I DETERMINANTI COMMERCIALI DELLA SALUTE: come influiscono sulla salute e l’equità

Il modello dei Determinanti commerciali della salute

Con Commercial burden of disease, si fa riferimento ad una stima del carico globale di malattia (Global burden of disease – GBD) attribuibile ai prodotti e alle pratiche del settore commerciale. Sebbene una stima precisa sia impossibile, per il numero esiguo di dati esaurienti e di studi specifici, tuttavia dal GBD del 2019 emerge un dato che desta allarme: quattro industrie (alcol, tabacco, alimenti ultra processati e combustibili fossili) sono responsabili di almeno un terzo dei decessi globali ogni anno e probabilmente i numeri sono sottostimati. E non sono solo i prodotti ma anche le pratiche messe in atto dagli enti commerciali a causare danni alla salute e ad aumentare le disuguaglianze in un paese e tra paesi.

Ai legami complessi e spesso negativi tra il settore commerciale e la salute si fa riferimento con l’espressione Determinanti commerciali della salute, in inglese Commercial Determinants of Health (CDOH l’acronimo che verrà utilizzato).

Nonostante l’urgenza del problema non esiste ancora una definizione chiara e accettata di CDOH e tale assenza inibisce la ricerca e l’azione politica. L’articolo di Gilmore e colleghi sviluppa una definizione ampia e consensuale di CDOH: sistemi, pratiche e vie tramite cui gli attori commerciali promuovono la salute e l’ equità. La definizione abbraccia tutte le entità commerciali (dalla piccola impresa alle grandi multinazionali2) e ne riconosce la diversità, usa il termine attori in riferimento a tutte quei soggetti che agiscono a supporto delle entità commerciali, è neutra in quanto riconosce che il contributo a salute ed equità può essere sia negativo che positivo.

L’articolo inoltre propone un modello concettuale dei Determinanti commerciali della salute che riprende e illustra la definizione e la natura sistemica del problema.

Figura 1: Modello dei Determinanti Commerciali della Salute (Commercial Determinants of Health – CDOH)

Si compone infatti di due sistemi in interazione reciproca: il cerchio, in alto a sinistra rappresenta il sistema commerciale che si focalizza sugli enti commerciali, le strategie di crescita e i modelli di business che, a loro volta, si concretizzano nelle pratiche (configurate da cerchi intersecati).

Il semicerchio rappresenta invece il sottosistema dei determinanti della salute e riprende e rielabora modelli già esistenti, ma mette in evidenza i percorsi attraverso i quali gli attori commerciali influenzano la salute. In particolare, riprendendo il modello di Dahlgren e Whitehead, sottolinea come la salute di un individuo (posta al centro) è influenzata da una serie di fattori multilivello, che si estendono ben. oltre il controllo dell’individuo. Sono innanzitutto fattori strutturali – politici ed economici – e ambientali – che modellano e limitano i comportamenti individuali, i livelli di esposizione e le pratiche salutari – e entrambi hanno un impatto finale sulla salute e sull’equità.

Norme, potere e esternalità sono tre fattori chiave al centro dei CDOH, si tratta di controlli all’interno del sistema e riflettono l’equilibrio di potere tra interessi pubblici e commerciali,

equilibrio che gioca un ruolo cruciale nel determinare in quale misura il settore commerciale ha effetti positivi o negativi sulla salute.

Il modello è corredato di frecce di diverso significato: le frecce nere, diritte o circolari, segnalano la complessa natura interattiva del sistema, le frecce dritte mostrano come gli attori commerciali influenzano i sistemi politici ed economici e ne sono, a loro volta, influenzati, le frecce circolari rappresentano i crescenti danni alla salute che possono verificarsi se le norme, il potere e le esternalità vengono lasciati senza controllo.

