La tragedia di Ardea non è conseguenza della legge Basaglia. di Rosy Bindi

Rosy Bindi

La tragedia di Ardea non è conseguenza della legge che ha permesso la chiusura dei manicomi. L’alternativa alla costrizione è la cura, il ragazzo che ha sparato invece è stato abbandonato

La tragedia di Ardea avrà sicuramente molte spiegazioni, non è possibile affrontare la questione in modo semplicistico. Tuttavia il dibattito si è subito concentrato sulla legge Basaglia e sul modo in cui viene oggi trattata la malattia mentale. Su questo è bene essere chiari: la tragedia di Ardea non è responsabilità della legge voluta dallo psichiatra Franco Basaglia, ma di chi quella legge non l’ha applicata o, se l’ha applicata, l’ha fatto per un breve periodo.

La legge 180 del 1978, nota come legge Basaglia, non prevedeva di “lasciare liberi i matti”. Ha consentito la chiusura dei manicomi e l’abbattimento di qualunque “muro”, segregazione e istituzionalizzazione della salute mentale, ma non prevedeva affatto l’abbandono della persona con problemi di salute mentale. Piuttosto ne prevedeva l’accompagnamento, la presa in carico, e, da quel punto di vista, la legge è un prototipo di Servizio sanitario nazionale. Dico di più, è il prototipo addirittura della società, di quella società che dovrebbe prendere in carico ogni forma di fragilità disabilità.

Ciò che non funziona oggi è che dopo un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso), le persone con problemi psichiatrici vengono restituite alla famiglia, senza che venga valutato se questa ha realmente la capacità e possibilità di accompagnare adeguatamente il malato. L’alternativa alla costrizione non è l’abbandono, ma l’accompagnamento attraverso un processo di autonomia, verso un uso responsabile della libertà. Ognuno è un caso a sé ed è per questo che oggi si parla di Bilancio della salute individuale, che per essere riscattata – sia che si tratti di salute mentale, tossicodipendenza, marginalità, disabilità – necessita però di un contesto abitativo, familiare, comunitario, lavorativo e di un accompagnamento che aumenta in base al grado di autonomia reale del paziente psichiatrico.

Purtroppo in questi ultimi anni abbiamo trasformato il servizio sanitario in una sequela di prestazioni. I matti, i tossicodipendenti, i disabili e gli anziani non possono essere curati così. La tragedia del Covid che si è consumata nelle Rsa insegna che neanche la vecchiaia può essere istituzionalizzata e che il domicilio e le piccole comunità sono lo strumento migliore per aiutare le persone. Se vogliamo che non si ripeta la tragedia di Ardea, che poi purtroppo è simile a tante altre, dobbiamo cambiare modello di società in quello suggerito nella “Fratelli tutti” di Papa Francesco, in cui si chiede di mettere al centro della nostra società i fragili: se sapremo prenderci cura del non autosufficiente, saremo in grado di prenderci cura di tutti.

Solo se sapremo prenderci cura del non autosufficiente saremo in grado di prenderci cura di tutti

Certamente servono dei fondi. Il Pnrr ha previsto uno stanziamento di 20 miliardi per la sanità, consistente ma non sufficiente. Il Recovery plan contiene una buona notizia, perché sono previste case della salute di comunità. Anche il linguaggio sta cambiando: non si dovranno solo comprare macchinari, ma investire anche in formazione del personale. Solo così si possono abbattere veramente i muri e non crearne di nuovi. Ciò che è successo con i “matti” accade con ogni presunto “diverso”: tossicodipendenti, malati di Aids, anziani, immigrati. Il muro è una scorciatoia, ma ogni muro abbattuto dovrebbe essere la condizione per non crearne altri e affrontare le diversità con cura. Né contenzione né abbandono alla irresponsabilità. Il ragazzo che ha sparato è stato abbandonato. Non è questa la legge Basaglia, non sono queste le nuove conquiste che si sono fatte negli anni per trasformare la psichiatria in salute mentale.

Vedi anche:

Coronavirus, la strage nelle comunità psichiatriche

Bindi: “Chi ha paura di rilanciare il Servizio sanitario nazionale?”

I cattivi effetti collaterali del covid sulla mente

Pandemia, l’emergenza nella testa

Nerina Dirindin: intervista

Fonte: lavialibera

Print Friendly, PDF & Email