Una resistenza popolare per difendere la Costituzione. di Massimo Villone

Intervista di Roberta Lisi (Collettiva) al costituzionalista Massimo Villone 

Meloni afferma che tra le ragioni alla base delle riforme c’è la necessità di garantire stabilità e governabilità. Due principi così fondamentali da imporre lo stravolgimento della Costituzione?

Certamente non lo sono. E in ogni caso, ingovernabilità e instabilità non risiedono nel rapporto tra organi costituzionali, nella forma di governo e non si correggono con l’ingegneria istituzionale. Basta guardare quel che succede oggi, le ragioni dell’instabilità sono dentro la maggioranza di governo sono nella coalizione, sono nella competizione fra partner di coalizione e quindi non c’è nessun marchingegno istituzionale che può risolvere il problema. Se questi sono gli obbiettivi del premierato, è una riforma sbagliata anche dal punto di vista di Meloni.

Altro argomento che Meloni porta a sostegno della riforma è che con il presidenzialismo si restituirebbe il potere al popolo di scegliere chi governa. È davvero così?

Altro che restituire potere al popolo. Si vivrebbe un giorno da leoni e 5 anni da pecora. In realtà gli elettori sceglierebbero sempre fra candidature che vengono da oligarchia di partito, quindi una scelta per modo di dire, e poi per 5 anni si dovrebbe starebbe zitti senza disturbare il manovratore. Questo è quello che si vuole ottenere: chi vince siede a Palazzo Chigi per 5 anni senza essere disturbato, tanto è vero che se qualcuno disturbasse, con il simul stabunt simul cadent tanto caro a Meloni, si andrebbe tutti a casa. Questo modello è tutto il contrario della partecipazione democratica alla base della Costituzione, che si realizza attraverso meccanismi di rappresentanza per cui non si sceglie chi governa ma chi ci rappresenta e porta, tutti i giorni non 1 ogni 5 anni, la nostra voce nei luoghi in cui si decide. Questa è la è la filosofia che sta alla base della Costituzione, non quella che dice Giorgia Meloni.

 

 

L’articolo 1 afferma che la sovranità appartiene al popolo. In realtà lo svuotamento del Parlamento, luogo della sovranità popolare, però è già in atto.

Certamente è già in atto, purtroppo, perché questa filosofia della stabilità e della governabilità ha infettato – mi permetto di dire – anche un pezzo della sinistra da almeno una trentina d’anni a questa parte e non si è mai pensato, invece, di garantire i meccanismi della rappresentanza politica e della partecipazione democratica attraverso leggi elettorali adeguate che consentano la scelta di chi ci rappresenta, e da partiti politici che garantiscano – appunto – la partecipazione democratica. Avremmo bisogno per fare una riforma seria della legge elettorale, secondo me in senso proporzionale perché è intollerabile che chi vince lo fa nei numeri ma non nel consenso popolare effettivo, di una legge sui partiti politici e di una sul recupero del finanziamento della politica che consentano governabilità e trasparenza attraverso i meccanismi della partecipazione democratica. Queste sarebbero le tre riforme che veramente potrebbero rimettere in asse il nostro sistema. Purtroppo da trent’anni a questa parte si fa l’esatto contrario, nonostante i risultati siano pessimi. Abbiamo sperimentato che le trasformazioni maggioritarie che volevano stabilizzare e garantire governabilità ed efficienza decisionale hanno attenuto risultati contrari. Oggi tutti i ritardi sono dentro i meccanismi di governo, non nel rapporto tra governo e opposizione in Parlamento, non nel lavoro parlamentare lento. È la maggioranza che non riesce a fare il suo mestiere.

Pochissimi giorni fa è stato eletto il nuovo Presidente della Corte costituzionale. Barbera, nel discorso di insediamento, ha richiamato l’attenzione su quello che ha definito obbrobrio, il numero elevatissimo di decreti legge, di fiducie e di maxi emendamenti ai decreti legge.

