La Torre di Babele: un monito sull’interoperabilità semantica nel sistema sanitario. di Angelo Rossi Mori

L’integrazione dei processi prevista dalle recenti normative richiede una corrispondente integrazione dei dati clinici, che dovranno essere di qualità, strutturati e completi, codificati accuratamente per molteplici usi all’interno di un sistema informativo pervasivo. Approfondiamo le relazioni tra interoperabilità sintattica e interoperabilità semantica rispetto alle infrastrutture di collaborazione in via di realizzazione


Nel precedente approfondimento sull’interoperabilità semantica, abbiamo visto che, alla luce del PNRR e del DM77, varie iniziative istituzionali hanno l’ambizione di porre le fondamenta delle infrastrutture tecnologiche per il Fascicolo Sanitario Elettronico, la Telemedicina e le reti di patologia. Queste infrastrutture saranno alimentate dai dati clinici forniti da una miriade di applicativi ospedalieri e territoriali, con l’apporto dei cittadino e del caregiver coinvolti nell’autocura.

Condividere i dati cinici obbliga a parlare una lingua comune

La coerenza tra i dati esige che tutti i professionisti coinvolti parlino lo stesso linguaggio; tuttavia, i dati di partenza registrati negli applicativi sono molto eterogenei.

Infatti, ogni professionista del settore sanitario e sociale – medici di medicina generale, specialisti, infermieri e tutti gli altri attori coinvolti – usa correntemente termini specifici per il proprio dominio, che rispondono ai propri bisogni informativi per prendere decisioni diagnostiche e terapeutiche. Questi termini, inseriti nei vari applicativi, sono destinati a confrontarsi all’interno di tre diverse infrastrutture, con scopi diversi, in un sistema sempre più interconnesso, simile alla Torre di Babele. Ma per garantire un’assistenza ottimale, tutti i professionisti che si prendono cura di un assistito, così come l’assistito stesso, dovranno gestire con efficacia informazioni chiare e coerenti.

Oggi, i sistemi informativi sanitari sono spesso frammentati e poco interoperabili.
Questo significa che può risultare difficile condividere i dati clinici prodotti dai diversi attori, causando errori, ritardi e cure inefficaci.
Gli applicativi, oggi, sono molto potenti, ma non possono ricostruire i dati mancanti, i dettagli non espliciti e le imprecisioni nella documentazione condivisa, come fanno i professionisti, perché non conoscono fisicamente l’assistito e non hanno il loro background culturale e la loro esperienza concreta.

Inoltre, al loro interno, le sfumature del linguaggio naturale non si prestano ad una elaborazione sicura ed efficiente, per cui usano dati codificati, ma il coesistere di diversi sistemi di codifica e la numerosità dei codici in ogni sistema per coprire i molti dettagli ritenuti opportuni nei vari contesti rendono difficile la condivisione dei dati clinici tra applicativi diversi.

La Torre di Babele rappresenta, quindi, una eloquente metafora sulla costruzione delle infrastrutture di integrazione dei dati clinici: una efficace soluzione per l’interoperabilità semantica diventa la chiave per assicurare che tutti parlino lo stesso ‘linguaggio’.

Interoperabilità Sintattica e Interoperabilità Semantica

FHIR (Fast Healthcare Interoperability Resources) è lo standard per lo scambio di dati sanitari sviluppato da HL7 (Health Level Seven International). Questo strumento viene universalmente riconosciuto, a livello mondiale, come il passo decisivo per risolvere i problemi di interoperabilità tra sistemi eterogenei, tanto che – spesso – si ritiene che sia la soluzione universale per qualsiasi problema di interoperabilità.

Tuttavia, la sua portata si limita all’interoperabilità a livello sintattico, che riguarda il formato standardizzato per trasmettere i dati da condividere.

Per i suoi scopi, FHIR gestisce in modo strutturato solo alcuni tipi di dati generali, come i dati essenziali per descrivere il cittadino, il professionista, la struttura, lo stato dei documenti e la loro articolazione in sezioni.
Invece, FHIR non si può occupare direttamente del livello semantico relativo ai dati clinici veri e propri, cioè della gestione dei concetti usati dai professionisti e dal cittadino nei processi di cura e di assistenza, e deve demandare il problema a vari sistemi di codifica, come LOINCICD-11SNOMED CT, o altri sistemi dedicati.
S’intende che poi questi dati, una volta codificati, saranno scambiati utilizzando la logica di FHIR.

I dati clinici richiedono precisione e completezza

L’interoperabilità semantica è legata al significato dei dati e, quindi, alla capacità di un professionista di utilizzarli in modo appropriato, indipendentemente dalla loro provenienza.

