Leggi 180, 194, 833: il welfare fa bene all’Italia. Oggi come 40 anni fa. di Stefano Cecconi, Rossana Dettori

Nel 1978, l’approvazione in pochi mesi di tre grandi riforme sociali contribuì a migliorare le condizioni di vita a milioni di persone nel Paese. Le celebriamo oggi non solo in quanto conquiste del passato, ma anche per rilanciarne la forza innovativa

Quarant’anni fa, la forza di tre leggi – approvate nel giro di pochi mesi – riuscì a rigenerare il welfare italiano e a migliorare le condizioni di vita a milioni di donne e di uomini. Si cominciò il 13 maggio 1978, con la 180, che stabilì la chiusura dei manicomi, liberando migliaia di persone ancora rinchiuse e ponendo fine al sopruso dell’internamento per i malati di mente; si proseguì il 22 maggio, con la legge 194 per la tutela sociale della maternità, che restituì il diritto delle donne, di fronte alla tragedia degli aborti clandestini, di scegliere con l’interruzione volontaria di gravidanza (ma che istituì anche i consultori e promosse maternità e paternità responsabili); si concluse il 23 dicembre, con la 833, che istituì il Servizio sanitario nazionale a base universalistica, abolendo le mutue e riconoscendo la tutela della salute quale “fondamentale diritto”, come recita la nostra Costituzione.

Il 1978. L’anno tragico dell’omicidio di Aldo Moro e della sua scorta, della violenza terrorista, ma che sarà ricordato anche come l’anno delle grandi riforme sociali. Tre grandi riforme strettamente connesse alle lotte per la salute e per i diritti sociali e civili che hanno caratterizzato gli anni sessanta e settanta in Italia e a livello internazionale, e che da noi si sono sviluppate in tre campi dell’iniziativa sociale: nel movimento antimanicomiale (e contro le “istituzioni totali”), che ha visto in Franco Basaglia la figura più rappresentativa, nel movimento femminista e nel movimento per il diritto alla salute, che deve molto alle lotte operaie per la salubrità del lavoro (che hanno saputo andare ben oltre i cancelli della fabbrica). Riforme che sono state precedute da molteplici esperienze locali e internazionali e sostenute da un ricco dibattito scientifico e culturale (si pensi alla “Dichiarazione Onu di Alma Ata” sul concetto di salute globale o alle elaborazioni di “Medicina e Potere” con Giulio Alberto Maccacaro e Giovanni Berlinguer o alle richiamate tesi basagliane de “L’Istituzione negata”).

Per il 40esimo delle tre riforme, abbiamo detto che non vogliamo soltanto celebrarle perché grandi conquiste sociali e civili del passato, ma difenderle dagli attacchi che ancora oggi subiscono e rilanciarne la forza innovativa e riformatrice. Perché se da una parte è impressionante l’attualità delle tre riforme (il pensiero lungo della Costituzione in politica c’era ancora), dall’altra bisogna capire se i loro principi e i loro obiettivi sono effettivamente esigibili e qual è il loro rapporto con le trasformazione sociali, demografiche, epidemiologiche, politiche e del lavoro e con le sconvolgenti innovazioni tecnologiche intervenute in questi anni. Per valutare se, e come, ciascuna delle tre riforme possa ancora incidere nell’attuale situazione e rispetto alle prospettive future del welfare italiano.

Noi pensiamo che resti del tutto attuale e vivo il “carattere” che le tre riforme hanno in comune: la centralità della persona; la sua libertà di scelta (vale per le donne con la 194, per chi soffre un disagio mentale con la 180, per chiunque voglia accedere al servizio sanitario pubblico con la 833), la salute come diritto universale e dunque non condizionato dalle logiche del mercato; l’intreccio (oggi si chiama integrazione) tra ambito sanitario e sociale, con il riconoscimento che le condizioni di vita delle persone (reddito, lavoro, abitazione, ambiente, relazioni) sono determinanti di salute e di malattia e dunque riguardano e condizionano la stessa medicina e l’organizzazione dei servizi.

Per questo le tre riforme vanno difese dagli attacchi e quando non vengono rispettate: si pensi agli effetti di una “certa” obiezione di coscienza che ostacola l’esercizio del diritto per le donne all’interruzione volontaria di gravidanza, causando disagi e sofferenze. Oppure all’assenza dei consultori in molte realtà, senza i quali maternità e paternità responsabili rischiano di restare solo slogan (consultori che sono decisivi per affrontare le trasformazioni della famiglia o per incontrare le persone provenienti da altri Paesi e culture). Perciò sul rispetto della legge 194 da tempo la Cgil ha aperto un fronte – anche con un reclamo accolto dal Comitato europeo dei diritti sociali – che oggi ci vede impegnati con il movimento #Save194 che ha lanciato la Lettera alle parlamentari: le donne sono qui.

