Il diritto alla salute. Sopra tutto. di Francesco Pallante

Sino a che punto il settore privato può spingersi nella soddisfazione del proprio interesse a fronte del contrapposto interesse alla tutela della salute della collettività e dei singoli che la compongono? Uno dei due interessi prevale – deve prevalere – sull’altro, ed è quello alla tutela della salute.

l processo di privatizzazione in atto del Sistema sanitario nazionale (Ssn) – un processo strisciante, ma non per questo meno incisivo – pone una questione per il costituzionalista difficile da eludere: nel bilanciamento tra il diritto costituzionale alla salute (art. 32 Cost.) e la libertà d’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) qual è il valore costituzionale destinato a prevalere? Com’è agevole intuire, il punto critico è il seguente: posto che il privato che opera in ambito sanitario è, pur sempre, un attore economico interessato, come tutti gli operatori economici, alla massimizzazione del proprio profitto, sino a che punto egli può spingersi nella soddisfazione del proprio interesse a fronte del contrapposto interesse alla tutela della salute della collettività e dei singoli che la compongono? Naturalmente, risposte concrete alla suddetta domanda possono essere elaborate solamente esaminando specifiche situazioni concrete. Qui la questione è posta in termini generali: i due interessi devono trovare soddisfazione – e quindi, corrispettivamente, sacrificio – in modo almeno tendenzialmente paritario o ve n’è uno a cui, per vincolo costituzionale, deve essere data prevalenza? La risposta, come ora si argomenterà, va nella seconda direzione: uno dei due interessi prevale – deve prevalere – sull’altro, ed è quello alla tutela della salute.

A motivazione di tale risposta, si può partire da una notazione di carattere testuale: il diritto alla salute è l’unico diritto che la Costituzione definisce espressamente «fondamentale». Come si legge all’articolo 32, comma 1, della Costituzione: «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». La dottrina giuridica tende a spiegare questa peculiarità del diritto alla salute con il suo essere il presupposto logico di tutti gli altri diritti costituzionali: «fondamentale» va, dunque, inteso in senso anzitutto letterale, come «posto a fondamento». La salute, in questa prospettiva, è un bene che viene considerato complementare alla vita stessa: la vita si prolunga nella salute e la salute sostiene la vita. E la vita – che non a caso nella Costituzione è protetta anche dal divieto di pena di morte (art. 27, co. 4, Cost.) e dal divieto di tortura (art. 13, co. 4, Cost.) – è la base su cui, inevitabilmente, poggiano tutti gli altri diritti: se, e solo se, c’è vita, allora possono poi esserci – nel senso che possono essere effettivamente goduti – tutti gli altri diritti costituzionali.

Diversamente dal diritto alla salute, la libertà d’iniziativa economica privata non solo è invece priva di qualificazione rafforzata da parte della Carta fondamentale, ma è, al contrario, proclamata in forma già limitata nella sua stessa formulazione costituzionale. Dopo aver infatti affermato al comma 1 dell’articolo 41 che «l’iniziativa economica privata è libera», i due commi seguenti del medesimo articolo individuano una serie di limitazioni e condizionamenti espliciti al suo esercizio, sancendo che essa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (comma 2) e affidando alla legge il compito di «determina[re] i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali» (comma 3).

Quel che, dunque, emerge dal complessivo dettato costituzionale sull’iniziativa economica privata è che essa è, sì, libera, ma solamente nel suo momento iniziale. Vale a dire, che l’imprenditore è libero di decidere se avviare o meno la propria attività, ma, una volta compiuta la scelta iniziale, il campo d’azione della sua attività subito si restringe, in virtù dell’operare di vincoli che lo condizionano tanto nella fisiologia, quanto nella patologia delle sue scelte imprenditoriali. Quanto ai primi – vincoli fisiologici – egli è tenuto a sottostare ai programmi e ai controlli stabiliti dalla legge affinché la sua attività d’impresa sia coordinata con le altre attività d’impresa private e pubbliche, di modo che siano tutte indirizzate al perseguimento di fini aventi carattere sociale e ambientale: dunque, l’obiettivo del conseguimento del massimo profitto teoricamente possibile è in radice escluso dallo stesso dettato costituzionale. Quanto ai secondi – vincoli patologici – l’imprenditore vede circoscritto il proprio raggio d’azione in modo che gli siano inibite tutte le scelte e i comportamenti che potrebbero recare danno a valori costituzionalmente prevalenti, quali – testualmente – l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà, la dignità umana e, a partire dalla riforma costituzionale entrata in vigore nel 2022, l’ambiente e la salute (concetti tra loro indissolubilmente legati, data l’influenza decisiva del primo sulla seconda).