  • Un professionista, utilizzando la sua esperienza e la conoscenza del paziente (specialmente durante una visita in presenza) può anche tollerare qualche imprecisione od omissione sui dettagli dei dati a lui disponibili in un dato momento.
  • Un applicativo, Invece, ha bisogno di lavorare su un insieme ristretto di dati clinici di qualità, codificati al suo interno sempre nello stesso modo. Solo così può riuscire a gestirli: filtrarli per presentarli in modo efficace, verificare un intervallo di normalità o una relazione tra i dati, oppure ricostruire l’andamento di una variabile, calcolare un indicatore, attivare una routine.

Per esempio, due utenti utilizzano FHIR e SNOMED CT per condividere dati, ma osservano la stessa realtà con prospettive diverse: uno sceglie il codice 398819009 per “Diabetic foot at risk (situation)” e l’altro opta per 308106006 per “On examination-Left diabetic foot at risk (finding)”.

Solo il secondo utente specifica la lateralità (“left”), e i due codici non concordano sulla categoria (“situation” oppure “finding”). Entrambi i loro applicativi, grazie a FHIR, riescono a trasmettere correttamente i dati, ma non sempre sanno elaborare i codici non predisposti ricevuti.

Anche il ricorso ad un “Terminology Server”, per tradurre i codici da un sistema ad un altro, può incontrare difficoltà, dovuta al fatto che ogni autore determina i concetti (e quindi i codici) per scopi specifici; pertanto, i concetti sottostanti a questi codici possono non corrispondere esattamente tra di loro, per granularità e sfumature dei concetti sottostanti, rendendo difficile l’esecuzione di una mappatura precisa.

Occorre, quindi, trovare il modo, almeno per una massa critica di dati, per concordare a priori come usare i relativi codici (oppure, adottando un approccio ontologico indipendente dai codici, “a prova di futuro” come openEHR).

In particolare, il bisogno di una condivisione efficace dei dati clinici si fa sempre più pressante nel contesto della gestione a lungo termine delle malattie croniche e della fragilità, in cui vengono impiegati tre quarti delle risorse, la massa di dati da condividere per ogni assistito è enorme, il numero di autori coinvolti è notevole e le soluzioni tecnologiche sono da tempo disponibili.

Il ruolo dell’interoperabilità semantica nelle quattro componenti

Nello scorso approfondimento, abbiamo introdotto quattro componenti che dovrebbero condividere sottoinsiemi degli stessi dati clinici.

Vediamo in dettaglio il ruolo dell’interoperabilità semantica nelle quattro componenti.

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Le quattro componenti chiave per le quali urge assicurare l’interoperabilità semantica

GLI APPLICATIVI CHE GESTISCONO PROCESSI DI CURA ED I CRUSCOTTI MANAGERIALI
La prima componente riguarda i molti applicativi che supportano i processi di cura e di assistenza; i dati clinici vengono generati principalmente al loro interno, dai dispositivi medici connessi e da questionari sottoposti all’assistito. Con regole, autorizzazioni e formati opportuni, i vari sottoinsiemi di dati possono poi essere condivisi direttamente tra applicativi, oppure possono alimentare le piattaforme per poi essere consultati.

Per sfruttare il potenziale dei numerosi applicativi che generano e utilizzano un’enorme quantità di dati clinici, è necessario garantire che siano in grado di comunicare efficacemente con gli altri sistemi e le piattaforme, in modo preciso e senza ambiguità, facilitando così una condivisione dei dati efficiente e accurata.  Questi dati sono usati nelle interazioni tra gli attori che si prendono cura dell’assistito nel corso dei processi di cura e di assistenza e riguardano varie situazioni (che saranno descritte nei PDTA o nei PAI, auspicabilmente digitalizzati), tra cui visite mediche, esami di laboratorio, procedure diagnostiche, attività infermieristiche e assistenza domiciliare.

Anche l’assistito genera e usa dati clinici importanti, ad esempio attraverso questionari, dispositivi medici o attraverso canali sicuri per interagire con i professionisti.

Infine, gli stessi dati possono essere utilizzati dalle strutture sanitarie e sociali per monitorare e gestire l’evoluzione della salute degli assistiti, per alimentare sistemi di supporto decisionale e cruscotti manageriali o per scopi di ricerca.

L’INFRASTRUTTURA PER IL FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO 2.0
La Missione 1 del PNRR si concentra sulla realizzazione di una nuova infrastruttura del FSE 2.0, che dovrebbe ricevere le informazioni da varie fonti, consentendo in teoria agli operatori sanitari di avere una visione completa di tutti i dati dell’assistito a livello regionale e nazionale.
Questo potrebbe migliorare la qualità dell’assistenza, evitare duplicazioni di esami e procedure, e ridurre il rischio di errori medici.