Sul fronte della legge 180, abbiamo già scritto su Rassegna con Legge Basaglia, una conquista di civiltà che il modo migliore per celebrarla è sfuggire alla retorica. Occorre mobilitarsi per affermare principi e obiettivi della riforma: con un rilancio e una riqualificazione dei servizi di salute mentale – sofferenti per mancanza di risorse e di personale (come segnala anche l’ultimo rapporto del ministero della Salute) –  e più in generale delle politiche sanitarie e sociali, insieme a una ripresa della battaglia culturale per sradicare lo stigma che associa pericolosità e follia, emarginando e discriminando le persone con disturbi mentali e i loro familiari. Per questo con un vasto cartello di associazioni abbiamo lanciato a governo, Parlamento e Regioni, un appello per la convocazione di una Conferenza nazionale  su “Diritti, libertà, servizi per la salute mentale”.

Infine, sul Servizio sanitario nazionale (Ssn), istituito con la legge 833. In questi anni è stato ferito dai tagli inferti da politiche di austerity, eppure rappresenta ancora oggi un baluardo fondamentale per la tutela della salute. Nonostante i tagli, l’impegno quotidiano di tanti operatori ha impedito che la lunga crisi economica causasse danni ancora più profondi. Per quanto imperfetto e maltrattato, il Ssn pubblico e universale ha dimostrato di essere un vantaggio per tutti. Lo dimostrano alcuni indicatori che collocano l’Italia in vetta alle classifiche mondiali: dalla speranza di vita ai risultati per la mortalità evitabile (vedi “Health at a Glance Italia 2017”). Il tutto con una spesa sanitaria pubblica (e complessiva) al di sotto della media dei Paesi Ue e Ocse (vedi). Al contrario, in quei Paesi dove ci si è affidati a risposte di mercato per rispondere ai bisogni sociali, gli effetti sono stati  fallimentari. Per questo l’Oms raccomanda una copertura sanitaria universale: per tutti e ovunque (vedi Health for All).

Oggi però questo nostro patrimonio è indebolito. L’accesso ai Livelli essenziali di assistenza (Lea) non è assicurato in modo uniforme ed equo in tutto il territorio nazionale e per tutti. Mentre le diseguaglianze si sono acuite, fra territori e fra persone di diverse condizioni sociali ed economiche. Troppi cittadini rinunciano alle cure o sono costretti a viaggiare lontano, o a pagare, per ottenere l’assistenza cui avrebbero diritto, spesso a causa dei ticket o dei tempi di attesa. Così come le carenze di personale si riflettono inevitabilmente sulla qualità dei servizi: mancano (e mancheranno) migliaia tra medici e infermieri.

Di fronte a tutto questo, la Cgil non condivide l’idea di dare più spazio e risorse per assicurazioni e fondi sanitari privati, ma piuttosto propone una grande mobilitazione, con Cisl e Uil, per ristabilire il rispetto in tutto il Paese del diritto costituzionale alla tutela della salute e alle cure, con Livelli essenziali di assistenza di qualità, per tutti e senza distinzioni. E per una profonda innovazione dell’offerta del welfare socio-sanitario. Lo reclamano le trasformazioni demografiche, epidemiologiche e sociali avvenute in questi 40 anni. L’invecchiamento della popolazione, la diffusione delle malattie croniche, in particolare la crescita delle persone non autosufficienti hanno bisogno di più prevenzione, una ben più forte assistenza territoriale e integrazione tra sociale e sanità (il che chiama in causa un nuovo ruolo dei Comuni).

Non solo. È necessario anche che la formidabile innovazione tecnologica intervenuta in questi anni sia messa a disposizione per l’assistenza territoriale e domiciliare e per rendere più facile l’accesso ai servizi. Insomma, dobbiamo tornare a investire per una sanità pubblica forte e di qualità: per garantire diritti e benessere, creare lavoro e alimentare uno sviluppo di qualità. Il welfare fa bene all’Italia, era vero 40 anni fa, lo è ancor di più oggi.

Stefano Cecconi è responsabile Politiche della salute Cgil nazionale; Rossana Dettori è segretario confederale Cgil nazionale

l’articolo è pubblicato su Rassegna Sindacale

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