica 25.3.2021

 

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