Il sistema che attualmente prevale ed è ben configurato dal modello è un sistema patologico secondo cui attori commerciali sempre più potenti possono influenzare a proprio vantaggio il sistema politico ed economico che a sua volta concede piena autorità, invece che porre limiti e regole efficaci agli attori commerciali, accrescendo il loro potere di esternalizzare i costi a terze parti. Ne consegue che i costi dei danni causati dalla produzione, dal consumo e dallo smaltimento dei prodotti delle imprese e multinazionali (ad esempio, per curare le malattie non trasmissibili che causano, per affrontare i danni sociali dell’alcol e del gioco d’azzardo e per smaltire perdite di petrolio e rifiuti di plastica) sono a carico degli stati, delle famiglie e degli individui colpiti. Sostenere questi costi riduce i bilanci statali e individuali destinati alla casa, alla salute, al welfare, alle organizzazioni della società civile e così via, recando ulteriori danni alla salute. Le grandi imprese invece godono di utili in eccesso e lo squilibrio di potere continua a crescere, secondo un andamento circolare che alimenta e perpetua il problema (come rappresentato dalle frecce circolari nere nella figura 1 ). Se questo stato di cose a livello di sistema non sarà riconosciuto e affrontato, salute precaria e disuguaglianze di salute continueranno a crescere, causando enormi danni economici e sociali.

Le pratiche del settore commerciale e gli effetti negativi sulla salute

La salute subisce danni più o meno gravi quando le entità commerciali si impegnano in pratiche e influenzano le norme che servono a rendere le loro esigenze prioritarie rispetto alla protezione della salute, dell’ambiente o della coesione sociale.

Il modello CDOH identifica sette pratiche che interagiscono e si rafforzano a vicenda: politica, scienza, marketing, filiera di produzione e scarto, lavoro e occupazione, gestione finanziaria e inerente alla reputazione. Ognuna delle pratiche se non è regolamentata in modo adeguato danneggia la salute in modo talvolta occulto e indiretto mediante traiettorie differenti, più upstream, che influenzano i sistemi politico ed economico o invece downstream, direttamente indirizzate al consumo a all’accesso a servizi e prodotti.  I danni più sostanziali riguardano le grandi imprese multinazionali e transnazionali, abili ad esercitare potere e influenza e meno chiamate a spiegare e giustificare il loro operato nei paesi a basso e medio reddito.

Ovviamente, come risulta dal modello, entro ciascuna categoria di pratica le attività possono variare da legali o etiche ad illegali o non etiche, mentre molte attività si collocano in una zona grigia intermedia.

La tabella 2 sintetizza le pratiche con esempi dei loro effetti negativi sulla salute

Pratiche Esempi di effetti negativi
Pratiche Politiche

 

Il settore commerciale cerca di garantire un trattamento preferenziale o di prevenire, modellare, eludere o indebolire le politiche pubbliche (o una combinazione di quanto sopra), in modi che favoriscono gli interessi aziendali, attraverso la diretta partecipazione o attività di lobbing, costruzione di gruppi elettorali di supporto, minacce di azioni legali.

L’industria del tabacco minaccia d’abitudine, talvolta contesta legalmente, la legislazione, usando il suo potere per esercitare un effetto dissuasivo: nei paesi a basso e medio reddito, spesso ottiene il sostegno del governo, pagando somme ingenti di danaro.

 

Pratiche scientifiche

 

Le multinazionali influenzano la fase di produzione di evidenze scientifiche, disseminazione e uso per alterare i prodotti o garantirsi risultati favorevoli.

Nel 2015 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha classificato il glifosato come “probabilmente cancerogeno per l’uomo”. 79 La Monsanto ha continuato a sostenere che il suo erbicida a base di glifosato è sicuro e documenti interni rivelano che l’azienda ha cercato di influenzare il dibattito scientifico. Il controllo sul processo scientifico è avvenuto a più livelli. Ad esempio, tentando di influenzare le decisioni editoriali e distorcendo il processo di revisione paritaria e coinvolgendo scienziati che firmavano rapporti scritti da ghost writer della Monsanto che venivano poi pubblicati su riviste scientifiche. 80 L’obiettivo era sia screditare la decisione della IARC, sia impedire ad altre agenzie di regolamentazione di condurre una rivalutazione del glifosato. 81

 

Pratiche di marketing

 

Hanno l’obiettivo di promuovere la vendita di prodotti o servizi, aumentando la domanda e i consumi, modificando l’ambiente fisico e le informazioni, indirizzandosi a specifiche aree geografiche o a gruppi di popolazione vulnerabili, con l’aumento delle disuguaglianze strutturali.

La normalizzazione del fumo nei giovani è stata facilitata dalla campagna pubblicitaria delle sigarette Camel, in cui Joe Camel aveva, tra gli adolescenti, quasi la stessa popolarità e apprezzamento di Mickey Mouse.

