Tortura, riformare la legge ora vuol dire affossare i processi. di Patrizio Gonnella

APPELLO. Non c’è Paese democratico al mondo che, per salvare un manipolo di poliziotti accusati di questo reato, abbia cambiato in corso le regole del gioco mettendo mano al delitto. Deputati e senatori della Repubblica non si rendano complici di questo misfatto giuridico.

È di due giorni fa la notizia delle accuse di tortura nei confronti di 23 agenti di polizia penitenziaria a Cuneo. Ancora una volta, in alcuni commenti, piuttosto che soffermarsi su quanto accaduto si evoca la necessità di mettere mano alla legge che proibisce la tortura. È come se a seguito di una persona ammazzata si discutesse di abolire il reato di omicidio. Chiunque assecondi, promuova, voti un provvedimento di legge che cancella o modifica l’articolo 613-bis, introdotto nel codice penale nel 2017, si renderà complice di un atto di impunità di massa. Esistono vari disegni di legge pendenti a riguardo e pare sia intenzione del Governo mettere mano alla norma.

In premessa va ricordato che la legge contro la tortura fu approvata dopo un’intollerabile attesa di quasi trent’anni. Era il 1988 quando l’Italia si era impegnata a prevedere un reato che punisse i torturatori, ratificando la Convenzione dell’Onu. Per trent’anni, in particolare a destra, c’era chi aveva remato contro la codificazione del delitto di tortura affermando che non andassero criminalizzate le forze dell’ordine alle quali bisognava lasciare le mani libere.

fonte: il manifesto del 12/10/2023

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