Vincere la povertà, per davvero. di Linda Laura Sabbadini

Tutti, in questa campagna elettorale, dovranno fare i conti con le diseguaglianze. Diminuirle rappresenta una sfida complessa ma indifferibile. C’è un punto con cui tutti gli schieramenti in questa campagna elettorale dovranno fare i conti. Quello delle diseguaglianze. Diminuirle rappresenta una sfida complessa ma indifferibile nel nostro Paese. Per tre motivi fondamentali. Primo: per un problema di equità. Perché le diseguaglianze economiche e sociali sono elevate in tutte le loro forme. Secondo: perché possono minacciare la crescita. Terzo: perché quando le diseguaglianze aumentano, la coesione sociale è in pericolo. L’associazionismo, il volontariato, il terzo settore lo sanno bene e andrebbero ascoltati.

Diseguaglianza non è solo povertà. Ma è anche povertà. Raddoppiata nel 2012, non è mai tornata al livello precedente. Anzi, si è incrementata di un milione di persone in povertà assoluta nel 2021. E rispetto al 2012 la povertà è più che triplicata per minori e giovani. Se non ci fosse stato il reddito di cittadinanza o di emergenza avremmo avuto un milione di poveri assoluti in più.

Diseguaglianza è anche lavoro povero. Più di 4 milioni di persone non arrivano a guadagnare 12 mila euro lordi all’anno. E qui il problema non riguarda solo la bassa retribuzione oraria, ma lo scarso numero di ore lavorate nell’anno che impedisce di arrivare a un reddito decente sia a lavoratori indipendenti che dipendenti. Bisogna tener conto di ambedue questi aspetti se si vuole ridurre il lavoro povero.

Diseguaglianza è anche basso tasso di occupazione femminile. Perché la metà delle donne non può avere autonomia economica nel nostro Paese, con tutto quello che ne consegue in termini di libertà femminile e di violenza in famiglia. E anche di maggior rischio per le famiglie di cadere in povertà. Le famiglie monoreddito sono più frequentemente povere, specie se con figli.

Diseguaglianza è anche basso tasso di occupazione giovanile: 4 punti sotto il tasso del 2007 per i giovani da 25 a 34 anni significa che i giovani di oggi, oltre ad essere più precari e sfruttati sul lavoro di quelli del 2007, trovano anche meno lavoro. Diseguaglianza è anche disagio minorile. Perché è più basso il livello di competenze per i bimbi delle famiglie più disagiate, e minore l’accesso ad asili nidi con compromissione della riuscita nei percorsi scolastici e aumento della probabilità di permanere in stato di povertà da adulti. Diseguaglianza è anche distanza Nord-Sud. Perché al Sud tutte le forme di diseguaglianza sono maggiori.

Si deve essere creativi e privilegiare quelle misure che siano in grado di innescare circoli virtuosi di riduzione di più tipi di diseguaglianze in un’ottica di sistema. Se ci si attivasse, per esempio, per un grande investimento, come mai fatto in Italia, in infrastrutture sociali e sanitarie, ciò porterebbe aumento di occupazione femminile, e quindi diminuzione delle diseguaglianze di genere, riduzione delle diseguaglianze tra bambini nell’accesso a strutture dell’infanzia, diminuzione delle diseguaglianze tra anziani e tra disabili nell’accesso all’assistenza con welfare di prossimità, riduzione delle differenze territoriali, riduzione della povertà. Analogamente, se ci si attivasse per ridurre il lavoro povero, ciò contribuirebbe a migliorare le condizioni di giovani, donne e Sud che più vivono questa situazione.

Sono solo due esemplificazioni. Se ne possono studiare vari. L’importante è che si agisca con azioni di sistema, multidimensionali, che inneschino circoli virtuosi, processi a catena di riduzione delle diseguaglianze nella salute, nell’accesso ai servizi, nell’istruzione, nel lavoro, nei redditi. Per ridurre quelle di genere, generazione, territoriali, sociali. Se saremo in grado di farlo il Paese crescerà di più. E soprattutto sarà più equo.

fonte: La Repubblica, 4 agosto 2022 su Ristretti Orizzonti

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