 

Pratiche della filiera di produzione, distribuzione e scarto di prodotti e servizi

 

Possono avere un impatto molto negativo sulla salute umana e del pianeta. Ad esempio le compagnie petrolifere spesso saccheggiano l’ambiente e esternalizzano i costi della ricostruzione. Le comunità locali (frequentemente popolazioni indigene o svantaggiate) vengono abbandonate a vivere in queste aree desolate, con conseguenze importanti per la salute fisica e mentale. Regolamentazioni poco severe, favorite da pratiche politiche che abbattono standard e costi, causano danni all’ambiente in particolare nei paesi a basso e medio reddito.

Ad esempio lo stabilimento per imbottigliare la Coca Cola in Kerala, aperto nel 2000, ha provocato la contaminazione delle falde acquifere e dispersione di sostanze tossiche. Lo stabilimento è stato chiuso ma la popolazione locale non ha mai ricevuto un completo risarcimento.

 

Pratiche del lavoro e dell’occupazione

 

Gli attori commerciali cercano attivamente modi per destabilizzare, esternalizzare e delocalizzare la responsabilità degli aspetti più costosi della produzione. Ciò, reso possibile da un indebolimento della regolamentazione del mercato del lavoro, ha portato a una serie di condizioni e pratiche di lavoro inique, che colpiscono in modo sproporzionato i lavoratori a basso reddito, soprattutto nei paesi a basso reddito, con gravi ricadute per la salute fisica e mentale.  Gli esempi includono: una crescita della schiavitù moderna e dei contratti informali o a zero ore che non garantiscono né stabilità né reddito, l’aumento del lavoro minorile nelle miniere con enormi danni fisici, psicologici e sociali. Il calo di coperatura sindacale nel settore privato ha ridotto la capacità dei lavoratori di proteggersi contro politiche e pratiche che indeboliscono la sicurezza sul luogo di lavoro, con un aumento degli infortuni. Un esempio: gli incidenti mortali dell’industria mineraria in Sud Africa, quattro volte superiori che in Australia, sono ascrivibili ad una più debole legislazione in tema di salute e sicurezza occupazionale.

 

Pratiche finanziarie Elusione e evasione fiscale da parte delle imprese stesse che non pagano le imposte ai paesi in cui hanno sede – nel caso delle accise, le aziende che ne sono soggette esercitano una forte pressione per ottenerne la riduzione – fusioni e acquisizioni per ridurre la competizione e togliere dal mercato prodotti di livello più alto o più sani, fare cartello tra aziende affini per fissare un livello dei prezzi al rialzopromuovere credito e debito, frodi contabili e mobiliari. Attraverso mutui, carte di credito e prestiti, il settore finanziario ha incoraggiato il debito dei consumatori, oltre le loro possibilità, per garantirsi che nonostante il reale calo dei redditi si possa continuare a spendere. A fronte della crisi del settore finanziario gran parte dei paesi ha sborsato ingenti somme per salvare le banche, con tagli alla spesa sociale e effetti negativi sul benessere, in particolare per i meno abbienti.

 

Pratiche di gestione della reputazione

 

·         (1) Responsabilità sociale delle imprese che si impegnano a sostenere le norme etiche e ad astenersi dal causare danni. Sebbene alcuni di questi sforzi abbiano effetti reali e significativi, spesso contribuiscono più alla costruzione della reputazione delle imprese che a generare benefici reali per la società. La responsabilità sociale delle imprese è maggiormente chiamata in causa dalle aziende i cui prodotti principali sono dannosi. Un esempio: in Grecia, dopo che la multinazionale del tabacco Philip Morris International ha donato ventilatori in risposta al COVID-19, il suo amministratore delegato è stato invitato a partecipare a una tavola rotonda della Camera di commercio sul vaccino COVID-19 insieme al Primo Ministro greco, in violazione dell’articolo 5.3 della Convenzione quadro sulla lotta al tabacco. Eppure il coinvolgimento di Philip Morris International nel contrabbando di tabacco che coinvolge le isole greche e il suo più ampio coinvolgimento nell’elusione fiscale, sono entrambi documentati e probabilmente hanno privato il governo greco di ingenti entrate.

(2) L’istituzionalizzazione dei partenariati pubblico-privato, in cui stato e attori commerciali sono “coinvolti in reti di governance multilivello con deboli meccanismi di enforcement e mancanza di controllo democratico”. Il Global Compact delle Nazioni Unite, nonostante l’autorevolezza riconosciuta a livello globale non è riuscita a indurre le aziende partecipanti a potenziare i propri sforzi in materia di responsabilità sociale di impresa. Una revisione conclude che, nonostante siano “onnipresenti laddove si tratta di salute globale […], i partenariati pubblico-privato minano il tentativo di migliorare significativamente la salute globale”.

