Non c’è nessun grande finanziamento sulla sanità, risorse per il privato. di Ilenia Malavasi

Gentile direttore,
il Servizio sanitario nazionale è arrivato al capolinea, come afferma la Fondazione GIMBE nel suo “VI Rapporto sul Sistema sanitario nazionale”: i princìpi su cui si fonda o forse si fondava – universalità, uguaglianza, equità – sono stati ormai traditi e sostituiti da interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra vicino casa, inaccettabili disuguaglianze tra Nord e Sud che portano a un’importante migrazione sanitaria, all’aumento della spesa privata, fino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure. Servirebbero riforme coraggiose a tutela della sanità pubblica, perché il tempo delle manutenzioni ordinarie è finito.

Con il Ministro Speranza, a fronte dell’emergenza pandemica, dal 2020 al 2022 sono stati stanziati 18 miliardi di euro aggiuntivi rispetto al 2019 e il livello della spesa sanitaria ha superato il 7% del prodotto interno lordo, mentre attualmente il rapporto spesa sanitaria/PIL è in rapida decrescita, passando dal 6,7% del 2022 al 6,4% del 2025: una percentuale decisamente al di sotto della media europea. Basta bugie, dunque, basta dire che questo governo ha fatto il più grande investimento in sanità pubblica, perché non è vero: il dato numerico assoluto, pari a 136 miliardi, non ha infatti nessun senso se avulso dal contesto, dall’aumento dei prezzi e della inflazione.

Il governo ha stanziato 3 miliardi di cui 2,3 sono rappresentati da aumenti salariali e non è vero che si tratta del più grande investimento mai fatto in sanità: con l’inflazione che abbiamo avuto è chiaro che non ha alcun senso citare la cifra per dimostrare l’adeguatezza dei finanziamenti: con 136 miliardi nel 2024 non si compra ciò che si acquistava con 116 miliardi nel 2019. È del tutto evidente -come evidenziato bene da Carlo Cottarelli- che servirebbe aggiustare la spesa all’aumento dei prezzi; in questo caso si noterebbe chiaramente come la spesa sanitaria nel 2024 scenderà in termini di potere d’acquisto dell’1,5% (un ulteriore taglio operato dopo quello del 2,7% previsto nel 2023). Ci troviamo di fronte a un taglio cumulato del 4,1% che corrisponde a quasi 6 miliardi in meno per la sanità.

In questo quadro, ci verrebbero in aiuto le risorse importanti stanziate dal PNRR: 230 miliardi in totale, di cui quasi 20 complessivi per la sanità. In questa missione sono state stanziate importanti risorse per 1300 case di comunità, 600 COT, 400 ospedali di comunità per i quali servono ovviamente fondi per il personale, affinché non rimangano scatole vuote. Invece, al personale necessario per attuare le case di comunità, la proposta di bilancio relega delle briciole: 250 milioni per il 2024, 350 per gli anni a seguire. Per non parlare del fatto che nella bozza del Piano di revisione del Governo abbiamo visto dei tagli: meno 414 case di comunità, meno 96 ospedali di comunità, meno 76 COT.

Con quali risorse, dunque, si pensa di attuare il rilancio della sanità, di implementare le case di comunità, le centrali operative, l’infermiere di famiglia, le unità di continuità assistenziale, l’assistenza domiciliare, gli ospedali di comunità che sono tutti elementi fondamentali per la riorganizzazione del lavoro, del territorio e per la buona riuscita del modello delineato dal PNRR e dal decreto n. 77 del 2022?

La verità è che siamo al collasso anche sul fronte del personale, dove mancano 15.000 medici e va ancora peggio con gli infermieri, ma la parola “assunzione” non c’è nella NADEF, non c’è nella legge di bilancio e non c’è nemmeno l’impegno ad eliminare il tetto di spesa sul personale, così anacronistico da essere ancorato alla spesa del 2004. La promessa di rivalutare il trattamento economico di tutto il personale medico e sanitario è rinviata a futura memoria, nonostante le retribuzioni dei medici siano al terz’ultimo posto in Europa. Investire sul personale con nuove assunzioni è l’unico modo per affrontare il problema delle liste di attesa, ma per questo stesso problema si promuove invece la sanità privata: per abbattere le liste di attesa, infatti, il governo Meloni ha trovato 600 milioni in più, facendo diventare lo Stato il principale cliente del sistema privato, sdoganando in modo surrettizio la privatizzazione del sistema sanitario nazionale, sul modello di alcune Regioni governate dal centrodestra. Peccato che la sanità privata integrativa non abbia gli obblighi di quella pubblica, non abbia l’obbligo dei LEA e possa selezionare i pazienti e anche le prestazioni. Al Servizio sanitario rimangono invece in carico la prevenzione, la gestione delle cronicità e tutta l’attività di emergenza e urgenza.

La carenza di medici e di infermieri è un tema nazionale, ma nelle aree interne del Paese comporta una desertificazione sanitaria importante, con stipendi bassissimi, turni di lavoro massacranti e pochi contratti a tempo indeterminato. Per questo, non riteniamo che questo sia il modo corretto per affrontare questa situazione, in un momento in cui la spesa sanitaria privata è arrivata per ogni famiglia a 1.700 euro, tanto che il 5,2 per cento dei nuclei familiari vive in disagio economico per le spese sanitarie, l’1,5 si sta impoverendo per queste spese e il 2,3 per cento sostiene spese che ritiene essere catastrofiche.

In questo quadro, già profondamente segnato da divari territoriali, è irricevibile la proposta di autonomia differenziata, perché andrebbe a cancellare il nostro sistema sanitario nazionale, tradendone i principi di universalità, equità e solidarietà per tutti i cittadini, indipendentemente dalle proprie origini, dalla residenza e dal censo. Ce lo ha ricordato anche il Presidente Mattarella che, nel discorso della fine del 2022, ha detto: “Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre di più al centro la persona e i suoi bisogni concreti nel territorio in cui si vive”. Sì, perché non possiamo accettare che i cittadini rinuncino a prestazioni sanitarie nel pubblico a favore di strutture private che sono in grado di offrire prestazioni a tariffe concorrenziali e anche in tempi più rapidi.

Per questi motivi, abbiamo proposto una mozione parlamentare e per lo stesso motivo andremo in piazza, il prossimo 11 novembre, per ascoltare – cosa che non fa questo Governo – la voce e la preoccupazione dei cittadini italiani, di 5 milioni di persone che quest’anno non sono riusciti a curarsi, perché dietro quei numeri ci sono persone in carne e ossa, uomini e donne, giovani e anziani, bambini e ragazzi, che chiedono di farci carico delle loro preoccupazioni, delle loro speranze e dei loro diritti.

 

Ilenia Malavasi  (Deputata PD)

 

 

 

fonte: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=117666

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