L’autonomia differenziata in sanità. di Marco Geddes da Filicaia

La regionalizzazione differenziata prefigura tasse regionali e il trattenimento dei tributi su base territoriale, rompendo ogni idea di equa distribuzione delle risorse. Applicata alla sanità tale misura porterebbe allirreversibile frammentazione del Servizio sanitario nazionale.  L’assordante silenzio del Ministro della salute.

Gli “argomenti istituzionali” sembra abbiano, nella realtà italiana, la caratteristica di essere adottati, come si dice in termini calcistici, in “zona Cesarini”. Già le modifiche al Titolo V della Costituzione furono approvate a stretta maggioranza dal Governo Amato (nella convinzione – errata – di recuperare i voti nel Nord del paese) alla fine della XIII legislatura e confermate da un Referendum in cui votarono il 34% della popolazione; il pre-accordo con le tre Regioni che hanno chiesto l’Autonomia (Veneto, Lombardia, Emilia – Romagna) è stato sottoscritto dall’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni il 28 febbraio 2018, quattro giorni prima delle elezioni quando il Governo era in carica per gli affari correnti! Altre Regioni: Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria hanno a suo tempo dato mandato di avviare i negoziati per definire con lo Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La marcia verso l’Autonomia è ripresa, con la introduzione nella Nota di aggiornamento dal documento di economia e finanza (Nadef 2021), che indica, al primo punto, il DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Cost.”[1]

Abbiamo seguito, con ragionevole – o illusoria – certezza, che dopo la pandemia, l’Autonomia differenziata in Sanità fosse stata definitivamente accantonata. Personalmente speravo – e spero – che anche per la Scuola non siano accolte le proposte di Autonomia differenziata, condividendo in pieno l’opinione di Asor Rosa: “chi voglia oggi attentare all’unità dello Stato italiano non può fare a meno di colpire l’unità della scuola”[2]. L’Onorevole Mariastella Gelmini, ministra agli Affari Regionali e Autonomie, ha annunciato che il Disegno di legge quadro per l’Autonomia sarebbe in dirittura d’arrivo e sono trapelati alcuni elementi che hanno destato rilevanti preoccupazioni.

Le valutazioni critiche riguardano molti aspetti.

In particolare il DDL consente la regionalizzazione differenziata di tutte le 23 materie; prevede un avvio della regionalizzazione con un finanziamento dei servizi trasferiti calcolato sulla “spesa storica”, sottraendo così risorse ai territori del Sud e avviando quella che è stata definita “la secessione dei ricchi”; a regime prefigura tasse regionali e il trattenimento dei tributi su base territoriale, rompendo ogni idea di perequazione. Dopo l’approvazione del DDL verrebbe avviata immediatamente l’autonomia per le tre Regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) che hanno siglato il pre-accordo. Infine il Parlamento viene di fatto esautorato non potendo modificare i testi di accordo, ma dovendo limitarsi alla approvazione o al rigetto, con procedura analoga a quella seguita per gli accordi fra Stato e Confessioni religiose. Inoltre una modifica degli accordi potrà avvenire solo attraverso il reciproco consenso delle parti, cioè della Regione interessata, e nessun referendum potrà intervenire nel merito degli accordi. Non siamo ovviamente certi che sia esattamente tale il progetto Gelmini, ma quello che colpisce è l’assenza di qualsiasi trasparenza e, salvo rare eccezioni, di pubblico dibattito. La grande stampa e i mezzi di informazione non sembra siano particolarmente interessati a questo sconvolgimento costituzionale.

Venendo all’ipotesi di Autonomia in ambito sanitario l’esame delle richieste del Veneto è particolarmente esemplificativo e i temi – o gli ambiti e i poteri – che sono stati oggetto di pre-accordo possono essere suddivisi in due categorie.

