Covid19, perché l’India brucia. di Gavino Maciocco

L’India aveva superato senza danni eccessivi la prima ondata il cui esaurimento coincideva con l’avvio della vaccinazione anti-covid. Una situazione favorevolissima per sconfiggere la pandemia gettata al vento dalle scelte insensate del governo indiano.

Di questi tempi le notti delle città indiane sono illuminate dai fuochi delle pire funerarie. Non ci sono più posti nei crematori dei cimiteri. Mancano posti letto e respiratori negli ospedali, manca l’ossigeno per chi cerca di curarsi a casa, mancano i vaccini in un paese che fino a poche settimane fa ne era il primo esportatore nel mondo. C’è perfino scarsità del legname necessario per alimentare le sterminate distese di pire funerarie.

Il 4 di maggio erano stati registrati 412 mila casi di Covid-19 e 3.932 decessi. I numeri più alti in una sola giornata in India. Numeri peraltro sottostimati data la disorganizzazione dei servizi deputati al controllo della pandemia. La seconda ondata della pandemia ha colto tutti di sorpresa per la violenta rapidità della sua progressione, come mostra chiaramente la Figura 1.

La prima ondata della pandemia, sviluppatasi nella seconda metà del 2020, aveva avuto un decorso e una diffusione limitati: al suo picco, a metà settembre, si erano raggiunti 93 mila casi e poco più di 1.100 decessi. Poca cosa in un paese con un miliardo e 400 milioni di abitanti, specie se confrontato con quello che succedeva nei paesi occidentali. A metà febbraio 2021 la curva discendente toccava il livello più basso con soli 11 mila casi e 100 decessi in un giorno, provocando un’ondata di euforia e di ottimismo nel governo e in particolare nel suo primo ministro Narendra Modi: il virus sconfitto, la pandemia definitivamente alle spalle, la popolazione cominciava a vaccinarsi (sia pur a ritmi ridotti perché gran parte della sua produzione interna veniva esportata). Per il presidente Modi non c’erano motivi per porre limiti alla vita normale della popolazione indiana, anche se ciò avrebbe comportato la creazione di enormi, rischiosissimi affollamenti. Infatti, dalla fine di febbraio in poi avranno luogo una serie di eventi che innescheranno una drammatica, esplosiva diffusione di contagi:

  • Le elezioni in 5 tra i più popolosi stati dell’India, tra cui Kerala, Tamil Nadu e West Bengala, con la partecipazione di milioni di persone ai comizi (quasi sempre senza alcuna protezione) e alle urne elettorali.
  • Due partite internazionali di cricket che provocheranno il raduno di 130 mila persone.
  • La celebrazione della più importante cerimonia religiosa Hindu, Kumbh Mela, che ha attirato sulle rive del Gange circa un milione di persone.

A tutte queste manifestazioni sarà presente il primo ministro Modi, incurante del pericolo cui erano esposte le folle di partecipanti, e per questo accusato dall’Indian Medical Association di essere un “superdiffusore”. La popolarità di Modi con la seconda ondata ha subito un duro colpo, anche qualche rovescio elettorale,  a cui il primo ministro ha reagito ordinando a Twitter (obbediente) di rimuovere i post critici contro il governo.

Altri fattori hanno reso particolarmente esplosiva e letale la seconda ondata della pandemia indiana.

La debolezza del sistema sanitario indiano e l’inconsistenza del settore pubblico. 

Come si può notare nella Figura 2 la percentuale del PIL che l’India destina alla sanità è minima, poco più del 3%, tra le più basse al mondo. E anche la percentuale della spesa sanitaria pubblica rispetto alla spesa pubblica totale è tra le più basse al mondo: 3,4% (rispetto al 9,2% della Cina, del 13,3% del Sudafrica, del 13,4% dell’Italia, del 18,7% del Regno Unito e del 19,9% della Germania).

Come descritto in altri precedenti post di saluteinternazionale (leggi quiqui e qui), la conseguenza è quella della privatizzazione dilagante dei servizi sanitari e di un servizio sanitario pubblico privo di risorse, malfunzionante e frequentato solo dai più poveri. In India per avere prestazioni di buona qualità bisogna pagare, infatti la spesa out of pocket per le prestazioni sanitarie rappresenta il 62,4% della spesa sanitaria totale, collocando con ciò l’India tra uno dei sistemi sanitari più iniqui al mondo.

Con la seconda ondata della pandemia tutte queste criticità sono state messe a nudo: gli ospedali pubblici – teoricamente gratuiti – stracolmi, ma privi di attrezzature idonee; gli ospedali privati, ben più attrezzati, accessibili solo a pagamento (previo deposito di cifre da 200 mila a 500 mila rupie, ovvero fino a più di 6.000 dollari). Chi rimane fuori dagli ospedali cerca disperatamente le scarse, e per questo costosissime, bombole di ossigeno, o va alla ricerca di farmaci antivirali come il remdesivir, arrivato a costare cinque volte il prezzo di mercato. Come ben documentato dai reportage della BBC (questo è il più recente Coronavirus: How India descended into Covid-19 chaos) gran parte delle persone è costretta a rinunciare e ad aspettare ciò che gli riserverà il destino.

