Suicidio e pregiudizi. di Massimo Cozza

Massimo Cozza

l’articolo del Prof. Massimo Biondi sulla imprevedibilità del suicidio è una importante e chiara presa di posizione pubblica di uno dei più autorevoli rappresentanti del mondo scientifico accademico. Troppo spesso, infatti, negli ultimi anni sta passando una informazione errata sulla possibilità di conoscere i determinanti psichiatrici certi del suicidio, e quindi sulla conseguente e logica responsabilità di chi non avrebbe messo in atto le dovute azioni di cura e di protezione.

In realtà si tratta di un pregiudizio che non corrisponde alle evidenze scientifiche, alimentato da una sbagliata identificazione dei fattori di rischio come fattori causali, spesso con il senno del dopo.

La letteratura scientifica, magistralmente esaminata nella meta-analisi di 50 anni di ricerca sui fattori di rischio per i pensieri e i comportamenti suicidari pubblicata da J. C. Franklin ed altri nel 2017 su Psychological Bulletin, ha individuato una lunga lista di fattori non specifici, oltre alcuni disturbi psichiatrici.

 L’American Association of Suicidology ha indicato come fattori di rischio, tra gli altri, eventi stressanti della vita come la rottura di un rapporto affettivo, problemi legali, fallimenti scolastici. L’American Foundation for Suicide Prevention riporta abusi subiti nell’infanzia, problemi cronici di salute fisica, disturbi da abuso di sostanze, l’esposizione ad altri suicidi, una storia familiare di suicidi, l’accesso a mezzi letali.

Il Centers for Disease Control riporta tendenze impulsive ed aggressive, convinzioni culturali e religiose sulla nobiltà del suicidio, l’isolamento sociale.

Il National Institute of Mental Heath indica una storia familiare di abusi fisici e sessuali, l’avere armi in casa, essere in prigione.

Infine l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha individuato, tra gli altri, il dolore cronico, la guerra, i disastri, la violenza, gli abusi, le perdite, essere un rifugiato e un migrante, una persona non eterosessuale.

Basta rileggerli tutti insieme per arrivare alla conclusione che una larga porzione della popolazione è esposta ad almeno uno di questi fattori e che durante la vita molte persone potrebbero essere esposte anche a più di uno di questi fattori.

Ma, almeno esaminando la letteratura scientifica sull’argomento, Franklin e gli altri coautori affermano che i fattori di rischio individuati sono deboli ed inaccurati predittori di pensieri e comportamenti suicidari, evidenziando che le capacità predittive non sono migliorate negli ultimi 50 anni.

Pur essendo presenti, infatti, gli stessi fattori di rischio in molti casi non si arriva al suicidio, in alcuni sì.

Questo non significa che le linee guida sulla prevenzione del suicidio siano non valide o inutili né che i tradizionali fattori di rischio abbiano una piccola rilevanza.

Ma tutti dovrebbero avere la consapevolezza che una accurata prevenzione del suicidio dovrebbe probabilmente richiedere un complesso intervento su un largo numero di fattori, più di 50, molti dei quali sono variabili nel tempo, ed interessano in primo luogo le politiche sociali ed economiche. Pertanto allo psichiatra compete utilizzare gli strumenti a sua disposizione con diligenza, prudenza e perizia, con la consapevolezza che, nonostante la sua corretta azione, l’evento suicidario possa comunque verificarsi, stante la possibilità dell’influenza di tanti e numerosi fattori.

Se anche una persona con un disturbo psichiatrico mette in atto comportamenti suicidari, non vi è pertanto certezza di un nesso causale con il disturbo. D’altro canto tra le persone con lo stesso disturbo psichiatrico e la stessa sintomatologia, molte non si suicidano, alcune sì.

Un recente studio Istat, che ha esaminato i certificati di decesso per suicidio nel triennio 2011 -2013 ha rilevato che l’81% dei suicidi non è associabile a stati morbosi rilevanti, e solo nel 15,1% viene menzionata una malattia mentale.

E’ venuto il momento di riaffermare che il presunto nesso di causalità tra disturbo psichiatrico e suicidio è scientificamente indimostrabile con certezza, e non può essere spiegato seguendo un ragionamento semplicistico e riduttivo, così come, a volte, accade in ambito clinico e forense. Soprattutto tenendo sempre presente che ciascuna persona ha una sua una storia unica ed irripetibile, con una biografia determinata da tante variabili, non prevedibili nello sviluppo della propria vita.

Massimo Cozza
Coordinatore Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 2

Fonte: Quotidiano Sanità

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