Dopo l’OPG: legge 81/2014 e ordinamento penitenziario. di Pietro Pellegrini, Giuseppina Paulillo

Le leggi n. 9/2012 e n. 81/2014 hanno portato alla chiusura degli OPG a far tempo dal 31 marzo 2015 in un quadro normativo dove sono rimasti invariati il codice penale (c.p.) relativamente a imputabilità, pericolosità sociale e misure di sicurezza e nonché l’ordinamento penitenziario (O.P.), ai sensi della legge 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà ”[1] e successivi aggiornamenti (ultimo la Legge 16 aprile 2015, n. 47 in G.U. 23/04/2015, n.94) e del DPR 230/2000 (“Regolamento sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”).

Rems e Regolamento penitenziario

In questi tre anni di attività le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) è diventata opinione diffusa che larga parte del regolamento penitenziario non sia applicabile nel sistema riformato a gestione sanitaria e senza polizia penitenziaria, incentrato sui Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) e sulle REMS disciplinate dal Decreto 1 ottobre 2012.[2] Infatti, queste hanno una gestione di “esclusiva competenza sanitaria”  ed “esplicano funzioni terapeutico-riabilitative e socio riabilitative in favore di persone affette da disturbi mentali, autori di fatti che costituiscono reato, a cui viene applicata dalla Magistratura la misura di sicurezza detentiva del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia”.

I requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle REMS sono intesi come “requisiti minimi per l’esercizio delle funzioni sanitarie, indispensabili per il funzionamento delle strutture e per il raggiungimento degli obiettivi di salute e di riabilitazione ad esse assegnati, tramite l’adozione di programmi terapeutico-riabilitativi e di inclusione sociale fondati su prove di efficacia” e “all’uopo, a cura del Responsabile della struttura (un dirigente medico psichiatra), sarà redatto apposito regolamento interno“. Quindi non sono previste funzioni di tipo custodiale e in nessun punto delle leggi n. 9/2012 e n. 81/2014 e del decreto 1 ottobre 2012 si parla di applicare alle REMS  l’ordinamento penitenziario ma si prevede esplicitamente che sia “redatto apposito regolamento interno”.

Va altresì precisato che, a norma dell’ art. 3-ter, comma 3, legge 17 febbraio 2012, n. 9, “l’ attivita’ perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, ove necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati, da svolgere nel limite delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a  legislazione vigente” è assicurata medianti accordi delle Regioni con le Prefetture.  Attività di sicurezza non riferite alla struttura ma alle specifiche condizioni dei soggetti interessati che possono presentare caratteristiche psicopatologiche significativamente variabili e in rapporto alla loro evoluzione. (nota 2)

La riforma, pur non avendo formalmente inciso sul testo della legge 354/1975, ha indubbiamente modificato il quadro normativo di riferimento e di fronte all’elenco di cui all’art. 62 dell’O.P[3]., si può ritenere che le case di cura e custodia e gli OPG siano sostituiti, ai sensi del combinato tra la legge 9/2012 e 81/2014,  dall’insieme dei servizi sociali e sanitari del territorio, in primis dai dipartimenti di salute mentale dei quali fa parte la REMS. Solo con questa interpretazione e impostazione può svolgersi quell’attività preventiva che permette di effettuare cure adeguate e a fare fronte alla pericolosità sociale mediante la misura di sicurezza non detentiva. Tanto è vero che  molto opportunamente, la legge 81/2014 non cita quale debba essere la tipologia di struttura, lasciando così ampio margine di scelta circa la sede da individuare, ai professionisti della salute mentale.

Sostituire all’art. 62 dell’O.P. le parole “OPG” e “Casa di cura e custodia” con la parola “REMS” non appare corretto in quanto così non si coglie lo spirito della riforma e si rischia di comprometterne la spinta innovativa, di irrigidire l’organizzazione e di spostare l’attenzione solo sulle REMS, da considerare invece residuali, facendole di fatto diventare il perno del nuovo sistema.

Nell’accordo della Conferenza Unificata Stato-Regioni “Concernente le disposizioni per il superamento degli OPG”  del 26 febbraio 2015, forse in relazione alla necessità di assicurare una transizione dal precedente regime penitenziario,  in premessa vengono riprese, seppure in modo non coerente, diverse norme. Tra queste, il riconoscimento dei diritti alla salute garantiti “in prospettiva ampliativa, anche in considerazione della esclusiva gestione sanitaria della REMS”, il Piano terapeutico riabilitativo individualizzato (PTRI) ispirato alla recovery e la responsabilità in capo al dirigente psichiatra.

Non sfugge che il richiamo all’O.P. e al regolamento penitenziario serve anche a ricordare le funzioni di garanzia del rispetto dei diritti delle persone detenute o sottoposte a misure di sicurezza esercitate dalla magistratura di sorveglianza la quale ha specifiche competenze in quanto sovraintende “alle misure di sicurezza personali” e visita le strutture ove vengono eseguite.  Le norme a garanzia dei diritti delle persone  non devono essere interpretate in senso limitativo e restrittivo in quanto da più parti viene ribadito che le persone detenute o sottoposte a misure di sicurezza hanno lo stesso diritto alla salute delle persone libere. E in questo spirito è necessario che le persone vengano definite come “affette da disturbi mentali, autori di fatti che costituiscono reato, a cui viene applicata dalla Magistratura la misura di sicurezza”  o “pazienti destinatari” eppure, tuttavia, persiste il termine “internato” e la normativa ad esso riferita presente nell’O.P.