Tuttavia, come visto, a parte il contenuto di alcuni documenti operativi dematerializzati (ad esempio, prescrizioni, referti, lettera di dimissione), al momento non sono stati evidenziati i dati clinici che occorre condividere in modo strutturato nel corso di un determinato processo di cura, né come si possa ottenere una interoperabilità semantica pervasiva.

L’INFRASTRUTTURA PER LA TELEMEDICINA
La Telemedicina è diventata recentemente una componente essenziale per migliorare l’accesso all’assistenza, aumentare l’efficienza e ridurre i costi. Una volta attivati i servizi previsti, le piattaforme in via di realizzazione con il PNRR permetteranno l’erogazione di attività a distanza, attraverso televisiteteleconsulto e telemonitoraggio, integrate a pieno titolo nei PDTA.

Questo offre accessi più facili e frequenti alle cure, specialmente per gli assistiti che vivono in aree remote o che hanno difficoltà a recarsi fisicamente in ospedale o in ambulatorio.

Tuttavia, finora non si è manifestata un’attenzione su quali sottoinsiemi di dati dovrebbero essere condivisi in ogni specifica situazione nel corso di un particolare processo di cura, rispetto alle dinamiche dei PDTA e del PAI.

LE PIATTAFORME PER LE RETI DI PATOLOGIA
Per ogni patologia è possibile progettare, nel rispetto della privacy, una rete informatica per supportare il coordinamento e la gestione dell’assistenza a livello locale o regionale.

Si può prevedere un’anagrafica di riferimento dei pazienti, la condivisione selettiva dei dati clinici, il repertorio dei servizi disponibili nei diversi centri coinvolti con le rispettive liste d’attesa, le prenotazioni di pacchetti di servizi con l’invio di eventuali richiami, il monitoraggio delle attività previste ed eseguite, il controllo delle interazioni tra farmaci.

Si possono creare mappe epidemiologiche georeferenziate e gestire cruscotti per allocare risorse, ridurre le liste d’attesa, ottimizzare i percorsi di cura e assistenza, riconoscere i colli di bottiglia e simulare soluzioni. La rete può adottare dati e indicatori legati alla patologia coinvolta, derivati dalla letteratura scientifica, dai PDTA, da trial clinici e dall’esperienza pratica, in aggiunta ai dati previsti per i rispettivi registri di malattia.

L’interoperabilità semantica, fulcro dell’ecosistema della salute

In sintesi, ognuna delle quattro componenti può utilizzare determinati dati strutturati per offrire servizi a valore aggiunto ai professionisti ed ai cittadini.

Urge un intervento deciso per garantire che l’interoperabilità semantica diventi una priorità indifferibile nella nostra agenda sanitaria: solo la condivisione coerente tra le quattro componenti di una massa critica dei dati clinici più rilevanti permetterà di affrontare la trasformazione dirompente messa in moto dal PNRR, dal DM77 e dalle altre policy istituzionali.

L’approccio di medio periodo proposto da chi scrive – che analizzeremo nei prossimi approfondimenti – prevede di agire inizialmente sulle reti delle principali patologie croniche, in modo che l’interoperabilità semantica non rimanga un concetto astratto, ma diventi il perno di un’assistenza sanitaria e sociale finalmente centrata sull’assistito, pronta a rispondere con efficacia ed efficienza alle sfide del futuro.

Tuttavia, il cammino in questa direzione non sarà privo di ostacoli.
Sarà richiesto un notevole sforzo congiunto da parte di tutti gli attori coinvolti, che includono i fornitori di software, le autorità sanitarie, i professionisti del settore e gli assistiti.

E, comunque, la vera innovazione per ottenere una interoperabilità semantica efficace non è nel software, negli standard o nelle infrastrutture, ma nella motivazione, maturità e capacità di collaborare con efficacia tra i professionisti, insieme all’assistito.

Nota
Questo approfondimento è il secondo di una serie rivolta a fornire un contributo sulle questioni fondamentali che riguardano l’uso di terminologie e codifiche per favorire l’interoperabilità semantica nei processi integrati di cura e assistenza e, più in generale, la collaborazione tra un pool di professionisti e con il cittadino.
Qui trovate il primo approfondimento.

fonte: https://www.healthtech360.it/salute-digitale/big-data/interoperabilita-semantica-sanita/

l’Autore: Angelo Rossi Mori – Ricercatore IRPPS-CNR – Strategie su Salute in Rete

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