Solidarietà, mutualismo, resistenza: l’azione collettiva in Italia dalla crisi economica a quella pandemica. di Lorenzo Bosi e Lorenzo Zamponi

«Cura», «solidarietà» e «mutualismo» sono state tra le parole che hanno maggiormente caratterizzato il 2020 e il 2021. La pandemia di Covid19, che ha colpito con particolare violenza l’Italia negli ultimi due anni, e le conseguenti misure di distanziamento sociale messe in campo in diverse fasi e a diversi livelli per contrastare la circolazione del virus hanno messo a dura prova il tessuto sociale del nostro paese, creando bisogni materiali e psicologici e allo stesso tempo le condizioni necessarie a un’attivazione di massa per affrontarli. La visibilità assunta da esperienze come quella delle Brigate volontarie per l’emergenza a Milano o i tanti altri progetti simili emersi in giro per l’Italia a partire dal marzo 2020 ha riportato alla luce il tema del mutualismo, della solidarietà dal basso, del far da sé solidale.

Sarebbe superficiale, d’altra parte, raccontare queste esperienze come estemporanee espressioni di resilienza della società italiana, meccanismi automatici in cui singole persone si attivano per rispondere a bisogni diffusi e per coprire le falle dei sistemi pubblici di welfare, in maniera assolutamente individuale e spoliticizzata. Lo studio dell’azione collettiva ha mostrato, invece, la presenza strutturale, nel repertorio d’azione comunemente utilizzato nel nostro paese, di forme d’azione di questo tipo, che abbiamo chiamato in precedenti scritti forme di azione sociale diretta, cioè forme di azione collettiva che hanno l’obiettivo di cambiare la società nel suo insieme o un suo aspetto specifico attraverso l’azione stessa invece che rivolgendosi in termini rivendicativi o conflittuali alle autorità statali o ad altri detentori di potere (Bosi e Zamponi, 2015, 2019, 2020).

Si tratta di forme di azione collettiva che spesso non vengono analizzate nel loro portato politico e che tendono in generale a essere poco visibili, ma che in contesti di crisi assumono una particolare rilevanza, in termini qualitativi e quantitativi. Le molte forme di solidarietà dal basso che si sono manifestate in questi anni, in risposta sia alla crisi economica sia alla pandemia di Covid-19, dalle grandi organizzazioni sociali alle occupazioni abitative, dai gruppi di acquisto solidale alle fabbriche recuperate, passando per i centri sociali e le sperimentazioni di welfare dal basso, sono state spesso interpretate come fenomeni del tutto spoliticizzati, forme di «resilienza» incapaci di produrre resistenza e alternativa, risposte automatiche di un corpo sociale che si adatta a contesti emergenziali senza sviluppare pensiero critico e traiettorie di attivazione collettiva di lungo periodo. Analizzare le forme di attivazione solidale e mutualismo dal basso che sono emerse nel corso della pandemia come casi di azione sociale diretta, invece, permette di inserirle in un contesto di lungo periodo, di osservarne le dinamiche alla luce dell’analisi condotta su queste forme d’azione nel contesto della crisi economica, di comprenderne le implicazioni di fondo in termini di trasformazione dell’azione collettiva.

L’analisi condotta in questo articolo, basata su lungo lavoro sul campo, ci permette di tracciare un quadro, per quanto non esaustivo, delle componenti più esplicitamente mirate alla costruzione di attivazione politica e partecipazione militante all’interno del campo degli attori collettivi che hanno proposto pratiche mutualistiche e solidali in risposta alla crisi economica e alla pandemia di Covid-19 in Italia.

Per capire il ruolo di queste pratiche nei percorsi politici degli attori collettivi risulta utile recuperare la concettualizzazione di Alberto Melucci secondo cui «coloro che guardano l’azione collettiva da un punto di vista professionale-politico […] tendono a confinare la loro osservazione alla facciata visibile della mobilitazione», mentre «latenza e visibilità sono due poli interrelati dell’azione collettiva» (Melucci, 1989, p. 70). Molti degli attori collettivi che abbiamo analizzato in questo articolo considerano quella presente una fase di latenza della partecipazione politica tradizionalmente basata sulla protesta rivendicativa, la fase in cui, per restare nello schema proposto, «le aree di movimento creano nuovi codiciculturali e consentono alle persone di metterle in pratica» (Melucci, 1989, p. 60). Le pratiche mutualistiche e solidali non sono quindi semplicemente una risposta automatica all’emersione di bisogni materiali, bensì il frutto di una strategia politica, volta ad affrontare il declino della mobilitazione politica in determinate fasi. Non si sceglie, generalmente, di investire sulle pratiche mutualistiche e solidali perché si rinuncia a quelle rivendicative e conflittuali, bensì perché si nota un declino in quest’ultime e si prova a costruire condizioni più favorevoli per il loro sviluppo nel medio periodo. Garantire un ruolo attivo agli attori collettivi in un contesto di latenza, e sfruttare l’opportunità per costruire legami solidali e comunitari che possano favorire, in una fase successiva, una nuova ondata di mobilitazione: è questa la scommessa del mutualismo, per gli attori di movimento. È tutt’altro che scontato che il percorso di politicizzazione dell’impegno mutualistico e solidale e dei legami comunitari costruiti grazie ad esso si sviluppi con il successo che gli attori collettivi in questione si augurano. Molto di ciò dipenderà dalla capacità di questi attori di interpretare non solo le trasformazioni della fase ma anche quelle degli stessi meccanismi dell’azione collettiva, nell’epoca dell’individualizzazione e della digitalizzazione.

Questa componente strategica, d’altra parte, non deve far pensare che questi processi siano pienamente sotto il controllo degli attori collettivi: non solo esiste una partecipazione di massa di volontari che portano con sé tutte le contraddizioni di chi è in gran parte esterno ai percorsi politici preesistenti, ma soprattutto l’esperienza delle pratiche mutualistiche e solidali cambia la natura stessa degli attori collettivi che le intraprendono.

Le dinamiche che abbiamo analizzato indicano le linee di tendenza di una nuova politicizzazione, che agisce anche sui percorsi già attivi. La nostra impressione è che il maggiore impatto dell’azione sociale diretta, in tempi di latenza della mobilitazione di massa, sia quello esercitato sugli attori stessi: l’immersione nella società, obbligando a rimettere in discussione presupposti ideologici, linguaggi gergali e pratiche consolidate, rappresenta un salutare bagno di realtà, in particolare per gli attivisti provenienti dai milieu di movimento. Pragmatismo, tendenza all’efficacia, capacità di costruire rapporti consolidati con i propri soggetti sociali di riferimento, attenzione ai legami solidali e comunitari, apertura al rapporto con soggetti caratterizzati da background ideologici diversi: le conseguenze dell’azione sociale diretta sono molteplici e possono delineare un quadro di politicizzazione di tipo nuovo.


Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 1/2022 di RpS

Fonte: RPS

Gli Autori: Lorenzo Bosi è professore associato di Sociologia politica presso la Scuola Normale Superiore. Lorenzo Zamponi è ricercatore in Sociologia presso la Scuola Normale Superiore.

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