Il ruolo delle varianti del coronavirus

Il BMJ dedica un ampio articolo alla seconda ondata della pandemia indiana[1]. L’autore passa in rassegna tutte le carenze strutturali del sistema sanitario indiano di fronte all’emergenza del COVID-19: i pochi posti letto ospedalieri (0,7 x 1.000 ab), la scarsità di letti di terapia intensiva (90 mila rispetto a un fabbisogno di 500 mila), la carenza di personale qualificato, la penuria di tamponi.

Nella seconda ondata si è registrato un alto tasso di reinfezioni, di circa il 4-5%, attribuibile anche alla circolazione in India delle già note varianti – Inglese (B.1.1.7), Sudafricana (B.1.351), Brasiliana (P.1) – a cui si è aggiunta quella Indiana (B.1.617) di cui sono state identificate due mutazioni (E484K e L452R) che secondo alcuni potrebbe rendere il virus meno sensibile agli anticorpi prodotti dall’infezione o dalla vaccinazione.

I ritardi – e il mercato – nelle vaccinazioni

In India sono stati autorizzati due tipi di vaccini, il più importante e diffuso dei quali è il Covishield, prodotto con licenza Astrazeneca da Serum Institute of India, la più grande azienda produttrice di vaccini al mondo. A gennaio il governo dette inizio alla vaccinazione della popolazione di età superiore ai 45 anni (440 milioni di abitanti) con l’obiettivo di vaccinarne 250 mln entro luglio. Obiettivo impossibile da raggiungere dato che al 30 aprile avevano ricevuto la vaccinazione completa solo 26 mln di persone, mentre 124 mln avevano ricevuto la prima dose (il 9% della popolazione). L’esplosione della seconda ondata della pandemia ha influito sull’efficienza della campagna vaccinale che ha infatti subito ad aprile un crollo delle vaccinazioni quotidiane.

Ma il panico prodotto dalla seconda ondata ha creato una forte domanda di vaccinarsi anche nella fascia più giovane, quella 44-18 anni (622 mln di abitanti). Così è stato aperto un portale per la prenotazione dei vaccini per questo gruppo. Portale andato subito in crisi per eccesso di domande. A fronte di un immediato fabbisogno interno di oltre un miliardo di dosi il governo indiano è stato costretto a bloccare le esportazioni verso paesi terzi (su cui Modi basava gran parte della sua politica di potenza globale) e a chiedere aiuto al resto del mondo.

In India la responsabilità della vaccinazione della fascia over 45 anni è del governo centrale, mentre quella della fascia 44-18 anni è dei singoli stati che si sono messi in competizione tra loro per accaparrarsi le dosi (provocando un aumento del prezzo). Il mercato dei vaccini per la fascia 44-18 anni è aperto anche agli ospedali privati, che lo somministreranno ai clienti paganti.

Le lezioni dal caso India

  1. L’India aveva superato senza danni eccessivi la prima ondata il cui esaurimento coincideva con l’avvio della vaccinazione anti-covid. Una situazione favorevolissima per sconfiggere la pandemia gettata al vento dalle scelte insensate del governo indiano che hanno viceversa favorito l’esplosiva diffusione dei contagi, provocando migliaia e migliaia di morti e gettando l’immenso paese nel caos.
  2. Le situazioni epidemiche fuori controllo (lo è stato in Inghilterra e in Brasile, ora in India) favoriscono lo sviluppo delle varianti che rischiano di indebolire o addirittura neutralizzare l’efficacia dei vaccini. Non è forse un caso che la decisione di Biden di proporre la sospensione dei brevetti dei vaccini coincida col caos indiano e del rischio che questo si diffonda a macchia d’olio nel resto dell’Asia del sud. Tra l’altro la decisione di Modi di bloccare l’esportazione del vaccino Astrazeneca made in India danneggia il programma Covax-Oms che consentiva di fornire una quota di vaccini (sia pure ridotta) ai paesi più poveri e che si sarebbe alimentato con vaccini prodotti in India. Biden è arrivato alla conclusione che nessuno si salva da solo e solo attraverso un’efficace cooperazione internazionale che consenta di fornire a tutti il vaccino si può sconfiggere la pandemia.

Bibliografia

  1. Thiagarajan K. Why is India having a covid-19 surge? BMJ 2021;373:n1124 http://dx.doi.org/10.1136/bmj.n1124

fonte: saluteinternazionale.info

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