Ecco la nuova mappa della crisi climatica europea firmata WMO e Copernicus. di Jacopo Mengarelli

Il 2023 è stato un anno da record per l’Europa. La sfida è tenere alta l’attenzione sugli impatti climatici nonostante la stessa parola “record” ormai stia già saturando gli organi di informazione. Eppure, i 49°C in Sicilia sono un record, come altri numeri del nuovo rapporto sullo stato del clima europeo appena pubblicato da Copernicus. Cogliamo l’occasione per ricordare qualche buona notizia e i prossimi appuntamenti elettorali decisivi per i prossimi anni di transizione ecologica.


Nel 2023 in Europa le temperature sono state superiori alla media per undici mesi, con il settembre più caldo mai registrato. È uno dei tanti dati riportati dal nuovo rapporto European State of the Climate 2023 del Servizio europeo Copernicus e dell’Organizzazione meteorologica mondiale, che analizza il clima europeo del 2023 con più dettaglio rispetto all’aggiornamento uscito a gennaio, che in ogni caso assegnava al 2023 il record dell’anno più caldo a livello globale. Qui di seguito una sintesi del rapporto.

Ecco come appare la variazione di temperatura media sul territorio europeo, tra il 1900 e il 2023.

Come noto, il bacino del Mediterraneo è un cosiddetto “hotspot” del cambiamento climatico, cioè un’area che si riscalda più rapidamente rispetto alla media globale (un altro è l’Artico). Come dichiara  Giampaolo Balsamo, direttore dell’Organizzazione meteorologica mondiale: «L’innalzamento delle temperature europee rispetto all’era preindustriale (prima delle imponenti emissioni di gas serra) è di 2,3°C, superiore quindi alla media globale che al momento è di circa 1,45°C». E gli obiettivi dell’Accordo di Parigi chiedono di restare ben al di sotto di 2°C, possibilmente 1,5°C, a livello globale. Siamo quindi in Europa già oltre questo limite.

Nel luglio scorso avevamo scritto qui su Scienza in rete dell’eccessivo caldo che stava colpendo la nostra estate, con punte fino ai 40°C in Calabria, Puglia e Sicilia. Il rapporto ci ricorda che in Sicilia si è arrivati al record di ben 49°C! E gli effetti di questo caldo hanno una ricaduta pesante innanzitutto sulla nostra salute. «Il caldo estremo è l’evento killer per eccellenza. Se si confrontano gli effetti negativi di tutti gli eventi climatici estremi, il caldo da solo batte tutti gli altri perché influisce direttamente sulla fisiologia del corpo umano» ricorda Balsamo, che continua: «Questo impatto negativo del clima deve essere gestito in maniera urgente non solo per le nuove generazioni, ma anche per la popolazione attuale che si trova a fronteggiare un numero sempre maggiore di giornate “bollenti”».

Nell’immagine che segue sono raffigurati i giorni con stress da caldo classificato come “molto forte”, ovvero tra i 38°C e i 46°C (più ce ne sono stati più il colore è scuro). Come si può osservare, Sud e Isole e Pianura Padana sono tra i territori più colpiti in Italia, ma la situazione è ben peggiore in Grecia e nel Sud della Spagna (si vede un colore preoccupante anche nelle parti visibili dell’Africa e del Medio Oriente).

Negli ultimi vent’anni, scrive il rapporto, «la mortalità legata al caldo è aumentata di circa il 30% e si stima che i decessi legati al caldo siano aumentati nel 94% delle regioni europee monitorate».

Le temperature in crescita di mari e oceani, oltre ad avere un impatto sulla biodiversità marina, sono particolarmente preoccupanti, «perché l’oceano è una vasta massa d’acqua che ha un’inerzia termica e trattiene il calore per un periodo molto prolungato». Anche in questo caso, nel 2023, la temperatura media della superficie marina è stata la più alta mai registrata. E questo influenza tra le altre cose anche lo sviluppo di fenomeni atmosferici violenti e distruttivi.

Di seguito riportiamo un grafico elaborato da Carbon Brief che rappresenta quanto gli eventi estremi siano correlati con le temperature sempre maggiori.

Da segnalare anche che nel 2023 «l’Europa nel suo complesso ha registrato circa il 7% di precipitazioni in più rispetto alla media». E in più, un terzo dei fiumi ha registrato flussi superiori alla soglia di alluvione “elevata” (cioè con periodo di ritorno di cinque anni) e il 16% ha superato la soglia di alluvione “grave” (con periodo di ritorno di vent’anni). Il periodo di ritorno è un indicatore di quanto è probabile che si verifichi un certo evento: c’è qualcosa che non va se, per l’appunto, si registrano troppo frequentemente fenomeni con periodo di ritorno elevato.

Nell’immagine seguente, invece, è rappresentata la variazione nella perdita della massa glaciale europea, tra il 1976 e il 2023. L’anno scorso, «le Alpi hanno registrato un’eccezionale perdita di ghiaccio nei ghiacciai, legata all’accumulo di neve invernale inferiore alla media e alla forte fusione estiva dovuta alle ondate di calore».