La conclusione è evidente: diritto alla salute e libertà d’iniziativa economica privata non sono valori costituzionalmente collocati sullo stesso piano. Il primo prevale sul secondo perché è espressamente configurato come «fondamentale», ma non solo; bensì anche perché è posto dalla Costituzione stessa quale limite esplicito al secondo.

È la Costituzione per prima, in altre parole, a operare tra diritto alla salute e iniziativa economica privata un bilanciamento ineguale, assicurando all’articolo 32 prevalenza sull’articolo 41. L’uno è un diritto pieno e, anzi, rafforzato; l’altra è una libertà depotenziata e, anzi, circoscritta proprio dal diritto rafforzato. Ne deriva che vanno considerati errati non soltanto i bilanciamenti sfavorevoli al diritto alla salute (come in molti casi avviene oggi), ma anche quelli che equiparano i due “beni” costituzionali in questione, imponendo sacrifici paritari all’uno e all’altro. Essendo proclamata in maniera già in partenza depotenziata, la libertà d’iniziativa economica privata dev’essere (parzialmente) soccombente rispetto al diritto alla salute, che è invece proclamata in forma piena e, addirittura, rafforzata.

D’altro canto, se così non fosse, perderebbe di significato l’intera decennale riflessione giuridica, di fonte dottrinaria e giurisprudenziale, sul significato costituzionale del diritto alla salute. Merita, a completamento di queste note, ricordarla, non foss’altro perché possa fungere da bussola per orientarsi nelle sfide poderose che il definanziamento del Servizio sanitario nazionale e il corrispondente arrembante appetito del settore privato già stanno lanciando, e sempre più lanceranno, al diritto alla salute. Si possono condensare gli esiti di tale riflessione in quattro caratteristiche considerate costitutive del contenuto essenziale del diritto alla salute: oltre alla fondamentalità, il non essere finanziariamente condizionato, l’essere di titolarità dell’essere umano in quanto tale, il dover essere assicurato in modo uguale su tutto il territorio nazionale.

Iniziando dalla prima caratteristica – la fondamentalità – si può aggiungere a quanto già detto la specificazione compiuta dalla giurisprudenza costituzionale in numerose sentenze adottate a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, da cui si possono ricavare i profili giuridici essenziali del diritto stesso, vale a dire: la sua inalienabilità, per cui non può essere oggetto di negozi economici; la sua intrasmissibilità, per cui non può essere ceduto, a qualsiasi titolo, ad altri; la sua indisponibilità, per cui non può essere oggetto di azioni giuridiche di qualsiasi genere, non solo a carattere economico; e, infine, la sua irrinunciabilità, per cui non può essere oggetto di rinuncia (ma attenzione a non confondere tale caratteristica con il diritto a rinunciare alle cure, che è parte costitutiva del diritto alla salute: sicché – si perdoni il gioco di parole – tra i profili irrinunciabili del diritto alla salute vi è quello di rinunciare alle cure).

