Il primo trimestre di azione dell’Unione Europea ci consegna molti elementi di preoccupazione. Il trimestre si è aperto con un piano per la competitività che, nonostante alcuni elementi positivi in materia di decarbonizzazione e di coordinamento delle politiche a livello nazionale e dell’Ue, rischia di condurci, nel nome della semplificazione, a una minore attenzione alle regolamentazioni europee in materia di sostenibilità ambientale e responsabilità delle imprese. E’ lo stesso effetto che tende ad avere il successivo Pacchetto Omnibus. Il freno all’attuazione della direttiva sugli obblighi di due diligence delle imprese ne è un esempio. Tranne qualche generico riferimento a buoni lavori, la crescita e lo sviluppo del mercato interno sono poi ricercati senza qualificazione, nell’indifferenza verso le forti disuguaglianze oggi esistenti nella distribuzione dei benefici della crescita (disuguaglianze che limitano anche la sostenibilità di una eventuale redistribuzione) nonché dei limiti dei mercati (e delle imprese) nello scegliere la direzione dello sviluppo tecnologico.
Il trimestre si chiude con il Libro bianco per la difesa europea, il Piano di Rearm, Safe e la Risoluzione del Parlamento europeo sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune del 2 aprile scorso, un insieme di misure che, se realizzato, trasformerebbe l’economia europea “in un’economia di guerra”, che rischia di mettere a repentaglio il futuro della sicurezza sociale e della sicurezza ambientale. Per la difesa, ma non per l’ambiente e il welfare, si possono spendere 800 miliardi; si può derogare al patto di stabilità e crescita, indebitandosi e indebitando le future generazioni fino a 1,5% del PIL all’anno per 4 anni; si possono usare i fondi non spesi per la coesione sociale. E, ancora, la sovranità digitale europea rischia di essere piegata alle esigenze della difesa. La stessa Strategia per la “preparedness” non solo si occupa largamente di difesa, ma anche nei campi della sicurezza sanitaria e ambientale, adotta un approccio di allerta del tipo “chiamata alle armi”. E, non dimentichiamo che la Risoluzione sopra citata, approvata con 399 voti a favore, 198 contrari e 71 astensioni, sostiene anche la necessità di corsi militari ed esercitazioni per gli studenti.
Certo, dal punto di vista della sicurezza dei confini, serve una difesa comune europea. Ma una difesa comune è fondata su un’analisi condivisa dei rischi e di come affrontarli, sul contrasto alle duplicazioni delle risorse e sulla promozione dell’interoperabilità delle diverse forze armate. Rafforzare i singoli eserciti nazionali, non solo fa nulla di ciò, ma aggiunge anche il rischio di un loro uso unilaterale. Peraltro, escludendo Serbia, Bosnia, Kosovo e Svizzera (che non fanno parte dell’UE e della NATO), la spesa militare di tutti gli Stati membri o dell’UE o della NATO era il 56% in più della spesa russa. Per i soli Paesi UE (e quindi escludendo, in particolare, Regno Unito, Turchia e Norvegia), la spesa militare è stata di più elevata di quella russa del 18,6%, e l’Unione già ha la principale arma di deterrenza, il nucleare.
Non sottovalutiamo che, in assenza di altre politiche industriali, lo stimolo alla domanda di lavoro proveniente dalla spesa per la difesa potrebbe essere percepito come l’unica possibilità di lavoro, in una ridefinizione militaristica di TINA (there is no alternative). Ma, 800 miliardi di investimenti in altra direzione (o, comunque, una loro parte) possono favorire ben altre alternative di sviluppo!! Comunque, non ci si lasci attrarre dall’elemento “keynesiano” di stimolo alla domanda: i moltiplicatori, ossia gli effetti sulla crescita del Pil, sono comunque limitati, sia perché gran parte della spesa favorirebbe gli Usa, paese principale di importazione delle armi, sia perché si tratta di una spesa che non ricircola nell’economia, a meno che non si generino effettivamente guerre.
E, ancora, sempre sulla difesa europea, vi sono alcune preoccupazioni ulteriori. Una riguarda il processo decisionale, caratterizzato da un’esasperazione del deficit democratico che da sempre ha caratterizzato l’Unione. Le scelte sono state prese in tutta fretta sotto pressione della Commissione, come se già fossimo vicini alla guerra, senza sostanziale dibattito pubblico. Addirittura, esistono dubbi seri di legalità per quanto concerne Safe, per il quale si è fatto appello alla procedura di urgenza, la quale evita il passaggio al Parlamento. Ma era così urgente raccogliere 150 miliardi dai “mercati dei capitali” per prestarli ai paesi membri per investimenti in difesa? Una seconda preoccupazione concerne gli effetti di quelle decisioni. Scriveva Wildavsky, che, nel creare le istituzioni, si scelgono le preferenze da promuovere. Il timore è che, passo dopo passo, il cumularsi delle scelte che preparano alle guerre creino sempre più nella popolazione il convincimento nella inevitabilità stessa. Una popolazione impaurita è anche una popolazione meno impermeabile ai rischi di derive autoritarie. Desta, inoltre, preoccupazione la sostanziale disattenzione alla creazione di “scintille di guerra” che potrebbero derivare dalla violazione dei diritti civili delle minoranze russe nei paesi baltici. Infine, non un atto e spesso neppure una parola su cosa capita in Palestina.
Come si legge in questa newsletter, segnali di preoccupazione riguardano, oltre alle difficoltà della risposta europea di fronti ai dazi, i cambiamenti radicali in atto nelle politiche di coesione, in aggiunta al possibile re-indirizzamento dei fondi alla difesa nonché le politiche per l’immigrazione alla luce del nuovo piano di revisione della direttiva sui rimpatri del 2008 presentato dalla Commissione al Parlamento, centrata sulla possibilità, discussa ma respinta nel 2018, di realizzare hub di rimpatrio in paesi terzi per i migranti che non hanno basi legali per restare nell’Unione. Diverse perplessità concernono anche la proposta di Unione per il risparmio e gli investimenti, centrata sull’assunto che il problema principale per l’Europa sia la fuoriuscita dei risparmi piuttosto che le politiche macro-economiche e le dinamiche dei mercati dei beni e dei servizi. E, ancora, occorre vigilare, nella riforma in corso sulle regole di coordinamento degli schemi di sicurezza sociale al fine di evitare scappatoie che potrebbero penalizzare i lavoratori mobili fra i meno tutelati quali i lavoratori nelle costruzioni.
Accanto alle preoccupazioni, non si trascurino però anche alcune luci, quali il Clean Industrial Deal a favore della decarbonizzazione, e le diverse attività in corso in materia di rafforzamento dei diritti dei lavoratori e lo European Health Data Space.
E, ancora, luci e ombre si ritrovano in altri temi trattati nella nostra newsletter, dal piano per la Union of Skill alle politiche di genere, mentre sul fronte delle politiche per la concorrenza tutto sembra tacere.
Di fronte a questa situazione, è urgente che il paese e i suoi territori si confrontino sul merito, anche con l’obiettivo di delineare alternative concrete. Anche perché queste alternative ci sono come si sottolinea, ad esempio, nel pezzo sulla sovranità digitale.
Ci auguriamo che queste “cronache” possano offrire uno stimolo e un contributo.
fonte: https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/le-ombre-e-le-poche-luci-dellultimo-trimestre-europeo/