È proprio questo modo di procedere che è espressione di una concezione malata della governabilità e dell’efficienza decisionale della stabilità. L’Italia dei cosiddetti governicchi, quella della prima Repubblica, era assai più governata dell’Italia del maggioritario. Se guardiamo la nostra storia, vediamo che le decisioni importanti che hanno cambiato il volto del Paese, dalla nazionalizzazione dell’energia elettrica allo Statuto dei lavoratori alla Legge sul divorzio, sono state tutte fatte dall’Italia dei governicchi, mentre invece questa Italia del maggioritario, votata alla governabilità e alla stabilità, non riesce a produrre niente di significativo. È chiaro che c’è una degenerazione dei meccanismi in atto, ma si sceglie la via sbagliata per correggere queste degenerazioni, la toppa è peggio del buco. La strada maestra è un’altra, bisognerebbe tornare ai fondamentali e ripristinare un’effettiva capacità rappresentativa del Parlamento e un’effettiva soggettività reale, radicata, strutturata sul territorio dei corpi intermedi. In realtà l’unico corpo intermedio ancora in qualche misura funzionante è proprio sindacato.

Vorrei tornare un momento sulla questione della legge elettorale. A metà degli anni 20 il Parlamento approvò una legge elettorale maggioritaria con un premio di maggioranza altissimo per quei partiti o quelle coalizioni che avessero preso più del 25% dei voti, con quel sistema elettorale Mussolini si prese il Paese. Meloni in Costituzione vorrebbe mettere un premio di maggioranza al 55% dei seggi senza soglia di accesso.

Un’idea palesemente incostituzionale, la Corte è già intervenuta proprio sulla mancanza di soglia. Ma il punto centrale non è questo, e probabilmente verrà corretto visto che anche costituzionalisti di destra hanno mostrato perplessità sostenendo sia una esagerazione nemmeno necessaria. Il punto di fondo, la manomissione grave è l’elezione diretta del presidente del consiglio, è qui che risiede il capovolgimento del sistema rispetto all’impianto attuale, l’introduzione di una soglia per ottenere il premio di maggioranza non renderebbe accettabile il disegno. È bene capirlo perché il disegno di Giorgia Meloni punta alla verticalizzazione del potere e all’emarginazione delle camere e alla riduzione della capacità dei corpi intermedi di interagire con chi decide. Se passa questo disegno, quei 5 anni di silenzio non sono solo il silenzio dei cittadini singoli, sono anche il silenzio dei corpi intermedi, anche il silenzio, ad esempio, del sindacato. Sarebbe una concentrazione del potere, una riduzione degli spazi di democrazia e di partecipazione democratica. Questo il disegno di fondo che cambierebbe profondamente il Paese. Meloni farà di tutto per approvare questa riforma e noi dobbiamo puntare sul referendum per fermarla.

Cosa succederebbe se venissero approvate contemporaneamente premierato e autonomia differenziata.

Diventeremmo un paese del tutto diverso da quello che conosciamo, un paese nel quale personalmente non mi piacerebbe davvero vivere. Riduzione degli spazi di democrazia da un lato, frantumazione dell’unità della Repubblica, perché non c’è modo di mantenere l’unità della Repubblica con l’autonomia differenziata, dall’altro. Si frantuma e riduce l’eguaglianza, si riduce la tutela dei diritti. Insomma, sarà un paese in cui, ripeto, sarà sgradevole vivere. Occorre organizzare una nuova resistenza popolare per difendere e attuare la Costituzione. Occorre radicare di nuovo la Costituzione che si è indebolita quando si è dissolto il sistema politico che l’aveva generata. Occorre far crescere la consapevolezza che la Costituzione ci è utile, ci rende più forti, ci fa stare meglio, favorisce la crescita economica, favorisce lo sviluppo.

Massimo Villone
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