 

Numerose prove dimostrano che le imprese transnazionali di diversi settori non solo si impegnano nelle stesse pratiche, ma spesso lavorano anche collettivamente condividendo l’interesse ad intralciare progetti di legge quali la tutela dei consumatori e la riforma del diritto del lavoro e ad attuare una legislazione fiscale, regolamentazione e antitrust favorevoli.

Le pratiche politiche, scientifiche e di marketing causano innanzitutto danni alla salute, potenziando il consumo di prodotti potenzialmente dannosi, o in modo diretto o consentendo alle multinazionali di bloccare, ritardare o indebolire politiche oppositive e di scoraggiare i contenziosi. Le pratiche inerenti il lavoro, la filiera produttiva e finanziarie, agevolate da pratiche politiche che contribuiscono ad abbassare gli standard previsti dalla norma, danneggiano la salute nel caso in cui l’attenzione al profitto ad ogni costo trascura gli effetti sulla società. Le condizioni di lavoro da schiavi di molta industria della moda, gli scarichi illegali di sostanze pericolose e la deforestazione che porta al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità e alle malattie infettive, sono alcuni esempi di società multinazionali che agiscono contro l’interesse pubblico.

Le pratiche delle imprese multinazionali e transnazionali (e l’incapacità del governo di farvi fronte) sono tali che il sistema non opera più nell’interesse pubblico ma sempre più nell’interesse delle società. Il Tax Justice Network  – coalizione di ricercatori e attivisti con una preoccupazione condivisa su ciò che sostengono siano gli effetti nocivi di evasione fiscaleelusione fiscale, competizione fiscale e paradisi fiscali – stima che le società trasferiscano il 40% di tutti i profitti realizzati all’estero verso i paradisi fiscali. I paesi stanno perdendo in media, l’equivalente del 9,2% del loro budget sanitario ogni anno, i paesi a basso reddito sono colpiti in modo sproporzionato, perdendo l’equivalente del 52,4% del loro budget sanitario, mentre i paesi ad alto reddito agevolano il 97% di queste perdite fiscali dirette.

Perdite fiscali indirette si verificano quando i governi riducono le aliquote fiscali nel tentativo di ridurre l’evasione fiscale sugli utili: il Fondo Monetario Internazionale stima che queste perdite fiscali indirette siano almeno tre volte maggiori delle perdite fiscali dirette. L’effetto negativo sulle entrate pubbliche consente quindi alle multinazionali di presentare ciò che avrebbero dovuto pagare in tasse come donazioni deducibili dalle tasse, ne giova la reputazione, si accresce la loro l’influenza e si svia l’attenzione dal danno che causano, perpetuando il problema.

Per quanto riguarda l’ambito scientifico, i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) mostrano che dal 1991 si è verificato un trasferimento dai finanziamenti statali a favore dei finanziamenti commerciali, aumentando la possibilità che molta ricerca sia favorevole agli attori commerciali e ai loro prodotti, mentre esistono prove concrete che le aziende di diversi settori si impegnano costantemente in strategie simili per modellare la scienza secondo il proprio interesse. Inoltre, il sempre maggiore controllo delle multinazionali sulla tecnologia e sulla proprietà intellettuale significa che possono acquisirla per raggiungere i propri obiettivi e porre il veto al suo utilizzo qualora non contribuisse alla redditività, anche a scapito della salute.

Allo stesso modo, i profitti derivanti da prodotti sviluppati nel settore pubblico o con ingenti finanziamenti da parte del settore pubblico hanno arricchito quasi esclusivamente gli attori commerciali, che hanno poi limitato l’accesso agli acquirenti (stati o privati), capaci di pagare i prezzi spesso gonfiati: ad esempio le aziende farmaceutiche che utilizzano la protezione della proprietà intellettuale per limitare l’accesso a farmaci e vaccini per l’HIV e il COVID-19. Questa conversione del sapere in proprietà intellettuale significa che non “appartiene più all’umanità” come sosteneva Pasteur e che il pubblico (compresi i governi) spesso paga due volte, per finanziare la ricerca e poi acquistare il prodotto.