La seconda caratteristica è quella forse più urgentemente attuale e riguarda la doverosità dell’attuazione – e, quindi, del finanziamento – del diritto alla salute, quantomeno nel suo contenuto essenziale. È un risultato a cui la Corte costituzionale è approdata dopo alcune oscillazioni, che, specie negli anni Novanta del Novecento, hanno non di poco indebolito la tutela della salute. Riferimento imprescindibile, su questo tema, è oggi la sentenza n. 275 del 2016: una sentenza, dunque, successiva all’inserimento dell’equilibrio di bilancio nella Costituzione, che risale al 2012. Il caso riguardava il trasporto scolastico di un ragazzo disabile, lasciato a casa perché la provincia di residenza aveva terminato i fondi con cui finanziava il pulmino adibito al trasporto, in tal modo violando, nello stesso tempo, sia il diritto all’istruzione, sia il diritto alla salute del ragazzo; ritrovatasi a dover decidere il caso, la Corte costituzionale risolve il giudizio a favore del ragazzo sancendo, con parole suscettibili di assumere valenza generale per tutti i diritti costituzionali, che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Detto altrimenti: la variabile indipendente, nel rapporto tra bilancio e diritti, sono i diritti; è il bilancio che deve adeguarsi. L’ipotesi contraria sarebbe insostenibile: significherebbe far prevalere una legge ordinaria – la legge di bilancio – sulla Costituzione – le disposizioni che proclamano i diritti – in un’inversione della gerarchia delle fonti incompatibile con l’idea stessa di Costituzione. Sentenze successive sono intervenute a rafforzare questa conclusione, colpendo leggi di bilancio regionali lesive, per insufficiente finanziamento, del diritto alla salute. La sfida è ora innalzare il livello dell’intervento della Corte, investendo il bilancio dello Stato: com’è agevole intuire, le resistenze sono, tuttavia, fortissime, sicché quella del finanziamento continua a rimanere la questione politicamente a tutt’oggi più delicata e discussa.

La terza caratteristica riconduce il discorso al testo dell’art. 32, co. 1, Cost., in cui ricorre un secondo dato lessicale, di notevole rilievo, su cui è bene soffermarsi. Si tratta del riconoscimento del diritto alla salute come diritto spettante all’«individuo», anziché – come avviene per altri diritti – al «cittadino». Dunque, non soltanto quello alla salute non è un diritto che spetta, com’era un tempo, solo ai lavoratori, ma nemmeno si tratta di un diritto che spetta solo ai cittadini. Anche su questo punto è intervenuta la Corte costituzionale, per dire che, almeno con riguardo al suo “nucleo essenziale”, il diritto spetta anche agli stranieri, a qualsiasi titolo siano presenti sul territorio nazionale: vale a dire, anche se sono entrati in Italia irregolarmente. Significa, insomma, che il diritto alla salute spetta a qualsiasi essere umano sia, nei fatti, sottoposto alla sovranità dello Stato italiano.

Dalla combinazione dei due dati testuali ora richiamati – diritto fondamentale e diritto che spetta a ogni essere umano – la dottrina ha, infine, ricavato il quarto tratto giuridico essenziale del diritto alla salute: il fatto, cioè, che esso debba essere assicurato, almeno nei suoi livelli essenziali, in modo uguale e uniforme su tutto il territorio nazionale. È una interpretazione, questa, che nasce in dottrina e che poi è stata fatta propria dalla stessa Corte costituzionale, la quale ha infine affermato che la tutela della salute «non può non darsi in condizioni di fondamentale uguaglianza su tutto il territorio» nazionale (sentenza n. 282 del 2002). Il punto merita attenzione non solo per le differenze nei livelli di tutela che attualmente il Ssn incostituzionalmente fornisce ai cittadini a seconda delle zone del Paese in cui vivono, ma anche – e forse soprattutto – per i progetti di autonomia regionale differenziata, perseguiti dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia-Romagna.

È di qui che viene l’altra grande sfida che oggi minaccia la tenuta della tutela della salute nel nostro Paese: dal disegno di dare soddisfazione a un egoismo regionale suscettibile di assestare il colpo definitivo alla «nazionalità», e quindi all’uniformità, del Servizio sanitario italiano.

Francesco Pallante. Professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Torino

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/09/il-diritto-alla-salute-sopra-tutto/

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