La Medicina centrata sulle persone. di Benedetto Saraceno

L’adozione di un modello innovativo che potremmo definire di intervento psico-socio-sanitario di lunga durata (ILD), bene si adatterebbe all’insieme delle malattie croniche e in special modo al disagio mentale e del comportamento. Gli Interventi di Lunga Durata costituiscono il contesto naturale per potere sviluppare servizi sanitari capaci di promuovere una medicina centrata sulla persona.

“La corsa allo psicologo”

È da tempo che si dibatte a proposito, e più spesso a sproposito, della necessità di sviluppare nuove forme di assistenza psicologica per la popolazione generale. Salute Internazionale ha recentemente pubblicato alcuni importanti contributi sull’argomento (leggi quiquiqui e qui). Pur con prospettive differenti, tutti gli autori sembrano concordare sulla necessità di non “psicopatologizzare” il disagio sociale (soprattutto quando si tratta di adolescenti e giovani adulti) e di non limitarsi a immaginare soluzioni semplicistiche quali il ricorso indiscriminato allo psicologo (vedi “bonus psicologo”).

Soprattutto, sarebbe necessario basare ogni evocazione di presunti nuovi bisogni sanitari su solidi dati epidemiologici che, invece, scarseggiano: c’è davvero un incremento di patologie della salute mentale? È davvero provato che l’aumento di disponibilità di “ore-psicologo” costituisca la risposta più ragionevole e costo-effettiva? Uno sviluppo di nuovi e rigorosi studi di popolazione sul disagio psichico e sulle forme tradizionali e innovative di intervento sarebbe necessario per potere introdurre maggiore rigore in questo dibattito.

Malattie croniche e medicina basata sulla persona

Piuttosto che evocare interventi psicologi generalizzati, come parte di un generico pacchetto di “più psicologo uguale più benessere”, sarebbe forse utile riflettere sulla necessità e urgenza di promuovere approcci e interventi psico-sociosanitari di lunga durata offerti dalla medicina di famiglia. L’adozione di un modello innovativo che potremmo definire di intervento psico-socio-sanitario di lunga durata (ILD), bene si adatterebbe all’insieme delle malattie croniche e in special modo al disagio mentale e del comportamento così a tutte quelle condizioni che l’antropologo americano Arthur Kleinman definisce come “social suffering” (1). Tale intervento o, meglio, tale insieme di interventi, si compie essenzialmente al di fuori dell’ospedale: in centri di salute territoriali (case della salute), nell’ambulatorio del medico di medicina generale o anche, talvolta, al domicilio delle persone.

Si tratta, dunque, di una vera rivoluzione copernicana per il tradizionale sistema sanitario che pone al centro l’ospedale. Al centro del modello ILD sta invece la comunità nella duplice accezione di luogo in cui i cittadini ed il singolo utente vivono e di insieme di cittadini e risorse di cui quella comunità dispone. In questa prospettiva l’ospedale appare sfocato sullo sfondo come una risorsa di ricorso eccezionale e utilizzata per breve durata. I protagonisti di questi ILD sono ovviamente molteplici ed eterogenei: personale sanitario, personale dei servizi socialipersonale di altri settori pubblici e privati che operano nella comunità e fra essi soprattutto il personale dei settori della educazione, delle organizzazioni del lavoro e di quelle della culturaLe sinergie e le collaborazioni variano e possono essere più formalizzate e istituzionali, come è il caso delle collaborazioni fra servizi sanitari e servizi sociali o più spontanee e generate all’interno di progetti e incroci fra organizzazioni, istituzioni e persone. Questo radicale spostamento del cuore del sistema sanitario, dall’ospedale alla comunità, per essere possibile e efficace deve disporre di risorse finanziarie e umane: dunque si spostano dall’ospedale non soltanto gli interventi ma anche i mezzi (finanziari e umani) affinché gli interventi siano davvero realizzati.

Gli Interventi di Lunga Durata costituiscono il contesto naturale per potere sviluppare servizi sanitari capaci di promuovere una medicina centrata sulla persona (person centred medicine). Con l’espressione medicina centrata sulla persona (MCP) si definisce un approccio all’offerta di prestazioni sanitarie che si caratterizza per la messa al centro dell’utente come decisore e protagonista attivo del processo sanitario (2).  Così come la messa al centro della comunità muta il tradizionale modello ospedalocentrico (con tutte le importanti implicazioni in termini di risorse), così anche la messa al centro dell’utente invece che del prestatore di servizio (il medico e il personale sanitario) modifica radicalmente la prospettiva e determina importanti conseguenze.

