L’allattamento è una scienza sociale. di Adriano Cattaneo

I governi tendono a sottovalutare il valore dell’allattamento, come tendono a sottovalutare tutto il lavoro di cura, attribuibile a livello mondiale per il 75% alle donne, di cui l’allattamento fa parte. Riconoscere e finanziare il lavoro di cura delle donne, e quindi anche l’allattamento, con misure fiscali e di bilancio che siano sensibili ai problemi di genere.

L’allattamento è una scienza sociale e la politica non è altro che allattamento su larga scala.

Parafrasare Rudolf Virchow[i] mi sembra logico dopo aver letto gli articoli dedicati all’allattamento dal Lancet, nel suo numero dell’11 febbraio 2023. I primi due articoli sono gia stati riassunti e commentati in un precedente post dello scorso 22 febbraio. Il terzo e ultimo articolo della serie è quello più politicizzato.(1) Tanto che, alla fine del lancio della serie, l’8 febbraio 2023,(2) Anthony Costello ha detto, tra il serio e il faceto, che se lui, quando lavorava all’OMS, era definito “un agente provocatore”, quelli che avevano presentato e discusso questo articolo potevano essere chiamati “terroristi politici”. Gli autori si propongono di esaminare le cause prime dei bassi tassi globali di allattamento, per capire come mai a genitori e famiglia sia impedito di fare le scelte ottimali, perché gli operatori sanitari e coloro che elaborano politiche e linee guida siano cooptati dall’industria, e per quale ragione in molti paesi non si dia priorità alla protezione, promozione e sostegno dell’allattamento. Per far questo, hanno adottato un approccio di economia politica, sintetizzato nella seguente figura.

L’espansione dell’industria dei sostituti del latte materno, descritta nel secondo articolo come effetto della globalizzazione,(3) ha trasformato l’alimentazione infantile in mercato e commercio. Il potere finanziario che ne consegue opera in un’economia deregolata che permette la messa in atto di strategie aggressive per accumulare profitti e capitali. Inoltre, come da manuale del capitalismo, l’industria tende all’oligopolio (6 multinazionali controllano il 60% del mercato globale), che in alcuni paesi diventa quasi un monopolio (2-3 ditte controllano quasi tutto il mercato). Ci sono poi le alleanze: da un lato quella ovvia con le multinazionali del marketing e delle pubbliche relazioni, dall’altro quella con l’industria lattiera e degli altri prodotti necessari a fabbricare la formula. Queste alleanze servono a rafforzare e a rendere più efficaci le attività di lobby sia a livello nazionale e sovranazionale (Commissione e Parlamento Europei, per esempio), sia presso le organizzazioni internazionali come OMS, FAO, Organizzazione Mondiale del Commercio e Commissione del Codex Alimentarius (l’organismo che regola gli standard industriali per gli alimenti). L’industria dei sostituti del latte materno, come quelle di tabacco, alcol e alimenti ultra-processati, investe molto (ma non si sa quanto) in attività di lobby a questi livelli, come anche, per imbiancare la propria immagine, in benevolenza e nella cosiddetta responsabilità sociale e ambientale. Il tutto in aperto contrasto con il Codice Internazionale OMS/UNICEF, per indebolirlo o per prevenirne il rafforzamento.(4) E magari proponendo codici volontari di comportamento, di cui è provata l’inefficacia, se non addirittura l’utilità per l’industria, nel senso che possono sostituire o ritardare leggi e regolamenti governativi.(5)

Un’altra strategia dell’industria per raggiungere i suoi fini è nascondersi dietro gruppi di facciata appositamente creati, come le varie fondazioni o istituti scientifici legati alle multinazionali, oppure già esistenti, come le varie associazioni di produttori. Questi gruppi di facciata tendono a definirsi indipendenti, ma in realtà sono finanziati dall’industria e quindi servono gli interessi della stessa. Il Nestlé Nutrition Institute, per esempio, si autodefinisce come “la più grande organizzazione privata al mondo per la ricerca su alimenti e nutrizione”; impiega circa 5000 persone in 30 sedi, pubblica 200 articoli l’anno, e li diffonde attraverso piattaforme di e-learning a oltre 300mila operatori. Il focus è biomedico (non si parla mai di determinanti sociali e commerciali della salute e dell’alimentazione infantile), con particolare attenzione a nuovi ingredienti e formulazioni. Anche le altre multinazionali hanno istituti simili, e si può facilmente immaginare quanto essi possano influire sull’informazione per operatori e pubblico, oltre che per chi elabora politiche.