Un primo gruppo di questioni risultano “eversive” rispetto al Servizio sanitario nazionale. Ad esempio una maggiore autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi darebbe l’avvio a un sistema assicurativo – mutualistico al di fuori di qualsiasi, anche labile (come attualmente), normativa nazionale.  La richiesta di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, a cui si aggiunge una autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero professionale mette in atto una concorrenza fra Regioni e provocherà un ulteriore trasferimento di personale nelle Regioni più ricche, determinando un aumento della mobilità interregionale, in particolare dal Sud al Nord e un incremento delle diseguaglianze; già attualmente le differenze regionali, specie per il personale infermieristico, sono rilevantissime (in Calabria il rapporti infermieri/medici è 1.86; in Veneto è 3.15!) e vanno ridotte, non certo aumentate. Inoltre reintrodurrebbe le “gabbie salariali” e metterebbe fine alla contrattazione collettiva a livello centrale e all’esistenza, su base nazionale, degli stessi sindacati del personale della sanità[3].

Il secondo gruppo di richieste contiene invece problematiche che sono comuni a tutte le Regioni. La rimozione dei vincoli di spesa specifici, che ha trasformato le risorse per la sanità in una serie di silos fra loro non comunicanti, è problema generale da lungo tempo e più volte evidenziato, anche dallo stesso Ministro. Una Regione non può assumere personale, anche se è in pareggio di bilancio, ma può invece aggirare la norma con una specie di “falso in bilancio” acquisendolo con cooperative o esternalizzazioni, iscrivendo la spesa sotto la voce Beni e servizi. Varie altre questioni  sono condivise da tutte le Regioni fra cui, solo per citare alcuni esempi,  la stipula di contratti a tempo determinato di “specializzazione lavoro” per i medici, alternativi al percorso delle scuole di specializzazione; la programmazione delle borse di studio per i medici specializzandi e la loro integrazione operativa con il sistema aziendale; l’adozione di decisioni basate sull’equivalenza terapeutica, tra medicinali contenenti differenti principi attivi alle quali AIFA dovrà rispondere entro 180 giorni nel merito adottando un parere obbligatorio e vincolante sull’intero territorio nazionale.  Ciò che risulta pertanto assolutamente incomprensibile è per quale motivo ad una Regione verrebbero concessi tali poteri autonomi e ad un’altra invece no, nell’ambito di un Servizio sanitario nazionale volto ad assicurare il diritto alla salute per tutte le persone. In altri termini se a bisogni differenti non si deve rispondere con uguali criteri, a problematiche identiche è indispensabile offrire soluzioni unificate a livello nazionale[4]. L’autonomia differenziata in sanità, dando luogo ad una molteplicità di sistemi organizzativi, rischia di eliminare ogni coerenza fra alcuni sistemi “regionalizzati” (come già ha in larga parte attuato la Regione Lombardia) e i principi fondativi del Servizio sanitario nazionale, che inverano l’articolo 32 della Costituzione;  avvia, in assenza di un “principio di supremazia” presente nella costituzione degli Stati federali, una irreversibile frammentazione del servizio sanitario, anche di fronte a grandi emergenze di carattere nazionale.

Su tale questione risultano afone le principali forze politiche. Una presa di posizione è stata espressa  recentemente da Pierluigi Bersani e Vasco Errani [5] , ma riportata solo su La Repubblica nella terza pagina della cronaca di Bologna!

E desta stupore che, di fronte a una normativa che effettua una carsica privatizzazione della sanità e sottrae al Servizio sanitario la connotazione di bene pubblico nazionale (quello che durante la pandemia era generalmente definito come: “il bene comune più prezioso” che ci ha permesso di uscire dall’emergenza), il  Ministro responsabile del Dicastero della Salute non esprima, anche di fronte ai professionisti, ai sindacati, all’opinione pubblica, la propria valutazione!

 

[1] Autonomia Regionale Differenziata. Cronologia e materiali.

[2] ASOR ROSA, Autonomia, l’unità della scuola, in: La Repubblica, 27 febbraio 2019.

[3] “No all’autonomia differenziata che di fatto uccide il Ssn”. L’Anaao si appella al Governo,  Quotidiano sanità, 22 febbraio 2022.

[4] Associazione Salute Diritto Fondamentale. I problemi reali e comuni si risolvono con l’Autonomia differenziata?
https://m.youtube.com/watch?v=lFtFiOatX-c

[5] https://www.youtube.com/watch?v=PC-fmQSumsE

fonte: saluteinternazionale.info

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