Le aziende digitali hanno iniziato a sfruttare il sapere e le informazioni personali, considerandole dei prodotti. Shoshana Zuboff  parla di capitalismo di sorveglianza: l’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali… e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato quello dei ‘mercati comportamentali a termine’ …..dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro. In sintesi oggetto di scambio per il mercato e per monetizzare non sono solo più le informazioni sulle persone ma le persone stesse con le loro esperienze di vita. Si consideri il ruolo di Facebook (oggi Meta) nel marketing mirato di prodotti non salutari (spesso in violazione delle normative); nel contribuire alla disinformazione, il razzismo, il sessismo e la xenofobia; nel danneggiare la salute mentale e nell’influenzare i modelli di voto. Secondo informatori Meta ha compreso che gli algoritmi per la promozione di contenuti sono potenzialmente dannosi, ma ha rifiutato di agire per non ridurre i profitti.

È importante sottolineare che questo stato di cose mette in crisi le piccole e medie imprese che offrono un importante contributo ad uno sviluppo economico inclusivo. Tuttavia le grandi multinazionali hanno rimodellato le norme con tale successo, che la loro condotta oltre che inevitabile è addirittura considerata positiva e vantaggiosa

Influenzare le norme

Che cosa concretamente si intende per norme? Le norme sono aspettative sociali, spesso non scritte, su come dovrebbero comportarsi gli individui, le comunità e le organizzazioni. Sebbene gli attori commerciali devono rispondere alle norme esistenti, cercano più di ogni cosa e con assiduità di plasmare norme, idee, credenze e valori secondo il proprio interesse e influenzare le norme richiede risorse considerevoli e rappresenta la forma più nascosta di potere.

Con quali strategie gli attori commerciali influenzano le norme? Società di pubbliche relazioni, organizzazioni esterne volte a creare un consenso o dissenso in apparenza spontaneo in realtà costruito appositamente (tecnica dell’astroturfing), mezzi di comunicazione proprietà di elite molto potenti, che filtrano le notizie a loro vantaggio. Approcci di autoregolamentazione o coregolamentazione (partenariato o multi-stakeholder) consentono agli attori commerciali di decidere quali delle loro pratiche necessitano di restrizioni e come, ma sono di scarsa efficacia e vengono sfruttati per impedire una più efficace regolamentazione da parte di enti esterni.

Anche nell’ambito sanitario molte istituzioni, compresi gli organi delle Nazioni Unite, hanno in corso collaborazioni con attori commerciali e le imprese di prodotti non salutari  sono considerate partner credibili, nonostante i conflitti di interesse e le prove sull’inefficacia dei partenariati.  Inoltre, i partenariati, sia in fase di realizzazione che di definizione delle politiche, rafforzano gli attori commerciali, visti come parte della soluzione ai problemi che hanno creato e quindi sono principalmente iniziative di gestione della reputazione aziendale.

Queste norme vengono utilizzate dagli attori commerciali e dai loro alleati per affrontare i problemi di salute pubblica, con risultati che spesso favoriscono gli interessi commerciali ma sono dannosi per la salute. Il cambiamento climatico, l’obesità, l’alcol, il fumo, il gioco d’azzardo e l’abuso di oppioidi farmaceutici sono spesso inquadrati come scelte individuali sbagliate: si parla di giocatore problematico, bevitore irresponsabile, utente passivo di Facebook, scagionando da qualsiasi responsabilità le multinazionali e i governi. Si cercano le soluzioni attraverso interventi focalizzati sull’individuo, innanzitutto di educazione, a volte proposta dalla stessa industria, per aiutare la persona a scegliere in modo consapevole, trascurando l’importanza di interventi strutturali. Inoltre le scelte orientate alla salute sono inibite dagli enti commerciali che volutamente nascondono o travisano le informazioni.

Contemporaneamente anche il marketing rimodella le norme culturali per incrementare le vendite e spingere a un eccesso di consumo.

Le vie verso la salute precaria e le disuguaglianze di salute

In che modo il settore commerciale, mediante le pratiche e norme sopra descritte, incide ad ogni livello del modello dei determinanti di salute?

Livello 1: il sistema politico ed economico

L’approccio neoliberista se da un lato ha esaltato l’autonomia e la libera iniziativa, ha tuttavia rappresentato l’affermazione degli interessi privati sul controllo pubblico, con risultati di cui hanno goduto pochi ricchi a svantaggio della maggioranza, con danni per la salute e l’equità. Gli stati che hanno adottato politiche di welfare hanno attenuato gli effetti del neoliberismo. L’attenzione esasperata del neoliberismo verso una crescita economica misurata in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL) ha incoraggiato uno sviluppo non sostenibile, con effetti negativi su salute e ambiente.