L’attuale situazione

Ne è derivata la seguente situazione:

  1. a) gli OPG sono stati chiusi mentre nel c.p. persistono gli artt. 222 c.p. (ricovero in OPG) e 219 (ricovero in casa di cura e custodia);
  2. b) gli OPG e le Case di cura e custodia, sostituiti dai Dipartimenti di salute mentale nei quali operano le REMS, sono ancora previsti all’art.69 dell’O.P.
  3. c) Le REMS esplicano “funzioni terapeutico-riabilitative e socio- riabilitative” in favore di persone affette da disturbi mentali, autori di fatti che costituiscono reato che restano sotto il profilo giuridico “internati”;
  4. d) le REMS hanno un mandato di cura, non hanno funzioni custodiali e quindi in esse non può essere applicato l’O.P. ma ospitano persone con disturbi mentali, autrici di reato, prosciolte per infermità pericolose socialmente alle quali è stata disposta la misura di sicurezza detentiva del ricovero in OPG come misura residuale (temporanea e transitoria) in base alla legge 81/2014;
  5. e) quindi le persone ospiti delle REMS, giuridicamente “internate”[4], devono sottostare al regolamento delle REMS e ad alcune norme loro riferite dell’O.P.?
  6. f) la garanzia dei diritti delle persone giuridicamente “internate” sono assicurati dalle magistratura di sorveglianza o vista la nuova collocazione sanitaria si tratta di superare una sorta di legislazione speciale?

Come si vede siamo di fronte ad un insieme di contraddizioni (l’OPG non c’è più ma persiste la misura del ricovero in OPG, le REMS hanno gestione sanitaria, funzioni terapeutico riabilitative e socio riabilitative e ad esse si vorrebbe applicare almeno qualche parte dell’O.P., le persone ospiti sono al contempo pazienti/autori di reato/ giuridicamente “internati”) che potrebbero portare alla paralisi l’intero sistema se non si coglie lo spirito di fondo che anima l’intera riforma: l’idea che la cura si debba svolgere nella libertà e con il consenso e porti all’inclusione sociale della persona e al contempo la misura di sicurezza detentiva sia un provvedimento residuale e transitorio. 

Un nuovo sistema

Scopo di questo contributo è analizzare in modo dettagliato la situazione e cercare di comporre le contraddizioni, analizzando l’O.P., al fine di dare la migliore funzionalità possibile al nuovo sistema. Un tema riconosciuto anche dal Consiglio Superiore della Magistratura:

“E’ emerso, in primo luogo, il tema dell’applicabilità delle norme dell’ordinamento penitenziario alle nuove istituzioni le quali, peraltro, sono contraddistinte dalle tre caratteristiche introdotte dall’art. 3-bis del d.l. 211 del 2011, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. n. 9 del 2012, ovvero: esclusiva gestione sanitaria all’interno della struttura; sicurezza perimetrale, ma solo ove necessaria in relazione ai soggetti ricoverati; presa in carico dei soggetti provenienti dal territorio ove le REMS sono ubicate. Strettamente connesse sono le questioni concernenti la individuazione dei soggetti abilitati a curare il trasferimento temporaneo degli internati dalle REMS presso strutture sanitarie esterne di cura”[5]

Ancora prima, il 23 luglio 2015 il documento “Misure di sicurezza – Tema per Stati Generali dell’Esecuzione Penale – Tavolo 11” , Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali[6]  ritiene che l’esclusiva gestione sanitaria all’interno delle REMS ove non vi è presenza di polizia penitenziaria, renda “incompatibili: le norme che limitano la permanenza all’aperto (art. 10 OP); quelle disciplinari (artt. 38-40); le norme che vietano di possedere denaro (art. 77); le modalità e il numero dei colloqui e delle telefonate (art. 18, 37, 39)”. Sono incompatibili altresì le norme che si riferiscono ad esigenze di ordine e sicurezza: quelle relative alle perquisizioni (art. 34); l’impiego della forza fisica (art. 41); il regime di sorveglianza particolare (art 14-bis); il regime del 41-bis; i trasferimenti per motivi di sicurezza (art. 42)”.

Quindi il fatto che il sistema sia a gestione sanitaria ha come conseguenza ampiamente riconosciuta che il mandato di cura debba essere valorizzato al massimo grado. Questo non per una scelta ideologica ma molto pragmatica: è solo attraverso la cura che si possono avere miglioramenti delle condizioni di salute e quindi del funzionamento psichico e dell’adattamento sociale.  Questo non avviene in forza della sola misura giudiziaria o di un ordinario trattamento rieducativo. Quindi la cura deve avere ampio respiro e libertà e deve fondarsi sulla relazione, la ricerca del consenso e della collaborazione in uno spirito di cooperazione e responsabilizzazione della persona.

