Anche il reddito di cittadinanza è in salsa leghista*. di Massimo Baldini e Lorenzo Lusignoli

Il reddito di cittadinanza è una misura simbolo della proposta politica del Movimento 5 stelle. Per questo è stato inserito nel contratto di governo con la Lega. La sorpresa è che ora è riservato solo ai cittadini italiani. E anche i costi cambiano.

Una misura riservata agli italiani

Nel tavolo contrattuale tra Movimento 5 stelle e Lega la questione del reddito di cittadinanza sembrava appannaggio di uno solo dei due contraenti. Il M5s ha da tempo eletto la misura come un punto tra i più importanti della propria proposta politica, tanto da presentare al Senato nel 2013 un dettagliato disegno di legge (AS 1148 del 29/10/2013) che prevedeva l’introduzione di un sostegno al reddito con questo nome.
La proposta aveva cominciato il suo iter in Commissione lavoro e previdenza sociale ricevendo anche l’attenzione di importanti istituzioni, ma è rimasta bloccata in tale sede. Il governo del Pd ha preferito portare avanti una misura meno ambiziosa, ma più facilmente realizzabile, il reddito d’inclusione (Rei).

Non ci addentriamo qui in una disamina delle due misure, sulle quali rimandiamo ai precedenti contributi (qui, quiqui, qui, qui e qui). Ci interessa però notare una significativa modifica rispetto al disegno di legge, inserita nel contratto di governo e di segno chiaramente leghista: il reddito di cittadinanza sarebbe infatti rivolto solo ai “cittadini italiani”. La restrizione recupera in qualche modo il significato di “cittadinanza” contenuto nel nome della misura, peraltro usato impropriamente perché nel dibattito internazionale il reddito di cittadinanza di solito caratterizza un sostegno universale, incondizionato ed erogato nella stessa misura ad ognuno, mentre la misura prospettata è un reddito minimo, dunque selettivo, condizionato all’accettazione di proposte di lavoro e soggetto alla prova dei mezzi.

Il vincolo della cittadinanza è eticamente assai discutibile, oltre a far emergere evidenti problemi di costituzionalità (articolo 3) e di rispetto delle normative europee (vedi articolo 18 del Tfue e articolo 24 della direttiva 2004/38), che vietano qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità e garantiscono parità di trattamento a tutti i cittadini dell’Unione e ai loro familiari – anche un cittadino comunitario, infatti, non potrebbe ricevere il sussidio. Secondo quanto indicato nel Missoc (il sistema di informazione reciproca sulla protezione sociale nell’Unione europea, Mutual Information System on Social Protection), buona parte dei paesi UE non pone vincoli di nazionalità per l’accesso al reddito minimo. Alcuni stati prevedono sì limiti, che però non arrivano mai a riservare il sussidio ai soli propri cittadini. Vi sono infine apposite direttive che tutelano anche i cittadini di paesi terzi titolari di particolari permessi di soggiorno o di protezione internazionale.

Quanto costa

Il reddito di cittadinanza proposto originariamente dal M5s era riservato ai residenti con almeno 18 anni, italiani o di paesi dell’UE, o provenienti da paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale (vedi AS 1148/2013).

Non sorprende dunque che la quantificazione dei costi del provvedimento sia scomparsa nella versione definitiva del contratto. Una restrizione ai soli cittadini italiani determinerebbe una sensibile riduzione della platea e dei costi. Proviamo infatti a stimare il costo della misura sul campione Silc. Consideriamo due alternative:

  1. Il reddito di cittadinanza è dato dalla differenza tra la soglia di 780 euro (moltiplicata per una scala di equivalenza per famiglie con più di un componente) e il reddito monetario della famiglia. Questo primo caso corrisponde alla lettera del disegno di legge citato.
  2. Come sopra, ma al reddito monetario si aggiunge l’affitto imputato per le famiglie che possiedono l’abitazione. Questo secondo caso corrisponde alla stima Istat del costo della misura.

Tabella 1 – Stima del costo del reddito di cittadinanza

a)      RC= soglia – reddito monetario b)     RC = soglia – (reddito monetario + affitto imputato)
a.1) tutte le famiglie a.2) solo italiani b.1) tutte le famiglie b.2) solo italiani
Spesa totale 28.7 miliardi 24.5 miliardi 16.1 miliardi 12.7 miliardi
Nord 25% 21% 23% 17%
Centro 17% 16% 14% 11%
Sud 58% 63% 64% 72%
Totale 100% 100% 100% 100%

Nota: take-up 100%

Senza considerare i 2 miliardi previsti per i centri per l’impiego, il reddito di cittadinanza costerebbe, se disponibile per tutte le famiglie, circa 29 miliardi se si escludono gli affitti imputati dal reddito, 16 miliardi secondo il criterio Istat.
Ma se si limita la platea alle famiglie di italiani, la spesa scenderebbe a 24,5 miliardi nel primo caso, a 12,7 nel secondo, con un calo del 20 per cento.
La tabella mostra anche la ripartizione della spesa totale per area. Visto che gran parte delle famiglie di stranieri risiede nel Centro-Nord, limitare il Rc ai “cittadini italiani” avrebbe l’effetto principale di indirizzare maggiormente la spesa totale a favore delle regioni meridionali. La restrizione renderebbe più semplice il suo finanziamento.

C’è un problema ulteriore. Il Rei oggi in vigore va anche alle famiglie straniere, con precise restrizioni: occorre essere residenti in Italia continuativamente da almeno due anni nonché cittadini dell’Unione o loro familiari con diritto di soggiorno o diritto di soggiorno permanente, oppure cittadini di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (vedi Dlgs 147/2017). Cosa succederebbe se si passasse al nuovo schema? Queste famiglie perderebbero il sussidio?

A noi pare che un rafforzamento del sostegno minimo che gradualmente permetta di raggiungere una platea più ampia con importi più adeguati sia auspicabile, ma che debba essere intrapreso a partire dall’attuale Rei, senza smontarne la struttura, semmai migliorandola. Il reddito di inclusione inoltre fornisce la giusta attenzione non solo al percorso d’inclusione lavorativa, ma anche a quello sociale, spesso necessario alle famiglie indigenti che presentano problemi di natura complessa.
Da luglio 2018 la platea del Rei comprenderà tutte le famiglie in grave povertà, non solo quelle con figli minori o disabili o donne in stato di gravidanza accertata o con over-55 disoccupati. L’estensione dovrebbe favorire un maggiore bilanciamento verso gli italiani, che sono la maggioranza tra i poveri senza figli. Va comunque segnalato che i primi dati disponibili sul Rei dicono che gran parte dei beneficiari risiede nelle regioni meridionali, dove la povertà riguarda soprattutto cittadini italiani.
Restrizioni nei confronti dei cittadini stranieri possono avere un senso per non incoraggiare un’immigrazione mirata, ma dovrebbero essere fondate su spirito umanitario ed essere non discriminatorie e compatibili con le normative comunitarie.

* Lorenzo Lusignoli svolge la sua attività professionale presso la Cisl, Dipartimento fisco, previdenza, politiche sociali e della salute. Le considerazioni qui fatte sono frutto di elaborazioni personali e non coinvolgono in nessun modo la struttura di appartenenza.

Fonte: lavoce.info

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