PREVALENZA DI FUMATORI TRA MEDICI E OPERATORI SANITARI IN ITALIA: lo studio del sistema di sorveglianza P.A.S.S.I.

Negli ultimi due decenni in Italia, la prevalenza di fumatori tra i medici è diminuita in modo consistente mentre resta più alta e appena in lenta riduzione tra gli operatori sanitari non medici. Questo è confermato da uno studio condotto sui dati 2014-2018 del sistema di sorveglianza PASSI i cui risultati sono stati pubblicati a giugno 2021 sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nell’articolo “Smoking prevalence among healthcare workers in Italy, PASSI surveillance system data, 2014-2018”.

Figura 1: Trend della prevalenza di fumatori tra operatori sanità e di altri settori

Prevalenza del periodo 2014-2018 e fattori protettivi

Dall’analisi del campione preso in esame, ampio e rappresentativo a livello nazionale, si nota che all’interno del gruppo dei medici la prevalenza del fumo è del 16,0% e varia in base alle caratteristiche demografiche: le donne fumano meno degli uomini, i medici ultra 50enni fumano meno dei più giovani, i medici del Nord fumano meno di quelli del Sud Italia.

Invece, tra gli operatori sanitari non medici, la prevalenza è 25,3% e non varia con l’età e il genere, ma dipende dalle variabili socio economiche: una migliore condizione economica e un miglior livello di istruzione sono fattori protettivi.

Bisogna evidenziare che, in questo studio, gli operatori sanitari non medici sono un gruppo non omogeneo dal punto di vista socio economico, perché include infermieri, operatori socio sanitari e anche i tecnici tra i quali chimici, biologi e fisici. Certamente la quota più importante è quella degli infermieri ed è rilevante che in questo sottogruppo le donne fumano quanto gli uomini.

La situazione negli altri Paesi ad alto reddito

Coerentemente con le stime della sorveglianza PASSI, negli ultimi anni nei Paesi ad alto reddito, la prevalenza del fumo tra gli operatori sanitari è in costante calo, con un dato aggregato, frutto della meta-analisi di studi effettuati nel periodo 2011-2015, pari al 19% (CI 95% 15-22%), che è di poco inferiore alla percentuale dello studio (23%; CI 95%: 22%-29%) in esame. Nei Paesi guida per la prevenzione del tabagismo, come il Regno Unito, l’Australia. La Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, la prevalenza è nettamente inferiore.

Confronto con gli altri studi italiani

La maggior parte degli studi italiani effettuati dal 2000 in poi, erano stati fatti in singoli ospedali e scontavano un basso tasso di risposta (inferiore al 60%). Considerando solo gli studi basati su campioni abbastanza rappresentativi, si vede che il calo della prevalenza del fumo tra i medici era iniziato molto tempo prima, visto che nel 2000 la prevalenza di fumo tra i medici di base era del 28%. Questa tendenza al ribasso è circa due volte superiore a quella osservata in Italia tra la popolazione generale nello stesso periodo.

Figura 2: Trend della prevalenza di fumatori tra i medici italiani, dal 2000 al 2018, sulla base delle stime ottenute da studi rappresentativi

Perché è stato fatto questo studio

Nella prevenzione del tabagismo, i medici e gli altri operatori sanitari svolgono un ruolo chiave sia nella diffusione del fumo che nel contrasto, per diverse ragioni. Innanzitutto essi, in relazione alle loro abitudini al fumo, rappresentano un modello, un esempio per i loro pazienti e per i cittadini. Inoltre, nel supportare i fumatori che vogliono smettere, gli operatori sanitari dovrebbero indicare e offrire i trattamenti efficaci. Ma è stato osservato che, rispetto ai loro colleghi non fumatori, i medici e gli infermieri che fumano sono più restii nell’affrontare il problema del fumo dei loro pazienti e nel raccomandare i metodi per smettere.

Ancora, gli operatori sanitari possono costituire un potente gruppo di supporto alle politiche di controllo del tabacco, un ruolo ben noto alle aziende del tabacco che, all’interno delle loro strategie di marketing, curano in modo privilegiato il rapporto con i medici.

Infine, è stato osservato che, nella fase ascendente dell’epidemia di tabagismo, fumare è più frequente tra i medici che negli altri gruppi della società, presumibilmente per la maggiore disponibilità economica. Successivamente, i medici, forse per il migliore accesso all’informazione, sono anche il primo gruppo sociale che rifiuta il fumo, la prevalenza si discosta anche di molto da quella del resto della popolazione, anticipando i comportamenti di cessazione e di astinenza dal tabacco che vanno diffondendosi nella società.

Che cosa di nuovo aggiunge questo studio?

Fino ad ora, in base agli studi effettuati nei primi anni 2000 e a quelli più recenti effettuati in singoli ospedali, si riteneva che la prevalenza di fumo tra gli operatori sanitari italiani fosse molto elevata.

Oggi sappiamo che la prevalenza di fumo tra i medici (16% nel periodo 2014-2018) è inferiore a quella dei lavoratori di altri settori (28,6%). Si suppone che la riduzione sia avvenuta per il migliore accesso dei medici all‘informazione sui danni per la salute attribuibili al fumo. Tra gli operatori sanitari non medici invece la prevalenza è tuttora troppo elevata e, in particolare, quelli con basso livello di istruzione hanno tassi che possono superare il 30%.

Indicazioni per la pratica della sanità pubblica derivate da questo studio

Questi risultati indicano che è urgente migliorare la competenza del personale sanitario sui danni del fumo di tabacco, i meccanismi della dipendenza, il ruolo dell’industria del tabacco, le politiche di controllo e sui metodi per smettere di fumare.

Attualmente questa tematica è praticamente assente nei percorsi di studio dei professionisti della salute. Pianificatori, agenzie formative e ordini professionali dovrebbero arricchire i curricula formativi sia a livello universitario che post-laurea.

Risorse utili

fonte: EpiCentro ISS

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