L’attività viene effettuata nella comunità e in strutture del Dipartimento di Salute Mentale fra loro strettamente collegate e interdipendenti, a diverso livello di intensità di cura, dove la permeabilità fra interno ed esterno e la prospettiva di libertà diviene componente essenziale e strutturale dei percorsi terapeutico riabilitativi individualizzati (PTRI). Le attuali strutture psichiatriche non sono “istituzioni” altamente autosufficienti ma case di normale abitazione, che quotidianamente e per molteplici attività sono legate all’esterno: non hanno bar, una biblioteca, un ufficio postale, ecc.

La seconda questione riguarda le persone ospiti, giuridicamente “internate”. Il precedente sistema incentrato sull’OPG, gestito dalla polizia penitenziaria è stato profondamente riformato e ne è stata affidata la gestione ai sanitari. Questa ovviamente può avvenire all’interno delle regole sanitarie e non con un mandato diminuito, controllato e condizionato da misure regolamentari inapplicabili o dannose o da norme pensate per altri contesti (gli istituti di pena) o ritenuti da superare (gli OPG). Se tutto è cambiato devono cambiare anche le norme di riferimento. Poco serve rimarcare che si tratta di soggetti giuridicamente di “internati” perché allo stato attuale della normativa, le misure di sicurezza non detentive e detentive, scontano una perdita intrinseca di senso se ad esse non si associa un valido percorso terapeutico-riabilitativo. Lo si vede in modo assolutamente chiaro nella gestione delle violazioni che in assenza di altri e nuovi reati, fanno sì che le magistrature non abbiano di fatto alcun strumento efficace.

Da tutto questo ne consegue che risulta possibile e necessario un accordo forte tra psichiatria e giustizia se quest’ultima assume il compito di sostenere al massimo grado il mandato di cura e i diritti delle persone. Sappiamo bene che vi è un’altra componente che interessa i giudici ed è la tutela della comunità. Questo, per il percorso che si è intrapreso, viene di fatto raggiunto non tanto con una limitazione/graduazione della libertà ma soprattutto indirettamente mediante i progressi del percorso di cura. Quindi nel nuovo sistema non è possibile ottenerla con un attività custodialistiche estranee alle REMS e alle altre strutture psichiatriche, né con altre misure di controllo in capo ai Centri di salute mentale o ai singoli psichiatri magari gravati dalla posizione di garanzia. Un controllo sine strutture per  il controllo costituisce un compito impossibile.

Quindi il mandato di cura del DSM e delle REMS deve essere ampio e non condizionato dalla necessità di  continui ricorsi alla magistratura per l’espletamento delle funzioni terapeutico riabilitative nel sistema per come esso attualmente funziona. Lo stessa collocazione da parte della magistratura della persona nei servizi per la salute mentale costituisce in se stessa, in modo esplicito, un affidamento della persona a strutture con  mandato di cura. Il perimetro della REMS non è quello fisico ma il perimetro deve essere quelle delle attività di cura che la REMS deve realizzare. Quindi fin dal suo accesso in REMS la persona dovrà poter usufruire di tutti i percorsi diagnostici e riabilitativi anche se fisicamente esterne alla sede della REMS. Questa condizione va comunicata al momento della richiesta di disponibilità di posto in REMS e comunque prima dell’ammissione ed è parte del Regolamento e quindi parte del provvedimento giudiziario giudiziario di collocazione in REMS. Queste non possono essere eterodirette dalla magistratura, né la cura può dipendere dalle efficienze/inefficienze e tempistiche del sistema giudizairio, pregiudicando in tal modo la salute del paziente.

Al giudice devono essere sottoposte solo le variazioni di collocazione e/o significativi cambiamenti dello stato/bisogni di autonomia e libertà della persona (ad esempio i pernottamenti esterni).

Alcuni strumenti pensati in logiche diverse vanno rivisti: permessi devono essere ampi e gestiti dalla REMS, le licenze non devono avere le limitazioni nella durata e nella frequenza, la licenza finale esperimento è frutto di una logica vecchia (come le dimissioni in prova) e quindi va superata con dimissioni vere e proprie dalle REMS affidamenti ai Centri di Salute Mentale con la formulazione nei PTRI di piani prevenzione e di intervento precoce in caso di ricadute.

Comprendiamo bene che in assenza di una riforma organica la magistratura debba fare riferimento a normative esistenti e tuttavia sembra del tutto evidente che nell’O.P. vi sono norme del tutto inapplicabili, altre parzialmente applicabili e ancora alcune interpretabili il che potrebbe dare corso a misure innovative e sperimentali.

Oltre l’ordinamento penitenziario: Regolamento delle REMS e PTRI

Dal punto di vista psichiatrico passeremo in rassegna i principali articoli dell’O.P che riguardano l’applicazione della riforma.

Rispetto agli Istituiti di Pena, nelle REMS trovano applicazione del tutto diversa i diritti di cui agli artt. 6 (locali adeguati),  7 (vestiario e corredo), 8 (igiene personale), 9 (alimentazione) 10 (permanenza all’aperto),  le modalità e il numero dei colloqui e delle telefonate (art. 18, 37, 39), le norme che vietano di possedere denaro (art. 77), il diritto a praticare il proprio culto (art. 26). La gestione della REMS è competenza sanitaria e  quindi viene regolata secondo questi principi (compresi colloqui, visite, telefonate, ingressi ecc.) intesi in senso non solo  “ampliativo” dei diritti come si esprime anche l’accordo stato regioni del 25 febbraio 2015, ma soprattutto affinché siano funzionali al percorso di cura.

