Il saliscendi demografico mondiale. di Gabriele Vaccaro, Manjola Bega

È possibile prevedere l’evoluzione demografica mondiale? È sufficiente tracciare il grafico dei secoli passati e proseguirlo algebricamente o sono da contemplare traiettorie inattese?

Dodici anni fa, Salute Internazionale (1) analizzava la stima della popolazione nel 2050 con risultati molto interessanti. Mentre il post veniva scritto, nel gennaio 2011, il Demometro di Neodemos, che computa in diretta gli abitanti del pianeta, segnava 6.921.221.873; adesso ne conta 8.047.259.844 e gli esperti, come nell’ultimo Rapporto del Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite (UN-DESA), “Global Population Growth and Sustainable Development” (2) o nel World Population Prospects dell’ONU 2022 (3), s’impegnano ancora a pronosticare scenari futuri sulla base di fattori strategici, tra i quali gioca un ruolo determinante la salute nella sua accezione più ampia. Le ipotesi avanzate nel 2011 sono pressoché confermate, con alcuni aspetti metodologici messi maggiormente a fuoco e con un allungamento della gittata della previsione.

Si stima che il numero degli abitanti della Terra fosse di circa 250 milioni attorno all’anno Mille, di circa 500 milioni nel 1650 per raggiungere, agli inizi dell’Ottocento, il miliardo. La velocità di accrescimento è aumentata nel tempo: il tasso di incremento annuo è stato inferiore allo 0,5% dal 1650 al 1850, crescendo al 0,69% nel periodo 1850-1950. La massima espansione della popolazione mondiale si è registrata nel periodo 1950-2000, dove l’incremento annuo è stato dell’1,79%. Gli anni di massimo incremento sono stati il 1961-1962: +2,2%. Nella Tabella 1 la progressione cronologica dal primo miliardo del 1800, agli attuali 8 miliardi, fino alle stime di 9 miliardi nel 2050. Nella Figura 1 il quadro globale per aree geografiche dell’evoluzione demografica degli ultimi 70 anni e proiezioni future

Tabella 1

Figura 1. Quadro globale per aree geografiche dell’evoluzione demografica degli ultimi 70 anni e proiezioni future. (Fonte: United Nations Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2021). Global Population Growth and Sustainable Development. UN-DESA/POP/2021/TR/NO. 2.

Cosa compare adesso all’orizzonte? Lo strumento principe in mano agli studiosi per affrontare la parte hard della questione, cioè la previsione degli sviluppi, è la cosiddetta ‘teoria della transizione demografica’ (4): per ogni popolazione (a) all’inizio vigono livelli di fertilità molto alti, compensati da indici di mortalità analogamente elevati; (b) con lo sviluppo, la società raggiunge una riduzione della mortalità, specie tra neonati e bambini, permanendo sostenuti i tassi di natalità, con un naturale aumento; (c) alla decelerazione della mortalità si accompagna una diminuzione delle nascite, innescata da una cultura della procreazione maggiormente consapevole, il che porta ad un progressivo rallentamento della crescita ; (d) si raggiunge il ‘regime moderno’, in cui il tasso di natalità è paritario o addirittura inferiore al tasso di mortalità, e entrambi i quozienti sono drasticamente più bassi rispetto alle fasi precedenti.

Ben si capisce dunque come, nella dinamica di tale teoria, svolga un ruolo chiave la dimensione della salute pubblica, perché la transizione demografica interagisce e coinvolge necessariamente la cosiddetta transizione epidemiologica (5), una teoria sorta agli inizi del 1970 che, a grandi linee, tratteggia il cambiamento nel tempo della distribuzione delle cause di malattia e morte in una popolazione. Secondo essa, in ogni nuova popolazione, all’inizio la mortalità è assai alta a causa di malattie infettive e parassitarie, carestie e scarsa nutrizione, che determinano un’aspettativa di vita oscillante tra i 20 e i 40 anni; poi si accede  alla cosiddetta ‘età della remissione delle pandemie’, con la diminuzione dei picchi epidemici ed un’aspettativa di vita che cresce di circa 10 anni rispetto alla precedente; infine si defluisce nell’epoca delle malattie antropogeniche, caratterizzata da una robusta riduzione delle malattie infettive e da una correlazione stretta della mortalità a malattie cronico-degenerative e cardiovascolari, eventi traumatici e abuso di sostanze.

Sulla base della combinazione di questi due modelli teorici, gli analisti dell’UN-DESA avanzano una proiezione demografica per aree geografiche da qui al 2100. In gran sintesi, lo studio citato prevede la stabilizzazione o il calo della popolazione in Europa e nel Nord America (fino ad un  assestamento intorno all’1,14 miliardi di persone); la crescita ancora per due o tre decenni in Asia, prima del graduale declino; un’inversione di tendenza sorprendente per la Cina che, con la stessa velocità con cui è cresciuta, sta andando incontro alla decrescita, ed una diminuzione di popolazione pure in Giappone e Federazione Russa. Insomma, in tutte queste regioni si prevede che il tasso di fertilità del 2,4% del 2017 scenda sotto l’1,7% nel 2100.

La nota in controtendenza più rilevante, a far da contrappeso, riguarda il continente africano.

La regione dell’Africa subsahariana detiene al momento il tasso più alto di crescita annuale, circa il 2,6%, ed è destinato a più che raddoppiare il suo miliardo di abitanti intorno al 2050, per raddoppiare nuovamente nella seconda metà del secolo, sfiorando in questo modo i 4 miliardi di abitanti nel 2100. E la proiezione è perfino cauta! La previsione complessiva mondiale di questa variegata configurazione conduce a prevedere un picco di 9,7 miliardi di abitanti nel 2064 e già una ricaduta pari a 8,7 miliardi nel 2100, con una tendenza generale alla decrescita.