«Se non si pone un limite al riscaldamento climatico i ghiacciai sulle Alpi potrebbero non sopravvivere oltre il 2050», spiega Sandro Fuzzi, ricercatore per l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR. Tutti questi dati, «per chi si occupa di clima non sono risultati inaspettati. Con i modelli climatici che abbiamo a disposizione le tendenze registrate da Copernicus erano già previste».

Fuzzi ci ricorda anche come sia complesso lo stravolgimento del comportamento regionale delle precipitazioni con il riscaldamento globale crescente. Durante l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio scorso, «in alcuni giorni sono caduti ben 350 milioni di metri cubi di acqua in un’areale di circa 800 chilometri quadrati, un evento tragicamente epocale. Di contro, in altre aree geografiche si è avuta una notevole riduzione delle precipitazioni che hanno causato siccità e fenomeni di desertificazione».

Il rapporto Copernicus affianca, ai molti dati degli impatti climatici crescenti, alcuni segnali cha fanno ben sperare. Per esempio il tasso via via crescente di impianti di energia rinnovabile per la produzione elettrica: nel 2023 l’Europa ha toccato il 43%, rispetto al 36% del 2022. Una progressione importante ma al momento ancora troppo lenta per realizzare a pieno gli obiettivi dei neutralità climatica che l’Europa si è posta.

Anche la mobilità è protagonista della transizione energetica ed ecologica. Ecco di quanto è cresciuta la vendita di veicoli elettrici (alla faccia del flop spesso presente nella narrazione mediatica italiana). In questo caso sono dati dell’Agenzia internazionale per l’energia che segnala in aggiunta gli importanti risultati della Cina (il 60% dei nuovi veicoli elettrici nel 2022 al mondo è suo), dell’Europa (che ha fissato nuovi standard per l’eliminazione dei veicoli termici entro il 2035) e degli Stati Uniti (i produttori di veicoli elettrici e batterie, grazie all’IRA di Biden, hanno annunciato investimenti per 52 miliardi di dollari).

Chiaramente non sono queste le uniche soluzioni da mettere in campo. Sappiamo che serve anche aumentare l’efficienza energetica e ristrutturare la rete elettrica, elettrificare i sistemi di riscaldamento, ridurre i consumi energetici. Altrettanto va fatto anche dal lato dell’adattamento, che ha una ricaduta pratica molto più locale; si pensi all’istituzione di aree marine protette, alla protezione dall’aumento del livello del mare e delle ondate di calore cittadine, e in generale a tutti quei provvedimenti che si differenziano a seconda del territorio. Ricordiamo, su questo, le osservazioni critiche raccolte su Scienza in rete sul Piano di adattamento climatico italiano.

Tutto questo costa – comunque molto meno di quanto costerebbe il non far niente – ecco perché, come dice Sandro Fuzzi, «il ruolo delle imprese e della finanza è però molto importante», queste devono collaborare con il settore pubblico negli investimenti per la transizione. Il climatologo continua: «Ci sono ovviamente anche aspetti che riguardano le responsabilità personali di ogni cittadino. Il cittadino dovrebbe innanzitutto essere sensibile a questa importante tematica e pretendere una corretta informazione. Su questa base, ognuno di noi può quindi operare la necessaria pressione sia sulla politica che sul mondo economico perché agiscano al più presto nei riguardi di questa emergenza planetaria».

Ecco perché è importante ricordare gli appuntamenti elettorali che si terranno nel 2024, dalle elezioni per il nuovo Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno a quelle per il Presidente e il Congresso degli Stati Uniti di novembre. Due esiti non scontati dove il clima e la transizione ecologica saranno quanto meno coprotagonisti, così come per le imponenti elezioni indiane (si vota nell’arco di più settimane). A giugno si voterà anche per il rinnovo di circa 3700 Comuni italiani, cioè circa la metà del totale. Sono per la maggior parte piccoli paesi con meno di 15mila abitanti, ma non per questo da sottovalutare, perché sono proprio loro – alla fine della catena di decisioni globali che inizia alle COP delle Nazioni Unite – a dover mettere in pratica tutte quelle azioni che servono alla transizione ecologica.

fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/ecco-nuova-mappa-della-crisi-climatica-europea-firmata-wmo-e-copernicus/jacopo-mengarelli


Jacopo Mengarelli di Sirolo, provincia di Ancona. Dopo il diploma di liceo scientifico si laurea in Pianoforte e in Fisica presso il Conservatorio e l’Università di Trento. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile (MaCSIS) all’Università Milano-Bicocca. Ora è nella redazione di Scienza in rete e collabora con l’agenzia di comunicazione Zadig Srl. È tra i fondatori dell’associazione Climate Media Center Italia. Ha lavorato al progetto “Ok!Clima: il clima si tocca con mano”, per corsi di formazione rivolti a giornalisti, ricercatori e docenti. Si è occupato della promozione e del sito del progetto CISAS: Centro internazionale di studi avanzati su ambiente, ecosistema e salute umana. Ha scritto per Domani e Wired. Studia direzione d’orchestra.

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