Importante per l’attività sanitaria è l’interpretazione dell’art. 11:  “Ogni Istituto penitenziario e’ dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria. Ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura.”

Come si vede si tratta di una normativa datata (antecedente alla prima riforma sanitaria) che si riferisce all’Istituto penitenziario che deve avere un servizio medico e farmaceutico e si avvale per cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, del trasferimento, con provvedimento del magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura.

Questa norma è applicabile alle REMS? Non è possibile se si tiene conto di quale sia la collocazione e il mandato delle strutture residenziali nell’attuale contesto operativo. Infatti, le REMS operano strutturalmente in rete con gli altri presidi e quindi per poter svolgere il proprio mandato e assicurare le ordinarie prestazioni sanitarie (e non solo per le urgenze) la gestione deve essere affidata al Responsabile della REMS.  

D’altra parte va ricordato che la REMS non è un “istituto” (penitenziario) dove opera un servizio sanitario ma è essa stessa struttura sanitaria che lavora strutturalmente in rete con le altre del servizio sanitario nazionale quindi non deve servire alcun provvedimento del magistrato di sorveglianza per attuare le cure necessarie oggi erogate con modelli operativi incentrati sul territorio, molto diversi da quelli degli anni 70 del secolo scorso in epoca antecedente la legge 180. Del resto lo stesso art. 11 prevede: “Nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e la sanità mentale.” Norme che sono profondamente cambiate con la legge 180/1978 e tutta l’organizzazione dei servizi psichiatrici territoriali derivanti dai Progetti Obiettivo della Salute Mentale 1994-96 e 1998-2000 e che collocano l’attività sanitaria in una rete e in una comunità. Vorremmo far notare quel ”senza indugio” e nel rispetto delle norme concernenti “l’assistenza psichiatrica”.

La gestione nella REMS o come meglio si può dire il “Programma REMS” totalmente affidata ai sanitari non può/deve prevedere una piatta applicazione dell’O.P. tanto che si parla di regolamento interno della REMS. In questa direzione si era già mosso il legislatore molti anni fa. Infatti, la stessa legge 354/1975, l’art.47 ter  nella  definizione della “detenzione domiciliare” da effettuarsi nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, in alcune situazioni (ed esempio, quando trattasi di “persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”)  dice  che “il condannato nei confronti del quale e’ disposta la detenzione domiciliare non e’ sottoposto al regime penitenziario previsto dalla presente legge e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull’amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l’assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare.” (art. 47 ter, punto 5).

Le attuali terapie psichiatriche richiedono controlli medici, regolari o estemporanei (non sempre programmabili anticipatamente e secondo la tempistica della magistratura) che non possono essere effettuati nella REMS e vanno comunque assicurati anche al fine di non ledere il diritto alla salute della persona. Quindi nello stesso provvedimento di collocazione in REMS si deve intendere in ragione delle finalità intrinseche al ricovero, che siano autorizzate tutte le attività di cura necessarie, da attuarsi secondo la tempistica e modalità del sistema sanitario.

Ne deriva che la gestione della REMS affidata ai sanitari  vada intesa come gestione dell’insieme delle relazioni terapeutiche- riabilitative alle quali la REMS partecipa e insieme, configurano una rete nell’ambito della quale si organizza il Programma di cura della REMS. Quindi la gestione sanitaria non riguarda  l’interno fisico-spaziale della REMS ma va riferito all’interno del Programma della REMS nell’ambito del quale si sviluppano i singoli Percorsi Terapeutico Riabilitativi che si realizzano nelle diverse sedi del DSM-DP e/o ad esso collegate. Questo struttura il progetto complessivo e il trattamento di ogni singola persona in una prospettiva di libertà e responsabilità e dà un adeguato margine operativo alla stessa REMS e al lavoro degli operatori.

Se questa è la situazione la magistratura provvederà a prendere atto del Regolamento della REMS nonché del programma individualizzato complessivo validandone i passaggi più significativi per quanto di sua competenza, relativamente alla misura di sicurezza e alla sua revisione. In questa ottica resta una funzione autorizzatoria della magistratura per tutti i passaggi che comportino un’autonoma attività dell’utente alla luce del PTRI.

In uno spirito rinnovato vanno visiti anche i rapporti con la famiglia e la comunità esterna che devono essere gestiti secondo le prassi della sanità in base al programma terapeutico riabilitativo personalizzato e non sottoposti al “nulla osta” della magistratura. La quale riferirà e disporrà eventuale limitazioni connesse a situazioni di particolare pericolosità, rapporti con la criminalità organizzata e simili.

Nelle REMS sono incompatibili le norme dell’O.P che si riferiscono ad esigenze di ordine e sicurezza: quelle relative alle perquisizioni (art. 34); l’impiego della forza fisica (art. 41); il regime di sorveglianza particolare (art 14-bis); il regime del 41-bis; i trasferimenti per motivi di sicurezza (art. 42)”.

