L’inganno del cosiddetto “tasso di positività”. di Cesare Cislaghi, Maria Teresa Giraudo, Manuele Falcone

Ogni giorno su molte testate giornalistiche viene proposto il valore di un indicatore che viene chiamato “tasso di positività” e che è calcolato come percentuale dei test con tampone che hanno dato esito positivo.

Un’obiezione potrebbe subito essere fatta all’uso improprio del termine tasso. In termini tecnici, si definisce tasso il rapporto avente come numeratore il numero di eventi registrati in una popolazione statistica e come denominatore il numero totale di elementi. Per esempio, il tasso di mortalità – ovvero i decessi rispetto alla popolazione umana – o il tasso di interesse – ovvero i valori maturati nel tempo rispetto a un capitale. Ma nell’uso comune viene usato il temine tasso anche nel significato di rapporto tra due valori e spesso coincidente con il termine percentuale.

Ma l’inganno non è terminologico, bensì sta nel significato che gli viene attribuito, cioè quasi fosse un indicatore dell’intensità della circolazione del virus nella popolazione, cioè dell’incidenza.

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Nei due grafici precedenti si vede l’andamento della proporzione di contagi e di tamponi rispetto al valore medio dal 1° gennaio al 29 luglio, che è stato di 69.294 contagi al girono e 454.981 tamponi.

Entrambi gli andamenti mostrano un evidente ciclo settimanale e dei massimi a inizio anno, a metà marzo e a metà luglio.

Calcolando la loro media settimanale e ponendo i loro andamenti nello stesso grafico, si osserva che, sino a marzo, il rapporto tra i tamponi e la loro media era più alto di quello tra i contagi e la loro media, mentre da metà giugno in poi è stato il contrario. Infatti, la percentuale di tamponi con esito positivo, cioè il cosiddetto tasso di positività, varia molto nel tempo da un minimo dell’8,0% il 4 aprile a un massimo del 28,5% il 5 luglio.

Il grafico seguente riporta l’andamento della percentuale di tamponi con esito positivo; la media dell’intero periodo è stata del 15,2%.

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CORRELAZIONE CONTAGI TAMPONI POSITIVITÀ
Contagi 1,000 0,915 0,271
Tamponi 0,915 1,000 -0,098
Positività 0,271 -0,098 1,000

La correlazione tra contagi e tamponi è molto elevata e questo fa ipotizzare che l’attività diagnostica si intensifichi quando la circolazione del virus è più elevata piuttosto che si diagnosticano più casi quando si fanno più tamponi. Infatti, la correlazione tra contagi e positività è molto bassa e addirittura nulla tra positività e tamponi. È allora probabile che la positività dipenda da altri fattori come fa ipotizzare la diversità del rapporto contagi-positività nei diversi mesi.

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È probabile che nel mese di gennaio vi fosse una bassa positività nonostante un elevato numero di contagi, dato che vi era la necessità di certificare la propria negatività per poter accedere a diversi servizi. Nei mesi da febbraio a maggio il rapporto è stato abbastanza simile, mentre da giugno – e ancor più a luglio – è probabile che molti tamponi non siano stati certificati, perché fatti in autonomia con i cosiddetti “tamponi fai da te”.

È evidente, quindi, che la positività del 12,5% del 1° gennaio che riguarda 141.358 contagi non può considerarsi alla stessa stregua di quella dell’11 marzo con 53.127 contagi.

DATA CONTAGI TAMPONI POSITIVITÀ
1° gennaio 141.358 1.130.936 12,5%
11 marzo 53.127 425.638 12,5%
12 luglio 142.967 550.706 26,0%

Alla stessa stregua, a un numero di contagi del 12 luglio simile a quello del 1° gennaio corrisponde invece una positività più che doppia.

Per interpretare bene il significato della percentuale di positività è utile anche considerare i diversi test utilizzati, cioè il test molecolare e il test antigenico, che hanno un andamento molto differente e differente sono anche le loro percentuali di esiti positivi.

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I test molecolari sono ora perlopiù effettuati per confermare un test positivo antigenico ovvero sono utilizzati molto in ambito ospedaliero e ultimamente sono una percentuale bassa del totale dei test effettuati; la loro positività tende a diminuire, probabilmente perché segue realmente l’andamento dell’incidenza.

I test antigenici, invece, sono molti di più, anche perché, essendo più rapidi e meno costosi, sono quelli che vengono utilizzati di più soprattutto allo scopo di certificare la negatività in soggetti senza sospetto di contagio. La crescita della positività può probabilmente dipendere dal fatto che molti soggetti utilizzano inizialmente un test auto somministrato e poi ricorrono al test di laboratorio solo se il primo è risultato positivo.

Un altro aspetto da considerare è l’utilizzo di più test da parte dello stesso soggetto per una verifica della propria negatività sia in assenza di contagio sia durante il decorso del contagio stesso.

La Protezione Civile rilascia al riguardo due informazioni: il numero di tamponi erogati e il numero di casi testati. Comunque è interessante notare come vi sia una chiara differenza tra le due frequenze e anche come non sia di facile interpretazione il confronto tra casi testati e casi positivi, interpretazione che lasciamo a chi legge non sapendone dare spiegazione.

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Concludendo, riteniamo che sia sconveniente presentare un “tasso di positività” che facilmente può essere interpretato come indicatore di incidenza, cioè di intensità di circolazione del virus nella popolazione, dato che questo indicatore è troppo influenzato dai comportamenti diagnostici, Può, invece, risultare utile come indicazione della probabile sottostima dei contagi nel mese di luglio, in quanto una così alta positività può verificarsi solo se molti dei casi di paucisintomatici o anche di asintomatici hanno preferito farsi un tampone da sé o chiedere che il proprio tampone non fosse registrato.

Ci sia permesso di esprimere anche una preoccupazione, che è quella dell’incertezza che l’interpretazione di alcuni dati lasciano probabilmente a causa di un non completo rispetto delle regole che stanno alla base della produzione delle diverse informazioni. Ma di questo si dovrà parlare ancora in modo più ragionato e approfondito.

Gli Autori sono della Redazione di MADE

FONTE: E&P

 

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