Se si analizza la letteratura sull’argomento si trovano numerose definizioni di medicina centrata sulla persona che mettono l’accento ora su di un aspetto ora su di un altro: assistenza biopsicosociale, assistenza attenta ai bisogni, ai desideri e alle preferenze del paziente, collaborazione paziente-medico, condivisione di responsabilità e decisioni, empowerment del paziente, eccetera. In sostanza, alla responsabilità che tradizionalmente la  medicina assume per il paziente si sostituisce una responsabilità verso il paziente e, dunque, mentre nel modello tradizionale gli obiettivi e il contenuto dell’intervento sono stabiliti dal provider (ossia dal personale sanitario) e l’utente rimane un passivo recettore, nel modello della MCP gli obiettivi dell’intervento sono definiti dall’utente e il contenuto dell’intervento risulta da una negoziazione fra il provider e l’utente che diviene così un attivo decisore.

Non vi è dubbio che la maggior parte dei sistemi sanitari non siano affatto person centred: in un classico studio condotto venti anni fa in Australia, Canada, Nuova Zelanda, Gran Bretagna e Stati Uniti su di un campione di 4000 pazienti in trattamento di lunga durata per una malattia cronica,  fra il 47 e il 67 per cento dei pazienti ha dichiarato che il medico non aveva chiesto la loro opinione a proposito del trattamento e fra il 51 e il 66 per cento  dichiarava che il medico non aveva mai discusso degli aspetti psicologici e emotivi legati alla esperienza di malattia (3). Questo studio mostra come malgrado si parli molto di una medicina centrata sulla persona, in realtà la grande maggioranza dei pazienti non la sperimentano e questo non tanto e non solo per la resistenza dei singoli medici ma per le caratteristiche del sistema sanitario tradizionale che non favorisce questo approccio: «La medicina centrata sulla persona è molto di più che un semplice atteggiamento empatico ma ha a che fare con la riorganizzazione del sistema sanitario» (4).

Ci si potrebbe domandare se davvero l’assenza o l’inadeguatezza di sistemi sanitari con una chiara orientazione verso la medicina centrata sulla persona costituisca davvero una deficienza grave, ossia se la MCP sia davvero una priorità in un mondo ove la questione centrale della salute è piuttosto quella dell’accesso ai trattamenti e la loro effettiva disponibilità più che quella dell’atteggiamento del sistema sanitario verso i propri utenti. Qualcuno potrebbe infatti pensare che, tutto sommato, la MCP è quella che in inglese si definirebbe una nicety ossia un piacevole miglioramento del sistema sanitario ma che non ne costituisca una sua essenziale caratteristica.

Le cose sono in realtà più complesse e il modello della MCP può, invece, determinare radicali mutamenti in positivo dei sistemi sanitari soprattutto quando essi si occupano delle malattie croniche e soprattutto quando essi operano al di fuori dell’ospedale. Infatti, per persone con una malattia cronica che richiedano non soltanto interventi medici di lunga durata ma anche assistenza psicologica e sostegno sociale la medicina centrata sulla persona non è un abbellimento del sistema ma una componente essenziale della sua equità, efficacia ed efficienza (5).

La medicina centrata sulla persona richiede tuttavia importanti trasformazioni a differenti livelli del sistema sanitario:

  • il livello degli utenti, delle loro famiglie e delle comunità in generale;
  • il livello del personale sanitario;
  • il livello della organizzazione dei servizi; e, infine,
  • il livello sistemico delle politiche sanitarie.

Per operare il cambiamento al livello degli utenti, delle famiglie e delle comunità sono essenziali gli interventi di educazione sanitaria che favoriscono non soltanto la conoscenza delle malattie ma promuovono nella comunità e nelle famiglie atteggiamenti di comprensione, solidarietà, tolleranza verso tutti i problemi connessi alle malattie. Ovviamente gli interventi rivolti alle comunità sono di natura generale mentre quelli che coinvolgono specifiche famiglie e utenti implicano anche informazione e educazione al self management delle malattie, al riconoscimento dei sintomi di aggravamento, alla gestione dei farmaci, alla interazione sia col sistema sanitario sia con i diversi settori che rappresentano il contesto abituale dell’utente (mondo della scuola, del lavoro, dei servizi sociali).