La deregolamentazione se da un lato ha favorito l’imprenditorialità, ha però indebolito la regolamentazione in molti settori, rendendo più difficile l’approvazione di nuove leggi per la tutela del benessere umano e ambientale. La deregolamentazione del settore finanziario ha favorito la finanziarizzazione – tendenza delle imprese (non finanziarie) ad esercitare l’accumulazione del capitale attraverso canali e secondo canoni di ordine finanziario – che ha danneggiato la salute e (soprattutto) il capitale, incrementando la volatilità economica (crisi bancarie ripetute) e il debito e soffocando la crescita economica .

Molte politiche neoliberiste possono frenare la crescita economica nel lungo periodo. Proprio la finanziarizzazione ha ridotto gli investimenti con un aumento di instabilità nell’economia (che restringe l’orizzonte temporale dell’investitore) e di pressione sulle aziende per massimizzare i profitti a breve termine, tagliando la spesa per gli investimenti (ad esempio, in attrezzature, ricerca e sviluppo e formazione dei lavoratori).

La liberalizzazione del commercio e degli investimenti può stimolare la crescita economica e l’occupazione, ha ridotto barriere, aumentato la disponibilità e ridotto il prezzo dei prodotti. Tuttavia se il prodotto non è salutare il danno per la salute della popolazione inevitabilmente aumenta, ne è un esempio il sostanziale aumento del fumo nell’ex Unione Sovietica dopo l’eliminazione delle restrizioni sugli investimenti esteri. Sono politiche che hanno globalizzato la diffusione di tabagismo, obesità e altre malattie legate agli stili di vita.

La privatizzazione ha impegnato gli attori commerciali nella fornitura di istruzione, assistenza sanitaria, assistenza sociale, alloggi, acqua e altri servizi essenziali per la salute. Sebbene possa migliorare l’efficienza in alcuni settori quando il processo è ben gestito, la privatizzazione dei servizi pubblici spesso porta ad un aumento dei prezzi e un accesso limitato a servizi essenziali per la salute, come l’ acqua o l’assistenza sanitaria, in particolare per gli individui meno abbienti.

Livello 2: approcci normativi e politiche upstream

La deregolamentazione diffusa ha consentito agli attori commerciali di sfidare le politiche pubbliche mediante approcci normativi che hanno fatto gli interessi delle imprese stesse.

Approcci basati sul rischio:
Le multinazionali (dal tabacco ai pesticidi), per prevenire una corretta regolamentazione dei loro prodotti, hanno fondato le decisioni su standard scientifici favorevoli, orientandole perciò al rischio piuttosto che al principio di precauzione. Per esempio, secondo l’impresa il rischio relativo di cancro provocato da un prodotto, deve essere superiore a 2 prima della regolamentazione del prodotto stesso, indipendentemente dall’entità dell’esposizione.

Si tratta di approcci formalmente presentati come principi scientifici evidence-based e promossi da enti apparentemente affidabili, a servizio dell’impresa, che ingannano la buona fede delle persone.

Tuttavia gli standard richiesti per l’approvazione del prodotto sul mercato sono sempre più bassi degli standard che le multinazionali vogliono imporre, con l’intento di ritardare la regolamentazione: ne conseguono danni importanti anche per la salute prima che l’iter per introdurre le normative possa essersi concluso.

Approcci di regolamentazione che coinvolgono la consultazione degli stakeholder e la valutazione dell’impatto aziendale:

Le multinazionali del tabacco, dei prodotti alimentari, dei prodotti chimici, dei combustibili fossili e di altro tipo hanno promosso collettivamente delle norme conosciute nell’Unione Europea come “Migliore regolamentazione”, con l’intento di ostacolare l’approvazione di politiche ambientali e di salute pubblica. Le multinazionali hanno utilizzato le consultazioni degli stakeholder con un preciso obiettivo – prevenire, rallentare, indebolire e contestare le politiche inondando e intasando le consultazioni, con risposte di organizzazioni terze da loro finanziate e con prove altamente fuorvianti da loro commissionate.