La vigilanza è quella di una struttura sanitaria e nel Regolamento della REMS vengono indicate le modalità di accesso, gli oggetti che non possono essere introdotti.  

Non sono in alcun modo attuabili quelle disciplinari (artt. 38-40) e quindi la gestione della sicurezza delle cure, degli ospiti e del personale della struttura deve avvenire con modalità nuove del tutto diverse da quelle degli Istituti di Pena e deve essere fondato sulla relazione, il coinvolgimento nella gestione, adeguati spazi, possibilità di uscire regolarmente, rispetto  reciproco, gruppi di auto mutuo aiuto,  ecc.

A questo proposito sono fondamentali le Riunioni e il patto con la persona ospite relativamente al programma quotidiano che può svilupparsi nei locali della REMS o in altri ambiti con essa funzionalmente collegati (ad esempio, ambulatori, laboratorio, centro sportivo-ricreativo, culturale). Tutte le attività verranno accuratamente registrate nella documentazione.

Quindi la gestione della sicurezza e delle violazioni deve far parte integrante dell’attività della REMS e dei singoli PTRI.

I diritti

Compete alla Magistratura di sorveglianza, nella sua funzione di garanzia, il compito di vigilare sull’esecuzione delle misure di sicurezza personali ed effettuare visite nei luoghi  ove la misura si svolge. Una funzione che da un lato riguarda la persona con misure di sicurezza (che ha il diritto ad esercitare personalmente i propri diritti (art. 4) e dall’altro i luoghi ove questa si svolge. Tutela che si esprime anche attraverso la regolare rivalutazione della misura di sicurezza e che deve vedere un maggiore protagonismo e partecipazione degli utenti come per altro previsto dall’art.71 bis dell’O.P.

Inoltre vi è la possibilità da parte degli “internati”, anche ospiti della REMS, di presentare  reclami giurisdizionali  (ex art 35 bis O.P.[7]) . Un’azione di vigilanza volta ad evitare che  l’esecuzione della misura  nelle REMS ripeta nella qualità e nei diritti le condizioni presenti negli  OPG, cioè non deve avere le stesse caratteristiche dell’internamento nelle vecchie istituzioni di fatto penitenziarie. La differenza tra gli OPG e le nuove residenze sanitarie, non è meramente nominalistica e pertanto le REMS devono promuovere nuovi approcci ed una diversa tutela dei diritti.

Per quanto attiene alla persona, va modificato il linguaggio in quanto il termine “internato”  in OPG non esprime la situazione e viene a connotare molto negativamente l’identità della persona. Per altro il termine “internato” è stato abbandonato dalle leggi n. 9/2012 e n. 81/2014 in quanto contrasta con le finalità delle strutture sanitarie ove si parla di “persona affetta da un disturbo mentale” con una misura di sicurezza. La persona è sempre qualcosa in più e di diverso rispetto alla patologia e ad un’eventuale limitazione della libertà. Un cambiamento di terminologia, abbandonando i termini “internato” e “minorato” sarebbe quanto mai utile al fine di segnare anche tramite il linguaggio, una diversa concezione, un cambio di mentalità.

Il diritto al trattamento rieducativo individualizzato  di cui agli artt. (1, 13, 15, 17, 19) dell’O.P richiede alcune precisazioni importanti in quanto vi è una notevole differenza tecnica fra un “trattamento rieducativo” e un “progetto terapeutico riabilitativo” per quanto entrambi “individualizzati”. Non mi dilungo sui differenti riferimenti teorici, sulla necessità di valutare e trattare la patologia, la disabilità primaria, secondaria, bisogni, livello di autonomie, il livello di funzionamento psicosociale, livello di adattamento ecc. per i quali rimando a testi specifici.

E’ questa una precisazione essenziale onde evitare che vi sia una lettura impropria e prevenga ogni malpractice  quale sarebbe il tentativo di rieducare e non curare un paziente affetto da un disturbo mentale (grave). L’aspetto educativo e rieducativo è solo una parte da applicarsi, se possibile e al momento opportuno (specie in caso di una pena), nell’ambito di un programma terapeutico riabilitativo che vede la necessità di interventi medici, psichiatrici, psicologici e psicoterapici, individuali e di gruppo, psico-sociali, tecniche riabilitative e abilitative (negli ambiti dell’abitare, formazione lavoro, relazioni). Nonché di un’azione sui contesti familiari e sociali (psicoeducazione, auto mutuo aiuto, sensibilizzazione) nell’ambito di un intervento di tipo “bifocale” (attuato contemporaneamente sulla persona e sul contesto).Tutto questo è ben diverso dall’utilizzare solo strumenti educativi e rieducativi. Questo implica la possibilità di esercitare al meglio il mandato di cura, lasciando agli operatori della salute mentale il necessario spazio operativo, l’opportuna flessibilità da concordare in termini generali per l’intera REMS e specifici sul singolo caso, tra psichiatri e  magistrati. La responsabilizzazione della persona, il suo coinvolgimento e partecipazione è essenziale per la cura ma anche per la sicurezza.