Per operare il cambiamento al livello del personale sanitario è necessario promuovere le capacità di comunicazione e interazione con gli utenti, addestrare il personale sanitario a concordare e pianificare gli interventi insieme all’utente. Nel caso di utenti con problemi severi di malattia mentale sarà anche necessaria una interazione con la famiglia e la messa a punto di strategie di collaborazione.

Per operare il cambiamento al livello della organizzazione dei servizi è indispensabile la coordinazione del personale sanitario di diversi servizi e di questi con i servizi sociali. Ovviamente tale coordinazione dipende dal livello di complessità e articolazione del sistema: in contesti a basso reddito magari un semplice coordinamento via radio fra operatori sanitari di primo livello dislocati in aree rurali remote con operatori di livelli più complessi può già costituire una efficace coordinazione. La questione di fondo è comunque quella della comunicazione e della coordinazione fra risorse sanitarie e altre risorse disponibili nella comunità. L’obiettivo fondamentale è quello di un sistema di servizi disegnato per i bisogni dell’utente e non di quelli del provider. Questa semplice affermazione se presa seriamente ha conseguenze significative sulla organizzazione dei servizi come, ad esempio, i loro orari di funzionamento e la possibilità di accesso ai servizi in ore compatibili con l’orario di lavoro di utenti e famigliari. La ubicazione geografica dei servizi, la organizzazione degli appuntamenti e delle liste di attesa, la permeabilità e il coordinamento fra servizi sanitari e servizi sociali e fra comunità e servizi, la trasparenza della comunicazione che deve essere accessibile, chiara, solidale, accogliente sono tutti elementi che assumono una importanza centrale nel servizio territoriale centrato sulla persona.

Infine, le politiche sanitarie devono essere ripensate e riformulate perché la medicina centrata sulla persona diventi non un episodio aneddotico ma una realizzazione sistemica. Tale rivisitazione delle politiche sanitarie deve avere al suo centro la questione dei diritti degli utenti e del loro reale empowerment ossia dei meccanismi giuridici e istituzionali che aumentino significativamente il potere decisionale degli utenti. Questa scelta ha ovvie implicazioni nella allocazione delle risorse che non solo dovranno spostarsi dall’ospedale alla medicina comunitaria ma anche dovranno essere sempre più legate alle risposte individualizzate che il sistema deve fornire agli utenti: è il budget che deve seguire il paziente e non il contrario.

Gli esempi di interventi biopsicosociali che combinano le dimensioni sociali e sanitarie dei problemi sono numerosi ma raramente sistemici ossia capaci di modificare il sistema sanitario in cui vengono realizzati. Si tratta infatti di esperienze puntuali, sperimentali, locali e generalmente confinate a singole patologie.

L’obiettivo sarebbe quello di trasferire la filosofia della medicina centrata sulla persona all’intero sistema sanitario perché si possano realizzare i necessari trasferimenti di risorse dal comparto ospedaliero a quello territoriale e perché il mutamento di atteggiamento e di procedure da parte del personale sanitario non rappresenti un fenomeno elitario ma generalizzato.

 

Benedetto Saraceno, Lisbon Institute of Global Mental Health

BIBLIOGRAFIA

1)    Kleinman A., Das V., Lock MM. Social Suffering.  University of California Press. Oakland, 1997.

2)    Coulter A., Oldham J. (2016). Person-centred care: what is it and how do we get there? Future Hosp J. 3(2): 114–116.

doi: 10.7861/futurehosp.3-2-114

3)   Blendon R., Schoen C., Des Roches C., Osborn R., Zapert K. (2003). Common Concerns amid Diverse Systems: Health Care Experiences in Five Countries. Health Affairs. 22(3), 106–21.

4)  Bauman A., Fardy HJ., Harris PG. (2003). Getting it right: why bother with patient-centred care? Medical Journal of Australia. 179, 253–256.

5)  Salvador Carulla L., Mezzich JE. (2012). Person-centred medicine and mental health. Epidemiology & Psychiatric Sciences. Jun;21(2):131-7.

doi: 10.1017/S204579601200008X.

 

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/11/la-medicina-centrata-sulle-persone/

 

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