Reddito di cittadinanza abolito, povertà in aumento. di Daniela Barbaresi

Con la conversione in legge del decreto lavoro, viene definitivamente superato il Reddito di cittadinanza, sostituito da Assegno di inclusione e il supporto per la formazione: si conferma così la linea già tracciata con la legge di bilancio 2023, di dividere la platea delle persone in condizione di povertà tra chi è ritenuto meritevole di un sostegno e di una presa in carico che lo accompagni in percorsi di inclusione e chi non lo è.

Con la cancellazione del Reddito di cittadinanza viene dunque superata l’universalità, propria di una misura di welfare, presente in tutti i Paesi dell’Unione europea, per introdurre strumenti diversi, l’Assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro, basati su criteri categoriali, che oltre a non avere paragoni in Europa, dividono i destinatari in base all’età e alla composizione del proprio nucleo familiare, e non alla loro condizione di bisogno economico e di disagio.

Dunque, l’iter parlamentare del decreto non ha fermato la foga ideologica del governo verso le persone in difficoltà che, con una logica punitiva, vengono colpevolizzate per la loro condizione di povertà, mentre si continua a confondere e sovrapporre impropriamente le politiche di contrasto alla povertà e le politiche attive del lavoro. Il messaggio del governo appare chiaro e delineato già in bozza: chi è ritenuto occupabile, non ha diritto a essere sostenuto economicamente anche se è in condizione di povertà.

Un approccio che, peraltro, dimentica i lavoratori poveri che potrebbero essere esclusi da ogni sostegno e presa in carico. E cosa accadrà alle famiglie composte da soli adulti una volta terminati i percorsi di formazione in attesa di trovare un’occupazione ma che si trovano ancora in condizioni di povertà? E a un giovane di 30 anni con un lavoro precario o part-time, comunque povero? Non avranno nessuna risposta e nessun sostegno.

La ministra Calderone ha affermato di non voler abbandonare chi resta indietro ma le sue dichiarazioni sono tutt’altro che convincenti o rassicuranti, perché si scontrano con la realtà dei numeri.

Gli stessi evidenziati nella relazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio dove appare chiaro l’effetto delle nuove misure: 500mila famiglie che oggi percepiscono un sostegno al reddito (pari al 40% del totale) saranno private di misure di contrasto alla povertà per ragioni legate al loro stato di famiglia o alla loro età anziché alla loro condizione di bisogno. Secondo l’Upb, dei quasi 1,2 milioni di nuclei beneficiari del Reddito di cittadinanza, circa 400mila (pari a un terzo del totale) sono esclusi dall’Assegno di inclusione perché al loro interno non sono presenti soggetti tutelati. A essi si aggiungono altri 97mila nuclei per effetto dei nuovi vincoli di natura economica. Per un totale di circa 823mila persone che nelle prossime settimane perderanno ogni sostegno al reddito.

Sbagliate le scelte anche sulla congruità dell’offerta di lavoro che, lungi dal promuovere la qualità del lavoro, metterà i beneficiari dell’Assegno di inclusione nelle condizioni di dover accettare anche un lavoro part-time, di breve durata e molto lontano da casa o di doversi traferire ovunque se a tempo indeterminato.

Positiva la previsione della valutazione multidisciplinare dei bisogni del nucleo familiare finalizzata a una piena presa in carico di tutti i suoi componenti, ma per garantirla è necessario rafforzare la rete dei servizi pubblici territoriali, dai servizi sociali dei Comuni ai servizi per il lavoro, cosa che la legge non prevede. Non solo: la legge prevede un ulteriore ampliamento del ruolo degli enti del terzo settore e dei soggetti accreditati ai servizi al lavoro nella predisposizione dei programmi personalizzati di inclusione sociale e lavorativa dei beneficiari, una prerogativa che dovrebbe rimanere in capo al servizio pubblico.

Se è stato abolito il Reddito di cittadinanza, la povertà ancora resta, ma ora chi è povero sarà più solo e costretto a misurarsi con una logica colpevolizzante e punitiva per il fatto di trovarsi in condizioni di bisogno.

Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil

fonte: Collettiva

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