Nell’ambito di questo impianto certamente sono essenziali una serie di collaborazioni volte ad attivare la comunità di riferimento e a favorire i rapporti con la famiglia (art. 28) i rapporti con la comunità anche attraverso la presenza di volontari (art. 78). Per la realizzazione dei programmi terapeutico riabilitativi sono importanti le attività nella comunità che sono parte integrante del PTRI e da attivarsi fin dall’inizio della programma della REMS e non come singoli provvedimenti  (lavoro all’esterno (art.21), le licenze (art. 53), la semilibertà (art. 48).

Nel condividere l’idea che occorra sostenere i diritti delle persone riteniamo che nello specifico di quelle affette da disturbi mentali occorra una maggiore flessibilità in quanto alcune rigidità non hanno alcun senso e possono limitare fino a compromettere le capacità terapeutiche riabilitative e le spinte all’autonomia delle persone in particolare quelle con disturbi mentali che vanno agevolate secondo precise tempi clinici, nel momento in cui sono pronte.

Facciamo ad esempio riferimento alla licenze come configurate dall’O.P. (Art. 53. Licenze agli internati [8]) che debbono essere concesse quando il paziente è in grado e non in base ad un determinato periodo; lo stesso per quanto attiene ai limiti di trenta giorni per favorire il riadattamento sociale che possono essere del tutto insufficienti in percorsi riabilitativi complessi dove l’inclusione sociale può essere molto articolata e con possibili momenti di difficoltà e regressione. Durante la licenza finale “esperimento” l’internato è sottoposto alla libertà vigilata e affidato al Centro di salute mentale (CSM). La licenza se  ha un andamento favorevole, al termine non deve prevedere il rientro in REMS in quanto ciò è inutile e/o dannoso per il paziente e per giunta obbliga la REMS a tenere il posto libero per tutta la durata della licenza con costi inutili. Va invece prevista la dimissione dalla REMS,  l’affidamento del paziente al CSM e la predisposizione  di un piano per l’intervento precoce in caso di ricadute. La licenza finale “esperimento” è una pratica datata come lo erano le “dimissioni in prova” dall’Ospedale psichiatrico.

L’applicazione del regime della semilibertà (art 48 “Il  regime di semiliberta’ consiste nella concessione al condannato e  all’internato  di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per  partecipare ad attivita’ lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.“)  è  preferibile della fruizione dei permessi ad horas (concessi “a pacchetto”) che, in continuità con le prassi vigenti in OPG,  è ancora in atto.  

Sono significative anche  i permessi  per gravi motivi (art. 30, l’’assistenza all’esterno dei figli (art. 21-bis) e le visite al minore infermo (art. 21-ter) e la possibilità di dare  assistenza alle famiglie (art. 45).

Conclusioni

In sintesi:

Per i soggetti collocati in REMS i sanitari devono secondo lo specifico Regolamento della REMS, poter svolgere tutte le attività di loro competenza nell’ambito del Programma della REMS e del PTRI della persona. I soggetti svolgono le attività interne ed esterne organizzate dalla REMS o dal DSM e rientranti nel PTRI, senza ulteriori autorizzazioni della magistratura se accompagnati da personale sanitario, sociale, familiari, volontari o altri significativi secondo quanto disposto dal Direttore della REMS.

Attività sanitarie che richiedano il pernottamento al di fuori della REMS sono oggetto di comunicazione alla magistratura per i provvedimenti di competenza. Per le urgenze e ricoveri in ambito sanitario si procede come da accordo stato regioni del 26 febbraio 2015.

Attività terapeutico- riabilitative che comportino un aumento del grado di libertà, spostamenti autonomi vanno autorizzati dal magistrato competente che applicherà lo strumento più adeguato.

Le licenze dovranno favorire l’inclusione sociale e in base al PTRI potranno avere anche durata diversa rispetto ai limiti fissati dalla normativa che come è noto è stata predisposta nel 1975 in epoca ancora manicomiale.

La persona con licenza finale “esperimento” passa in uno stato di libertà vigilata e questo si associa alla dimissione dalla REMS con affidamento al Centro di Salute Mentale e predisposizione nell’ambito del PTRI del piano di intervento preventivo delle ricadute nel quale verrà indicato quali provvedimenti effettuare e se  e per quanto tempo risulta necessario mantenere la disponibilità del posto in REMS.

Quanto alle modalità per la revisione della pericolosità sociale e delle misure di sicurezza ai sensi degli art 71 e seguenti dell’O.P. [9] è previsto che possa partecipare all’udienza l’interessato con l’assistenza di un difensore e se richiesto/utile dai sanitari. La presenza della persona alle udienze è essenziale al fine di stipulare un “patto”, una messa alla prova che al tempo stesso miri, attraverso la responsabilizzazione, alla prevenzione delle recidive e al miglioramento della salute.  

Le comunicazioni dei provvedimenti giudiziari devono avvenire secondo tempi certi, massimo 10 giorni, in analogia con  “l’ordinanza che conclude il procedimento di sorveglianza (la quale) è comunicata al pubblico ministero, all’interessato e al difensore nel termine di dieci giorni dalla data della deliberazione”.  Compito di tutte le componenti psichiatri, periti e magistrati è quello di far sì che i tempi indicati possano essere rispettati, in quanto funzionali al benessere delle persone talora incapaci o in difficoltà nel gestire lo stress dell’attesa.

