Pschiatria, superare la contrapposizione tra “organicisti” e “ambientalisti” . di Pietro Pellegrini

Gentile Direttore,
Quale psichiatria per quali pazienti? si chiede il collega Renato Ventura (QS 19 dic. 2023) mettendo in evidenza due psichiatrie: una biologica attenta alle neuroscienze ed una psichiatria basata sul modello biopsicosociale, culturale e ambientale secondo le linee dell’OMS.

Nella pratica la prima restringe il campo di competenza, si orienta a praticare la “clinica” ed una terapia fondata sugli psicofarmaci, in attesa di markers che possano orientare l’attività. Una psichiatria medica “con il camice” che pure coglie la rilevanza dei problemi psicologici, sociali e di vita ma non li considera di propria specifica competenza rimandandone la soluzione ad altri o al paziente stesso, limitandosi al più alla psicoeducazione del paziente e dei familiari alla gestione del disturbo visto in primis come fatto soggettivo e privato: una presa in cura parziale e selettiva.

Il modello biopsicosociale vede il disturbo nel suo insieme e propone interventi complessi, non solo biologici ma anche psicologici e sociali, sempre più strutturati anche tecnicamente. Interviene, per quanto possibile, sulle condizioni di vita e sul contesto sociale. Una psichiatria “senza camice” che pure utilizza ampiamente gli psicofarmaci e tende ad inscrivere il disturbo della persona in un contesto pubblico, di welfare universale e prevede la partecipazione e dal protagonismo degli utenti e delle famiglie portando talora a prese in carico globali ed esclusive. Una psichiatria che considera le condizioni di vita come base essenziale e premessa di ogni cura.

La salute mentale come componente essenziale della salute che è un bene individuale e relazionale, della persona e competenza di tutti gli operatori sanitari e sociali. Quindi la pratica psichiatrica va sviluppata a diversi livelli con crescenti competenze e intensità di cura, che vede il disturbo come parte della persona nelle sue relazioni familiari e di comunità.

Una complessità che, in una visione olistica, deve tenere sempre conto dei disturbi psichici e somatici (delle loro interazioni, del loro trattamento, degli stili di vita vista la premorienza delle persone con disturbi mentali gravi), del vissuto e funzionamento, del ruolo psicosociale (Disease, Illness e Sickness). I diritti e doveri della persona non devono mai essere diminuiti in relazione alla presenza di un disturbo ed eccettuato il TSO, nessun trattamento deve essere imposto (“Nulla su di me senza di me”) come prevede la legge 219/2017 e la legge 18/2009 Ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Un tema che fa fatica ad affermarsi vista la ridotta diffusione delle pratiche “no restraint” e il riaffacciarsi di idee e proposte (“Vincoli di cura”) che vedono come essenziali coercizione e limitazione della libertà. Ancora situazioni nelle quali le persone con disturbi mentali sono private dei diritti di cittadinanza e dovrebbero “abitare” solo i servizi di salute mentale mentre per la salute della persona e il benessere sociale è essenziale la collaborazione interistituzionale. Infine, la ricerca su processi ed esiti può evidenziare la reale efficacia dei diversi interventi, promuovere una cultura epidemiologica e creare conoscenze nuove a partire dalla (ri)definizione epistemologica e psicopatologica dei disturbi mentali e della loro base biologica, psicologica e socioambientale e giungere così a diagnosi e cure sempre migliori.

fonte: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=119160

Pietro Pellegrini, Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Ausl di Parma
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