L’industria si vanta di fornire lavoro e sviluppo, e di contribuire all’aumento del PIL, ma:

  • Dimentica di enumerare i danni che causa e il valore delle esternalità negative, valore sottratto alla società e alle generazioni future.
  • Nasconde accuratamente i danni all’ambiente, che eccedono di gran lunga i pochi benefici della formula per i bambini che ne hanno realmente bisogno.
  • Come l’industria degli alimenti ultra-processati (la formula è il primo con cui l’essere umano può entrare in contatto), quella dei sostituti del latte materno estrae valore dai consumatori.
  • Mentre aumenta considerevolmente i profitti, l’industria paga sempre meno tasse ai governi, e quindi contribuisce sempre meno alla loro spesa sociale.
  • Infine, l’industria distribuisce i suoi profitti ad azionisti già ricchi e localizzati al 97% nei paesi ricchi, contribuendo in tal modo ad aumentare le diseguaglianze.

I governi tendono a sottovalutare il valore dell’allattamento, come tendono a sottovalutare tutto il lavoro di cura, attribuibile a livello mondiale per il 75% alle donne, di cui l’allattamento fa parte. Se debitamente calcolato, questo lavoro di cura costituirebbe una grande percentuale del PIL globale, probabilmente tra il 20% e il 40%. Si può fare una stima anche della percentuale di PIL attribuibile all’allattamento. Nei paesi a reddito medio e basso, per i bambini fino a due anni di età, si stima una produzione di latte materno di circa 23.3 miliardi di litri. Se tutte le mamme allattassero come raccomandato dall’OMS, questo volume aumenterebbe del 40%. Ciò equivale, applicando il costo medio attribuito a un litro di latte materno dalle banche del latte umano, a 3.6 trilioni di dollari.

Nel 2020, il PIL globale era pari a 85.24 trilioni di dollari. Il valore economico del latte materno prodotto nei paesi a medio e basso reddito corrisponderebbe al 4.2% del PIL globale; molto di più se tutte le mamme allattassero come raccomandato, e ancora di più se aggiungessimo i paesi ricchi.

 L’articolo non può non finire con delle raccomandazioni, che sono poi quelle di tutta la serie di articoli del Lancet:

  • Sostituire il Codice Internazionale, una misura raccomandata dall’OMS, ma non obbligatoria per gli stati membri, con una Convenzione, sul modello di quella per il tabacco, che una volta ratificata da un certo numero di stati membri diventa obbligatoria per tutti i governi.
  • Porre fine a tutte le pratiche che violano i diritti fondamentali di donne e bambini, come quello di allattare e di essere allattati, e più in generale di godere di buona alimentazione e salute.
  • Riconoscere e finanziare (e ridistribuire) il lavoro di cura delle donne, e quindi anche l’allattamento, con misure fiscali e di bilancio che siano sensibili ai problemi di genere.
  • Affrontare le lacune strutturali e i conflitti di interessi all’interno dei sistemi sanitari, ponendo fine all’eccessiva medicalizzazione di gravidanza, parto e post-parto (i primi 1000 giorni).
  • Aumentare il finanziamento dei servizi sanitari, riallineando pubblico e privato a favore del primo, mediante politiche fiscali progressive.
  • Mobilitare e finanziare alleanze sociali, di gruppi e organizzazioni che si occupano di allattamento, alimentazione, salute delle donne, sistemi sanitari, sostenibilità ambientale etc., che promuovano campagne a favore dell’applicazione delle raccomandazioni precedenti.

Adriano Cattaneo, Epidemiologo. Trieste

Bibliografia

  1. Baker P, Smith JP, Garde A et al. The political economy of infant and young child feeding: confronting corporate power, overcoming structural barriers, and accelerating progress. Lancet 2023; (published online Feb 7) https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)01933-X
  2. https://player.4am.ch/who/20230208_BMS/index.html?lang=en
  3. Rollins N, Piwoz E, Baker P et al. Marketing of commercial milk formula: a system to capture parents, communities, science, and policy. Lancet 2023; (published online Feb 7) https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)01931-6
  4. WHO/UNICEF/IBFAN. Marketing of breast-milk substitutes: national implementation of the international code, status report 2022. Geneva, 2022 https://www.who.int/publications/i/item/9789240048799
  5. Hawkes C. Self-regulation of food advertising: what it can, could and cannot do to discourage unhealthy eating habits among children. Nutrition Bulletin 2005;30:374-82

 

[i] “La medicina è una scienza sociale e la politica non è altro che una medicina su larga scala” (Rudolf Virchow)

fonte: saluteinternazionale.info

Print Friendly, PDF & Email