L’art. 71 sexies regola le condizioni di inammissibilità (per infondatezza o riproposizione di temi già esaminati) e le modalità per attivare il procedimento di sorveglianza.

Sarebbe auspicabile valutare se in una sperimentazione la misura di sicurezza detentiva non possa/ debba essere realizzata anche in posti diversi dalla REMS in una logica di superamento delle stesse REMS e dove misura giudiziaria e interventi di cura trovano precisi ambiti e modalità di realizzazione ispirate alla massima appropriatezza. Occorre prendere atto di modelli di REMS improntate al “no restraint, aperte”, “a tenda”, ai “programmi REMS”, Percorsi di cura e non luoghi.

Allo stato attuale dell’attuazione della legge 81/2014 l’insieme di questi accordi può dare alla gestione sanitaria un’adeguata autonomia gestionale e consente alla magistratura di esercitare i compiti di propria competenza senza essere gravata dell’incombenze ordinarie. La diversa concezione delle licenze finali esperimento può migliorare i programmi terapeutico riabilitativi e portare ad una maggiore efficienza nell’utilizzo dei posti nelle REMS.

Per concludere ci associamo a quanto scrive il Consiglio Superiore della Magistratura[10]

“Occorre, da ultimo, rilevare che molte delle incertezze applicative e dei problemi interpretativi originatisi in forza dello stratificarsi della legislazione primaria nel corso degli anni recenti, sono stati brillantemente affrontati e risolti dalla magistratura di sorveglianza italiana.

Gli uffici di sorveglianza hanno infatti assecondato e talvolta anche favorito il processo di umanizzazione del trattamento dell’infermo di mente autore di reato. Si deve, infatti, alla rete degli uffici di sorveglianza l’incessante opera di sviluppo di prassi virtuose, di confronti culturali aperti e profondi, di gestione di singole, delicate questioni, che hanno costellato la lunga fase di transizione dal superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari al nuovo sistema trattamentale fondato sulla l. n. 81 del 2014.

Il Consiglio, pertanto, si limita a ribadire alcune delle acquisizioni cui si è pervenuti nel corso del quinquennio appena trascorso, facendole proprie e proponendone l’estensione applicativa, ove possibile, a tutti gli Uffici di sorveglianza:

  1. a) L’esigenza di una costante integrazione funzionale, ai fini della gestione di tutte le misure di sicurezza per il non imputabile, tra ufficio di sorveglianza, Dipartimenti di salute mentale e sue unità operative complesse, direzione delle REMS, Ufficio per l’esecuzione penale esterna (UEPE).
  2. b) Il seguito dei processi di formazione costante, direttamente rivolti alla magistratura di sorveglianza, con particolare riguardo alle più rilevanti questioni interpretative ancora aperte circa il nuovo sistema di esecuzione delle misure di sicurezza e, in particolare:

la gestione del termine di durata massima della misura ai sensi della citata disciplina della l. n. 81 del 2014; il problema delle conseguenze derivanti dalla violazione delle prescrizioni imposte in costanza di libertà vigilata al non imputabile sottoposto a misura di sicurezza; i limiti di applicabilità (anche in via analogica ed estensiva) della disciplina dell’Ordinamento penitenziario alle REMS.

  1. c) La valorizzazione del ruolo del Presidente del Tribunale di Sorveglianza nella definizione di una disciplina regolamentare valida per le REMS operanti sul territorio, sulla base del principio di differenziazione, dal momento che occorre prendere atto della variegata natura di Residenza presenti sul territorio nazionale.”

Pietro Pellegrini, Giuseppina Paulillo: Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

 

 

[1]https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?previsiousPage=mg_2_19_1_11&contentId=SPS1181979

[2] Decreto 1 ottobre 2012 “Requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle strutture residenziali destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia”

[3] L’art. 62 dell’O.P. elenca gli istituti dove devono essere eseguite le misure di sicurezza e tra questi cita gli ospedali psichiatrici giudiziari e le case di cura e custodia.

[4]  Le norme del codice penale e del codice di procedura penale riferite agli internati sono: l’art. 214 comma 2 c.p. (inosservanza delle misure di sicurezza detentive); l’art. 123 comma 1 c.p.p. (dichiarazioni e richieste di persone detenute e internate);l’art. 174 comma 2 c.p.p. (prolungamento dei termini di comparizione); l’art. 666 comma 4 c.p.p. (audizione da parte del magistrato di sorveglianza del luogo ove si trova l’internato se posto fuori della circoscrizione del giudice).

[5] Fasc. 37/PP/2016 del 19 aprile 2017, “Disposizioni urgenti in materia di superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) e di istituzione delle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), di cui alla Legge n. 81 del 2014. Questioni interpretative e problemi applicativi”: www.societadellaragione.it/2017/04/22/falsi-allarmi-la-verita-sulla-chiusura-degli-opg.

[6] (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?previsiousPage=mg_2_19_1_11&contentId=SPS11819

[7] Art. 35-ter. (Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati).
“1. Quando il pregiudizio di cui all’articolo 69, comma 6, lett. b), consiste, per un periodo di tempo non inferiore ai quindici giorni, in condizioni di detenzione tali da violare l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio.

