Il welfare che vogliamo: priorità all’assistenza sociosanitaria territoriale, opportunità e rischi del Recovery Plan. di Nerina Dirindin e Stefano Cecconi

Abbiamo bisogno di un cambiamento «Storicamente le pandemie hanno forzato gli uomini a rompere con il passato e a immaginare un nuovo mondo. Questa volta non è diversa. La pandemia è un portale, un passaggio da un mondo a quello successivo. Possiamo scegliere di attraversarlo, trascinandoci dietro le carcasse del nostro pregiudizio e dell’odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e delle nostre idee morte, dei nostri fiumi morti e dei cieli fumosi. Oppure possiamo camminare leggeri, con poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo. E pronti a combattere per questo». Queste le parole di Arundhati Roy, scrittrice indiana e attivista dei diritti umani, che nell’aprile del 2020 ha pubblicato sul Financial Times, il più autorevole giornale economico-finanziario del Regno Unito, un articolo dal titolo «La pandemia è un portale».

Il pensiero di Roy ci ricorda che «abbiamo bisogno di un cambiamento». Un cambiamento reale, cui siamo tutti chiamati a contribuire, a partire dalla riflessione sulla direzione della strada che vogliamo intraprendere e da come possiamo percorrerla. Un cambiamento che non può limitarsi alle tante affermazioni di circostanza, spesso fatte proprie anche da chi ha sostenuto il tipo di sviluppo economico e sociale che abbiamo conosciuto prima della pandemia, ma che imponga strategie e azioni coerenti con i processi di rinnovamento che vogliamo realizzare.

L’anno 2020 è destinato ad essere ricordato come l’anno del «portale», della svolta. Già oggi ognuno di noi è naturalmente portato a distinguere, fra gli avvenimenti della nostra vita quotidiana, ciò che è successo prima dell’inizio delle restrizioni imposte dal diffondersi del Coronavirus e ciò che è successo dopo. Ma se è così per ognuno di noi, nella nostra piccola esperienza di vita, non è detto che sia così anche per coloro che muovono i fili del futuro del mondo, dai quali dipende – almeno in parte – il rinnovamento che ci aspettiamo. Gli interessi consolidati, la mancanza di pensiero, le avidità degli affaristi, l’indifferenza davanti alle diseguaglianze sono ostacoli che si ergono in modo smisurato davanti al cambiamento che vorremmo: possono ritardarlo o possono addirittura indirizzarlo verso direzioni tutt’altro che desiderabili.

Anche per il nostro Paese la situazione non è diversa. La pandemia ci ha consegnato, insieme a tanta sofferenza e tanti lutti, un’occasione straordinaria per ripensare il futuro, ma senza un vero e proprio «progetto» la pandemia può diventare un’occasione persa. Abbiamo a disposizione una imponente quantità di risorse, abbiamo un Piano strategico in via di definizione (il Piano nazionale di ripresa e resilienza), siamo consapevoli del compito storico cui siamo chiamati (costruire un futuro migliore per le prossime generazioni) ma non è detto che sia chiaro che cosa deve essere cambiato e che cosa deve essere preservato. Né tanto meno come realizzarlo. Anche perché la storia è piena di cambiamenti senza contenuti, di innovazioni destinate a consolidare ciò che andava superato, di novità che soddisfano a parole il bisogno di rinnovamento ma che garantiscano nella sostanza lo status quo. Non sarà facile, e avremo comunque bisogno di molto tempo.

Di fronte all’enorme mole di lavoro che ci aspetta, in questa sede ci limiteremo a discutere un unico argomento: il welfare sociosanitario. … leggi l’articolo completo su RPS

 

Fonte: RPS La Rivista delle Politiche Sociali “Covid19: Riflessioni sull’emergenza, e oltre”

 

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