Ospedali di Comunità in Lombardia: rischi di un passaggio al privato. di Angelo Barbato, Fulvio Lonati

Ospedali di Comunità in Lombardia: l’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie teme che ormai sia in atto un passaggio di mano al privato

La notizia è di quelle che non ha fatto tanto clamore sulla stampa e sui media, ma di per sé può introdurre una svolta significativa nella riorganizzazione dell’assistenza territoriale in atto e nel ruolo che il privato vi può giocare.

Si tratta della Delibera XII/1435/27.11.2023[1] approvata il 27/11/2023 scorso da Regione Lombardia. Questa delibera specifica ulteriormente quanto indicato da Regione Lombardia sugli Ospedali di Comunità nella precedente Delibera XI/6760/2022[2], che ha recepito gli indirizzi del Decreto Ministeriale 77/2022 riguardante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale. A tale proposito, giova ricordare che il Decreto Ministeriale aveva specificato che “l’ospedale di comunità è una struttura sanitaria di ricovero che afferisce alla rete di offerta dell’assistenza territoriale e svolge una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero”. Quanto alla sua collocazione poteva avere una sede propria, essere collocato in strutture sanitarie polifunzionali oppure in una struttura ospedaliera, ma doveva essere “sempre riconducibile ai servizi compresi nell’assistenza territoriale distrettuale”. A questo proposito il documento di indirizzo elaborato da AGENAS sul metaprogetto per l’Ospedale di Comunità precisava comunque che, tendenzialmente, avrebbe dovuto essere inserito nella struttura dove sarebbe stata collocata la Casa della Comunità favorendo in questo modo l’efficacia del servizio per utenti e operatori.

Leggendo la nuova delibera regionale non viene messa in evidenza con sufficiente risalto e come priorità la necessità che l’Ospedale di Comunità sia un servizio territoriale-distrettuale, mentre l’elenco dei requisiti funzionali, tecnologici e organizzativi richiesti sembra orientare verso una sua collocazione preferenziale all’interno di ospedali per acuti. Questa tendenza era già stata notata dal Rapporto OASI del CERGAS del 2022, che aveva esaminato la fase iniziale della programmazione degli Ospedali di Comunità in alcune aziende sanitarie della Lombardia. Un esame dei progetti realizzati o in corso per l’attivazione delle strutture finanziate nel quadro del rinnovamento delle Cure Primarie conferma ciò in quanto, per una parte sostanziale degli Ospedali di Comunità, si prevede la loro realizzazione in ambito ospedaliero.  È chiaro che tale collocazione configura di fatto gli Ospedali di Comunità come “reparti ospedalieri” più che servizi territoriali, destinati così a funzionare, in modo ancillare, da appendici dei reparti per acuti che ne diventerebbero i principali utilizzatori al fine di accelerare o parcheggiare le dimissioni “scomode”. Riteniamo invece che l’Ospedale di Comunità dovrebbe essere un servizio rigorosamente distrettuale, non ospedaliero o residenziale; in altre parole dovrebbe dare una risposta concreta e temporanea a quelle situazioni dove il contesto familiare-abitativo non è in grado di far fronte a problemi di salute emergenti che non richiedono intensità assistenziali da ospedale per acuti ma che, se il contesto è in grado di garantire un livello di presenza-assistenza adeguato, possono essere risolte a casa. L’Ospedale di Comunità si deve configurare quindi come un “appoggio domiciliare transitorio” e, soprattutto, l’attenzione dovrebbe essere tutta orientata ad organizzare “il dopo”, non tanto “il presente durante la permanenza”. Certamente una struttura privata esterna ad una logica territoriale di “Distretto” e di “Casa della Salute/Comunità” non può avere questa visione, ma avrà solo l’obiettivo di incamerare la remunerazione per ogni giorno di “ricovero” e per ogni “cliente”: quindi cercherà di tenere i “posti pieni”, con ricoveri più lunghi possibile… e per quello che accade dopo la dimissione: “Qualcun altro ci penserà”.

Tutto ciò è aggravato da un ulteriore problema. La delibera afferma in premessa che lo sviluppo degli Ospedali di Comunità va inquadrato anche nell’ambito della “rete dei gestori privati accreditati di strutture sanitarie” ed avvia i bandi per manifestazioni di interesse rivolte ad enti pubblici e privati interessati all’assegnazione e contrattualizzazione di posti letto di Ospedali di Comunità. Viene anche stabilita una tariffa giornaliera per la remunerazione dei ricoveri da parte della Regione, pari a 154 Euro per i primi 30 giorni, con successive riduzioni in caso di prolungamento della degenza. I requisiti previsti di fatto sono difficilmente percorribili dal pubblico, favorendo così gli enti privati, che gestiscano sia attività ospedaliere, sia strutture socio-assistenziale, come le RSA. Se si considerano non solo gli ospedali ma anche le RSA, che in Lombardia sono quasi totalmente di natura privata, si capisce quanto questa possibilità risulti allettante per una vasta platea di soggetti privati che operano nel mercato dell’assistenza.

In tal modo non solo si darebbe il via alla privatizzazione di un importante servizio delle Cure Primarie, riducendo un presidio di comunità che dovrebbe essere completamente integrato nell’attività distrettuale e delle Case della Comunità, a erogatori di prestazioni svincolati da qualsiasi programmazione territoriale e da obiettivi di salute. Questo riguarderebbe in parte anche le strutture a gestione pubblica, indotte in tal modo a funzionare anch’esse secondo una logica privatistica, in concorrenza con le private.

In realtà, a difesa della Regione Lombardia, si potrebbe obiettare che tutto questo era già stato previsto. In effetti, cercando nelle pieghe di una voluminosa delibera del maggio 2022, cioè quasi due anni fa, dal titolo neutrale “Determinazioni in ordine agli indirizzi di programmazione per l’anno 2022”[3], si poteva trovare nell’allegato 7 un’anticipazione in poche righe di quanto poi è emerso alla fine del 2023. Veniva infatti indicato che sarebbe stata aperta la contrattazione per erogatori pubblici e privati accreditati di 220 posti letto in 11 Ospedali di Comunità per un totale di 40 distribuiti nelle ATS della Lombardia.

Allora pochi avevano notato questa clausola, ma ora appare chiaro che si trattava di un preannuncio di un progetto più ampio di una vasta privatizzazione delle Cure Primarie di cui ora vediamo gli sviluppi e la portata.


A nome dell’Alleanza per la Riforma delle Cure Primarie in Italia

Angelo Barbato, Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS

Fulvio Lonati, Associazione APRIRE – Assistenza Primaria In Rete – Salute a Km 0

[1] https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/istituzione/Giunta/sedute-delibere-giunta-regionale/DettaglioDelibere/delibera-1435-legislatura-12

[2] https://www.regione.lombardia.it/wps/portal/istituzionale/HP/istituzione/Giunta/sedute-delibere-giunta-regionale/DettaglioDelibere/delibera-6760-legislatura-11

[3] https://www.regione.lombardia.it/wps/wcm/connect/e4d27983-0943-43ff-86d7-7475805fd2d1/DGR+6387+del+16+maggio+2022.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=ROOTWORKSPACE-e4d27983-0943-43ff-86d7-7475805fd2d1-oRAnmKn

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