Si tratta di modalità di cui traggono vantaggio i potenti attori commerciali: le consultazioni con gli stakeholder includono il diritto delle imprese a partecipare (anche laddove esiste un conflitto di interessi) e forniscono una via mediante cui far pervenire le loro evidenze scientifiche (spesso altamente ingannevoli e disorientanti). Inoltre valutazioni d’impatto che prendono in esame costi-benefici, danno priorità agli effetti sulle imprese rispetto ad altri settori, come la salute o l’ambiente.

Livello 3: politiche pubbliche settoriali

I dibattiti politici diventano battaglie prolungate in cui le multinazionali sfruttano il loro potere per bloccare, indebolire o ritardare le politiche e ciò accade a tutti i livelli, dal locale al sovranazionale.

Ciò vale per le politiche agricole, sociali, ambientali, del lavoro, commerciali e fiscali, che influiscono tutte sulla salute, spesso contribuendo all’incoerenza politica. Un esempio davvero significativo: in Brasile la Coca-Cola e AmBev, il più grande produttore di birra del Sudamerica hanno sfruttato la politica fiscale del governo brasiliano per garantire un sussidio di 5-10 centesimi di dollaro per ogni lattina di bibita consumata. In vigore da oltre 20 anni, questa pratica mina direttamente le politiche di contrasto dell’obesità, ambientali ed economiche del paese e implica che il governo brasiliano e ciascun residente  stanno pagando la Coca-Cola per danneggiare la salute – il 26% della popolazione è obesa e il 60% sovrappeso. Tuttavia, gli sforzi del governo e della magistratura non sono stati in grado di invertire questa politica (che sta rendendo il Brasile uno dei mercati più redditizi della Coca-Cola), per la cattiva condotta della multinazionale e per i legami dannosi tra la potente impresa e gli interessi politici di livello individuale.

Livello 4: ambienti

Gli ambienti siano essi intesi in senso più ampio -: fisico, socioeconomico, digitale, o più ristretti, legati ai nostri contesti di vita – ambienti di vita, di scuola e di lavoro – sono presi di mira dagli attori commerciali che cercano di influenzarli e di danneggiarli.

L’ambiente naturale è sempre più degradato a causa della produzione e del consumo di materiali.

Le aziende hanno alterato l’ambiente fisico in alcuni suoi aspetti, per sfruttare al massimo le vendite: si parla di ambienti sempre più obesogeni (laddove le opzioni alimentari più sane sono le  più difficili cui accedere) e alcogenici (quando le modifiche materiali a bar e luoghi di consumo e l’aumento della densità di punti vendita e del marketing incoraggiano il consumo) .

I danni alla salute pubblica proliferano anche attraverso l’informazione, anzi attraverso la disinformazione. Facendo leva su pratiche scientifiche prive di fondamenti ma divulgate da mezzi di comunicazione e social e da organizzazioni finanziate e talvolta create appositamente dall’industria, si è sviluppata un’intera ecologia della disinformazione: si parla di post-verità o agnogenesi, creazione deliberata di ignoranza.

Anche le scuole e i luoghi di lavoro non sono immuni da disinformazione e danni perpetrati dal mondo delle imprese.

Livello 5: percorsi finali verso gli effetti su salute ed equità

A livello individuale le traiettorie verso la cattiva salute seguono in gran parte, ma non esclusivamente, il consumo e l’uso di prodotti dannosi per la salute, l’accesso limitato a prodotti e servizi salutari (farmaci, assistenza sanitaria, alimenti sani e strutture per il tempo libero e l’esercizio fisico), gli infortuni sul lavoro, l’esposizione a sostanze inquinanti, tossine e allergeni, alcuni dei quali cancerogeni, sebbene la loro pericolosità sia stata a lungo tenuta nascosta. Infine, bassi redditi, scarsa sicurezza sul luogo di lavoro, lunghi orari lavorativi, una condizione di stress (elementi che accompagnano i cambiamenti intervenuti nelle pratiche lavorative di molte imprese) hanno effetti importanti sulla salute. Le disuguaglianze socioeconomiche distribuiscono questi esiti in modo diseguale, colpendo le persone meno abbienti che si ammaleranno di più, avranno meno acceso all’assistenza sanitaria, soprattutto se non è universale ma privata.