  1. Quando il periodo di pena ancora da espiare e’ tale da non consentire la detrazione dell’intera misura percentuale di cui al comma 1, il magistrato di sorveglianza liquida altresi’ al richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Il magistrato di sorveglianza provvede allo stesso modo nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni non conformi ai criteri di cui all’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali sia stato inferiore ai quindici giorni.
  2. Coloro che hanno subito il pregiudizio di cui al comma 1, in stato di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ovvero coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere possono proporre azione, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio hanno la residenza. L’azione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere. Il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il decreto che definisce il procedimento non e’ soggetto a reclamo. Il risarcimento del danno e’ liquidato nella misura prevista dal comma 2.) 

[8] Art. 53. Licenze agli internati

“Agli internati puo’ essere concessa una licenza di sei mesi nel periodo immediatamente precedente alla scadenza fissata per il riesame di pericolosita’. Ai medesimi puo’ essere concessa, per gravi esigenze personali o familiari, una licenza di durata non superiore a giorni quindici; puo’ essere inoltre concessa una licenza di durata non superiore a giorni trenta, una volta all’anno, al fine di favorirne il riadattamento sociale. Agli internati ammessi al regime di semiliberta’ possono inoltre essere concesse, a titolo di premio, le licenze previste nel primo comma dell’articolo precedente. Durante la licenza l’internato e’ sottoposto al regime della liberta’ vigilata. Se l’internato durante la licenza trasgredisce agli obblighi impostigli, la licenza puo’ essere revocata indipendentemente dalla revoca della semiliberta’. L’internato che rientra in istituto dopo tre ore dallo scadere della licenza, senza giustificato motivo, e’ punito in via disciplinare e, se in regime di semiliberta’, puo’ subire la revoca della concessione”.

[9] Art 71Per l’adozione dei provvedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza espressamente indicati nei commi 1 e 2 dell’articolo 70, nonche’ dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di remissione del debito, di ricoveri di cui all’articolo 148 del codice penale, di applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca anche anticipata delle misure di sicurezza e di quelli relativi all’accertamento dell’identita’ personale ai fini delle dette misure, si applica il procedimento di cui ai commi e agli articoli seguenti.

  1. Il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza, a seguito di richiesta o di proposta ovvero di ufficio, invita l’interessato ad esercitare la facolta’ di nominare un difensore. Se l’interessato non vi provvede entro cinque giorni dalla comunicazione dell’invito, il difensore e nominato di ufficio dal presidente del tribunale o dal magistrato di sorveglianza. Successivamente il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza fissa con decreto il giorno della trattazione e ne fa comunicare avviso al pubblico ministero, all’interessato e al difensore almeno cinque giorni prima di quello stabilito.
  2. La competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta o della proposta o all’inizio d’ufficio del procedimento.
  3. Se l’interessato non e’ detenuto o internato, la competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione nel luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio. Nel caso in cui non sia possibile determinare la competenza secondo il criterio sopra indicato, si applica la disposizione del secondo comma dell’articolo 635 del codice di procedura penale.
  4. Le disposizioni contenute nel capo I del titolo V del libro IV del codice di procedura penale sono applicabili in quanto non diversamente disposto dalla presente legge. L’articolo 641 del codice di procedura penale resta in vigore limitatamente ai casi di cui all’articolo 212 dello stesso codice)).

Art. 71-bis (Udienza). L’udienza si svolge con la partecipazione del difensore e del rappresentante dell’ufficio del pubblico ministero. L’interessato puo’ partecipare personalmente alla discussione e presentare memorie.

Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti alla sezione di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte d’appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell’ufficio di sorveglianza.

I provvedimenti della sezione e del magistrato di sorveglianza sono emessi sulla base dell’acquisizione in udienza dei documenti relativi all’osservazione e al trattamento nonche’, quando occorre, svolgendo i necessari accertamenti ed avvalendosi della consulenza dei tecnici del trattamento.

L’ordinanza che conclude il procedimento di sorveglianza e’ comunicata al pubblico ministero, all’interessato e al difensore nel termine di dieci giorni dalla data della deliberazione.

Art. 71-ter (Ricorso per cassazione).  1. Avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza, il pubblico ministero, l’interessato e, nei casi di cui agli articoli 14-ter e 69, comma 6, l’amministrazione penitenziaria, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. Si applicano le disposizioni del terzo comma dell’articolo 640 del codice di procedura penale. Si applica, altresi’, l’ultimo comma dell’articolo 631 del codice di procedura penale)).

Art. 71-sexies Inammissibilità.

Qualora l’istanza per l’adozione dei provvedimenti indicati nel primo comma dell’articolo 71, appaia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, ovvero costituisca mera riproposizione di una istanza gia’ rigettata, basata sui medesimi elementi, il presidente, sentito il pubblico ministero, emette decreto motivato con il quale dichiara inammissibile l’istanza e dispone non farsi luogo a procedimento di sorveglianza.

Il decreto e’ comunicato entro cinque giorni all’interessato, il quale ha facolta’ di proporre opposizione nel termine di cinque giorni dalla comunicazione stessa facendo richiesta di trattazione.

A seguito dell’opposizione, il presidente della sezione da’ corso al procedimento di sorveglianza.

[10] Cit. nota 5

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