Se la nuova scuola resta impreparata. di Chiara Saraceno

La scuola è davvero preparata a riaccogliere docenti, studenti, personale tecnico, ad affrontare per il terzo anno le esigenze, e le incognite, di una pandemia ancora non vinta e le aspettative e i bisogni di studenti che vengono da due anni in cui hanno fatto scuola spesso in modo irregolare e discontinuo, comunque in molti casi per lo più a distanza?

È lecito avere qualche dubbio. Tutta l’attenzione si è concentrata sulle, importantissime, vaccinazioni, lasciando ai margini tutto il resto. Non risulta che si siano attrezzate aule a sufficienza, e aumentato proporzionalmente l’organico per tutto l’anno scolastico, per ridurre il numero di allievi per classe e garantire il distanziamento necessario, né che si sia provveduto a introdurre in modo sistematico sistemi di areazione meno primitivi della finestra aperta. Anzi, il comitato tecnico-scientifico, dando per scontato che le cose stiano così, ha ridotto la distanza minima necessaria contando su mascherine e ricambio frequente d’aria. Quanto ai trasporti, l’introduzione di un controllore di mascherine e numero massimo di passeggeri, può servire a chi riesce a salire su un autobus, tram o treno, ma non a chi rimane a terra perché non ci sono abbastanza mezzi. Si ha la sensazione che sul piano logistico l’attenzione fosse maggiore, anche se non sufficiente, lo scorso anno.

Ma il silenzio e la disattenzione non riguardano solo le questioni logistiche. Riguardano anche il tipo di scuola, i modelli di didattica e apprendimento con cui ci si avvia al nuovo anno scolastico. Qui sembra che nulla sia avvenuto, che questi due anni siano semplicemente da lasciare alle spalle, ricominciando da dove, un anno e mezzo fa, la pandemia ha imposto una frattura. Come se gli studenti che in questi giorni entrano nelle aule non avessero nel loro bagaglio di esperienza quanto è avvenuto, a scuola ma non solo. E come se, quanto di positivo e negativo sul modo di fare didattica e favorire gli apprendimenti non fosse rilevante ai fini del modo di fare scuola “normale”. Gli studenti e le studentesse che in questi giorni iniziano il primo anno della scuola secondaria di secondo grado, ad esempio, vengono da due anni in cui sono stati pochissimo in aula. Quindi non hanno maturato, non solo i ritmi della scuola in presenza, ma anche le modalità di interazione tra pari e con gli/le insegnanti propri delle relazioni faccia a faccia in contesti formali e di negoziazione dei confini e distinzioni tra scuola e casa. Comunque tutti/e, specie nella scuola secondaria di primo e secondo grado, hanno sperimentato modalità di studio e apprendimento in parte differenti. E molti hanno accumulato deficit di apprendimento e prima ancora di capacità e motivazione ad apprendere in una misura tale da far parlare di “dispersione implicita”, che si aggiunge a quella, già elevatissima in Italia, esplicita.

Si tratta, infatti, di studenti e studentesse che non hanno formalmente abbandonato la scuola, ma in qualche modo si sono “scollegati”, perché i loro apprendimenti non consentono loro di stare al passo, innescando un circolo vizioso di perdita di motivazione e interesse. Le attività di recupero svolte all’inizio dell’estate o nelle settimane precedenti l’inizio della scuola non sono certo sufficienti a rivitalizzare, o suscitare, motivazioni e curiosità.

Nei mesi scorsi si era fatto un gran parlare – anche da parte di associazioni di vario tipo che lavorano sul territorio, incluse quelle raccolte nella sovra-rete EducAzioni – della necessità di usare la terribile esperienza della pandemia per ripensare il sistema scuola – dall’edilizia, al rapporto con il territorio, alle modalità didattiche – per renderlo più adeguato alla sua missione di sviluppo delle capacità dei più giovani e di contrasto alle disuguaglianze nelle opportunità di crescita. Sono sicura che chi fa parte di queste associazioni e molti insegnanti sono impegnati, là dove operano, perché questa possibilità non si chiuda. Ma è disperante che tutto il dibattito sulla scuola negli ultimi mesi si sia ridotto al dibattito sulla obbligatorietà o meno dei vaccini per il personale scolastico.

fonte: La Stampa 8.9.2021

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