Un approccio politico e un’ideologia spesso indicati anche come fondamentalismo di mercato o ideologia del libero mercato, che è stata dominante dalla fine degli anni ‘1970, il neoliberismo enfatizza i diritti di proprietà privata e il libero mercato come il modo di organizzare l’interazione umana, e promuove la privatizzazione, la liberalizzazione del commercio, la deregolamentazione e la riduzione dei pagamenti fiscali e assistenziali, con il ruolo dello stato ridotto a garantire il funzionamento del mercato

Si intende l’allentamento o l’eliminazione della regolamentazione statutaria in base alla quale gli attori del settore pubblico e privato sono tenuti ad operare;4 una caratteristica fondamentale del neoliberismo.

Verso le soluzioni

La salute pubblica è attualmente troppo focalizzata su interventi downstream, che si preoccupano innanzitutto di contrastare gli stili di vita poco salutari e di cambiare i comportamenti individuali. Progressi più sostenibili, equi ed economicamente vantaggiosi potranno essere raggiunti solo procedendo verso l’esterno del modello, verso interventi strutturali, politici, economici e ambientali.

Il modello dei CDOH può essere perciò ridisegnato nell’interesse pubblico:

determintanti commerciali grafici
Figura 2: Modello dei Determinanti Commerciali della Salute in un’ottica di sanità pubblica

Con una regolamentazione appropriata (soprattutto tasse), alle entità commerciali viene richiesto di far fronte ai loro costi reali. Come conseguenza aumentano le entrate degli stati e la ricchezza e il potere sono meno concentrati nelle mani di un gruppo selezionato di imprese.

Per rimediare ai danni provocati dai determinanti commerciali della salute sarà necessario ripensare al ruolo degli attori commerciali nell’ambito della salute globale e dell’equità. Quali sono  le potenziali soluzioni, la giusta direzione da seguire. Per rispondere Dors dedicherà un articolo nel prossimo mese di marzo.

Glossario

Ecco alcune delle parole chiave usate nell’articolo:

Entità commerciale. Organizzazione impegnata nell’acquisto e nella vendita di beni o servizi (ad esempio, il commercio) principalmente per profitto o per un ritorno sull’investimento. Sono incluse ditte individuali aziende, imprese statali, società per azioni, multinazionali.

Società multinazionali e transnazionali. Le società multinazionali sono quelle che possiedono o controllano la produzione o i servizi in uno o più paesi al di fuori di quello in cui hanno sede, dove hanno un sistema di gestione centralizzato.

Le società transnazionali diffondono le loro operazioni (p.es., capitale, personale e ricerca e sviluppo) oltre i confini nazionali e sono quindi in grado di (ri) stabilirsi ovunque serva ai loro interessi. Per semplicità all’interno di questa serie, usiamo il termine società transnazionale per riferirci sia alle più grandi società multinazionali che alle società transnazionali.

Potere. Non esiste un’unica concettualizzazione o definizione di potere, ma, attingendo a Fuchs e Lukes, tre forme interconnesse di potere sono state identificate come centrali per comprendere il potere aziendale e i determinanti commerciali della salute: strumentale – la capacità di influenzare altri attori e, più specificamente, il loro processo decisionale; strutturale: la capacità di utilizzare le condizioni materiali per modellare le strutture in cui gli attori interagiscono e quindi influenzare le loro scelte e opzioni (sia reali che percepite); e discorsivo: la capacità di influenzare processi e opinioni attraverso la formazione di norme e valori.

Esternalità. Costi o benefici derivanti dalla produzione, dal consumo o dallo smaltimento di un prodotto o servizio sostenuti da una terza parte che non ha alcun controllo su tali costi o benefici e non ha mai scelto di sostenerli. Esempi di esternalità negative includono i danni ambientali e sanitari derivanti dalla produzione e l’uso e lo smaltimento di molti prodotti alimentari, tabacco e combustibili fossili.

Neoliberismo. Un approccio politico e un’ideologia spesso indicati anche come fondamentalismo di mercato o ideologia del libero mercato, che è stata dominante dalla fine degli anni ‘1970, il neoliberismo enfatizza i diritti di proprietà privata e il libero mercato come il modo di organizzare l’interazione umana, e promuove la privatizzazione, la liberalizzazione del commercio, la deregolamentazione e la riduzione dei pagamenti fiscali e assistenziali, con il ruolo dello stato ridotto a garantire il funzionamento del mercato.

Deregolamentazione. L’allentamento o l’eliminazione della regolamentazione statutaria in base alla quale gli attori del settore pubblico e privato sono tenuti ad operare, è una caratteristica fondamentale del neoliberismo.


Bibliografia

fonte: articolo di Paola Capra DORS

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