Limitatamente all’Europa, i dati statistici, applicati al nostro secolo, comprovano la bontà delle due teorie della transizione e ci collocano al punto d), denominato ‘regime moderno’. Negli ultimi settant’anni, infatti, il livello di mortalità, sia in età infantile sia tra gli anziani, si è ridotto in maniera significativa: la mortalità dei bambini di età inferiore ai 5 anni continua a diminuire a livello globale (223 decessi su 1000 nati nel 1950 contro i 38 nel 2020); mentre l’aspettativa di vita nell’ultimo ventennio è salita di quasi 9 anni, con chiari segni di una prosecuzione della tendenza, fino a quando la maggioranza della popolazione sarà concentrata in età più avanzata. Giunti a tal punto, la proiezione UN-DESA prevede un aumento del 50% del tasso grezzo di mortalità da qui al 2050, per poi raddoppiare a fine XXI secolo. Allora, il numero delle nascite convergerà con il numero dei decessi e la popolazione cesserà di crescere a livello globale, raggiungendo quell’intersezione che segna la fine delle fasi di transizione e l’approdo ad un nuovo equilibrio (Figura 2).

Figura 2. Quadro globale di nascite e decessi degli ultimi 70 anni e proiezioni future. (Fonte: United Nations Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2021). Global Population Growth and Sustainable Development. UN-DESA/POP/2021/TR/NO. 2.)

Tra le varie componenti impattanti sulla crescita demografica globale, la migrazione internazionale tende ad avere un’influenza modesta; tuttavia nei paesi ad alto reddito diverrà, nei decenni venturi, l’unico motore di tale processo.

I livelli di mortalità, fertilità e migrazione determinano cambiamenti nelle dimensioni di una popolazione e nella sua distribuzione per età; dall’altra parte, quest’ultima può avere un impatto temporaneo, ma importante, sull’andamento della popolazione stessa, a causa del fenomeno del momentum, ovvero lo ‘slancio demografico’. Tale meccanismo, fondamentale per lo studio dell’evoluzione delle popolazioni, è basato sulla considerazione specifica della popolazione femminile: quale percentuale si trovi in età riproduttiva; quale sia in età infantile, cioè in procinto di entrarvi; quale l’abbia ormai superata. Lo slancio di crescita passato, incorporato nell’attuale struttura giovanile della popolazione, ne determinerà i due terzi dell’aumento previsto entro il 2050; ciò si caratterizza come fenomeno di fondamentale importanza, in quanto molto difficile da contenere o da influenzare con interventi di politica socio-economica. A causa del suo avanzato invecchiamento demografico, l’Europa, dove dalla fine degli anni ’70 la fecondità è inferiore al livello di sostituzione, è l’unica regione in cui si prevede che lo slancio contribuirà al declino della popolazione, anziché alla sua crescita.

Una brevissima e poco incoraggiante considerazione è da dedicare alla situazione nazionale, essendo l’Italia iscritta nell’elenco dei 23 Paesi destinati a dimezzare la popolazione entro il 2100 (6).

L’Italia è infatti uno dei Paesi più “vecchi” dell’Ue con un indice di vecchiaia crescente che al primo gennaio 2021 contava 182,6 anziani ogni cento giovani (7). Il 2006 è stato l’ultimo anno in cui nascite e decessi sono risultati in sostanziale equilibrio, mentre il tasso di fecondità è sceso definitivamente sotto la soglia dei due figli per donna già alla fine degli anni ’70, con un minimo storico di 1,19 registrato nel 1995. La progressiva diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni spiega il 60% del calo delle nascite dell’ultimo decennio; il resto è determinato dalla riduzione della fecondità. Calo delle nascite e longevity shock sono, soprattutto per l’Italia, dati di primaria importanza, i quali dalla sfera sanitaria e sociale scorrono linearmente in quella politica, dove un monitoraggio costante del panorama demografico risulterà sempre più fondamentale per le direttive economiche e la gestione del welfare.

Autore e Autrice

Gabriele Vaccaro, Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva. Università di Firenze

Manjola Bega, Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva. Università di Firenze

BIBLIOGRAFIA

  1. Maciocco G. La popolazione mondiale nel 2050. Salute Internazionale. 20 Gennaio 2011
  2. United Nations Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2021). Global Population Growth and Sustainable Development. UN-DESA/POP/2021/TR/NO. 2.
  3. United Nations (2022). World Population Prospects. Online edition. Rev.1. Available at https://population.un.org/wpp/
  4. Galor, O. (2012). The Demographic Transition: Causes and Consequences. Cliometrica, vol. 6, No. 1, pp.1-28.
  5. Omran, A.R (2005. First published 1971), “The epidemiological transition: A theory of the epidemiology of population change”, The Milbank Quarterly 83 (4): 731-57. Reprinted from The Milbank Memorial Fund Quarterly 49 (No.4, Pt.1), 1971, pp.509-538.
  6. Vollset SE et al. Fertility, mortality, migration, and population scenarios for 195 countries and territories from 2017 to 2100: a forecasting analysis for the Global Burden of Disease Study. Lancet. 2020 Oct 17;396(10258):1285-1306. doi: 10.1016/S0140-6736(20)30677-2. Epub 2020 Jul 14. PMID: 32679112; PMCID: PMC7561721.
  7. Elaborazione Censis su dati Istat. L’Italia e le dinamiche demografiche. Scenari e strumenti per affrontare il futuro. Anno 2021

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/10/il-saliscendi-demografico-mondiale/

Print Friendly, PDF & Email